Cass. civ. Sez. V, Sent., 03-08-2012, n. 14063

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
Con ricorso diretto e notificato all’Ufficio di Palermo 3 dell’Agenzia delle Entrate (ma notificato pure al Ministero dell’Economia e delle Finanze), la s.r.l. Z. E. – premesso (mediante riproduzione dei corrispondenti passi della sentenza gravata) che aveva impugnato la cartella di pagamento notificata il 27 aprile 2005 emessa per il "recupero di somme dovute e non corrisposte a seguito della sua adesione agli istituti definitori recati dalla L. n. 289 del 2002, art. 15, per complessivi Euro 65.826,17, comprensiva di interessi e sanzioni" deducendo che aveva versato "le relative imposte calcolate non in base alle risultanze del processo verbale di constatazione" (perchè "palesemente errate" avendo la GdF "preso a base del calcolo sia ai fini delle IIDD che ai fini IVA l’importo del rilievo al lordo di IVA") "ma nella misura minore risultante dalla corretta applicazione dei rilievi operati dalla GdF che non erano stati contestati" -, in forza di tre motivi, chiede di cassare la sentenza indicata in epigrafe che ha disatteso il suo appello. Nessuno degli intimati ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
1. In via preliminare va rilevata ex officio e dichiarata l’inammissibilità della notifica del ricorso al Ministero atteso che la cartella impugnata è stata "notificata il 27 aprile 2004", quindi dopo l’entrata in funzione dell’Agenzia delle Entrate per cui il Ministero (privo ormai, a tale data, di qualsiasi articolazione periferica propria) è comunque carente di qualsivoglia legittimazione non avendo mai preso parte al processo.
2. La Commissione Tributaria Regionale ha respinto l’appello osservando:
– "l’atto impugnato risulta legittimo … atteso che gli importi dovuti per la definizione … dei processi verbali di constatazione dovevano essere determinati sulla base dei dati risultanti da tali atti, con la possibilità da parte del contribuente di emendare eventuali errori di calcolo tenendo conto delle successive modifiche apportate dagli uffici dell’Agenzia";
– "l’errore di calcolo indicato dall’appellante in realtà non pare si sia verificato atteso che le partite del PVC risultano al netto di imposte, cioè sono costituite dalla elencazione di imponibili sui quali è stata calcolata l’imposta, per cui le correzioni apportate dal contribuente non risultano giustificate e legittime";
– "il silenzio sull’istanza di autotutela da parte dell’Agenzia …
non è configubabile come silenzio assenso, ammissivo dei presunti errori rilevati, perchè non previsto … dalla norma".
3. La società censura la decisione per tre motivi:
(1) "violazione" della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 11, conclusa con il "quesito" ex art. 366 bis c.p.c.;
"se la mancata risposta ad un’istanza del contribuente intesa a far rilevare errori nella determinazione della base imponibile contenuti in un PVC integri un silenzio assenso su di essa" ai sensi di detta norma";
(2) "motivazione apodittica su un punto decisivo della controversa" e "violazione" dell’art. 112 c.p.c., riassunte nel "quesito" – "se integri errore di diritto… l’omessa pronuncia su un motivo di appello";
– "se integri difetto di motivazione … una motivazione apodittica sui vizi denunziati con l’appello afferenti ad un verbale di constatazione della Polizia Tributaria";
(3) "violazione" degli "L. 27 dicembre 2002 n. 289, art. 15, art. 2425 bis c.c., D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 24 e 27", sintetizzata nel "quesito";
– "se nell’istanza di definizione agevolata ai sensi della L. 27 dicembre 2001, n. 289, art. 15, il contribuente possa far valere gli errori di diritto in cui l’amministrazione è incorsa nell’effettuazione degli accertamenti, tenendo fermi gli elementi di fatto su cui l’accertamento è basato", e – "se la base imponibile basata sull’analisi dei flussi di cassa debba essere depurata da ogni abbuono e sconto nonchè da ogni imposta insita nella natura del ricavo".
4. Il ricorso – il cui terzo motivo, in via logico-giuridica, va esaminato prima del secondo – deve essere respinto perchè infondato.
A. L’"istanza … intesa a far rilevare errore … contenuti in un PVC" (come in qualsivoglia atto fiscale), invero, non è riconducibile alla previsione normativa dettata dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 11: il diritto di "interpello del contribuente" regolata dalla stessa, infatti, riguarda soltanto "l’applicazione delle disposizioni tributarie a casi concreti e personali", "applicazione" che, peraltro, deve essere caratterizzata da ("qualora vi siano") "obiettive condizioni di incertezza sulla corretta interpretazione delle disposizioni stesse", che, nel caso, non sono state neppure allegate.
Si consideri, comunque, che (Cass., trib., 12 settembre 2008 n. 23523) "la risposta dell’amministrazione finanziaria all’istanza d’interpello L. 27 luglio 2000, n. 212, ex art. 11 non ha affatto la natura di regolamento, ma soltanto quella di promessa amministrativa o di preatto amministrativo, modellata sui consolidati istituti sperimentati nell’ordinamento giuridico tedesco della Zusage der oeffentlichen Verwaltung e del Vorverwaltungsakt": "la sua efficacia", perciò, "non è nè quella di un atto normativo secondario nè quella di un atto amministrativo", anche se "è comunque tale da non sottrarre l’ufficio tributario, che rilascia la dichiarazione su istanza d’interpello, al vincolo che gli deriva dal principio di legalità e dalla permanenza della vigenza del principio d’imparzialità amministrativa aggettiva, che costringe l’amministrazione pubblica a conformarsi al canone legislativo".
A maggior ragione, deve affermarsi che il silenzio serbato dall’amministrazione finanziaria su di una istanza di interpello del contribuente ai sensi della norma citata non può assumere affatto valore e/o significato di "silenzio assenso", come preteso dalla ricorrente.
B. La L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 75, poi, laddove consente ai contribuenti di definire ("secondo le modalità previste" dalla stessa norma), i "processi verbali di constatazione", considerate le finalità deflattive perseguite, esclude che il contribuente possa, di sua iniziativa, modificare qualsiasi dei dati contenuti nel proprio processo verbale di constatazione: il comma quarto, infatti, dispone che la "definizione … si perfeziona"" soltanto "mediante il pagamento … di un importo calcolato" in base alle regole dallo stesso fissate, le quali fanno sempre e solo riferimento ai dati oggettivi ("somma dei maggiori componenti positivi e minori componenti negativi complessivamente risultanti"; "riducendo del 50 per cento la maggiore imposta dovuta sulla base dei rilievi formulati") indicati nel "verbale" che si intende definire.
C. La seconda doglianza, infine, è inammissibile: la ricorrente, infatti, in violazione degli artt. 366 e 366 bis c.p.c..
(1) non indica quale sia il "motivo di appello" oggetto della denunziata "omessa pronuncia" nè espone le ragioni per le quali la "motivazione" di indeterminati "vizi denunziati con l’appello" (che si assume "afferenti ad un verbale di constatazione della Polizia Tributaria") dovrebbe essere considerata "apodittica" e (2) non pone questo giudice di legittimità in condizione di valutare l’idoneità dell’eventuale fondamento della complessiva censura a determinare un esito del giudizio in qualche modo favorevole alla contribuente.
5. Nessun provvedimento va adottato in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità non avendo nessuno degli enti intimati svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 3 luglio 2012.
Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2012

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