Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 31-01-2013) 19-04-2013, n. 17969

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 14/12/2010, la Corte d’appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza del G.u.p. del Tribunale di Trieste, ha, per quanto ancora rileva in questa sede, dichiarato non doversi procedere nei confronti di B.G. e G.S. in ordine ad alcune ipotesi di truffa, insolvenza fraudolenta e appropriazione indebita loro contestate per intervenuta prescrizione e, previa riqualificazione dei fatti di cui al capo 1) lett. a), b) d) come delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale consumata, ha rideterminato la pena irrogata.

2. La Corte territoriale ha rilevato: che i fatti contestati riguardavano due s.r.l., caratterizzate dalla medesima compagine societaria e da una concreta confusione delle due attività di vendita di mobili ed elettrodomestici; che le due società erano gestite da T.N. (che aveva definito la propria posizione separatamente ex art. 444 cod. proc. pen.), dal B. e dalla compagna di quest’ultimo, la G.; che dall’autunno 2001 vi era stata un’impennata degli acquisti e un parallelo incremento delle promozioni commerciali, con ulteriore aumento della clientela, che, talvolta, aveva ottenuto finanziamenti dalla società Compass;

che poco prima del Natale 2001, il B. e la G. si erano resi irreperibili, lasciando numerosissime persone senza i beni acquistati e, in non pochi casi, in debito con la società finanziaria, e non onorando i debiti verso numerosissimi fornitori;

che, solo dopo la presentazione di una denuncia querela da parte di due fornitori, era stato accertato che si stava procedendo al trasferimento di beni nell’isola di Guadalupa, dove, a seguito di rogatoria, sarebbero stati rinvenuti altri beni, già trasferiti; che dalle deposizioni testimoniali era emerso il ruolo gestorio del B.; che la G., oltre ad essere la compagna del B. – ciò che consentiva di apprezzare, secondo il normale svolgersi degli eventi, la plausibile possibilità che ella fosse a conoscenza delle decisioni e dei progetti di vita di quest’ultimo – conduceva il negozio e che numerose persone avevano trattato con lei l’acquisto di beni e l’avevano identificata come l’apparente titolare, come "l’altra socia della ditta", come una referente indispensabile per le ordinazioni, come colei che di solito gestiva la cassa; che, inoltre, la G., che, secondo un testimone, si occupava anche dell’export aveva continuato a gestire la vendita al minuto di arredamenti vari, nonostante la merce acquistata dai fornitori fosse stata già spedita all’estero o fosse in via di spedizione.

3. Nell’interesse del B. e della G. è stato proposto ricorso per cassazione. In particolare, si lamenta illogicità della motivazione per avere ritenuto che il B. abbia svolto un ruolo dirigenziale nella società alla stregua del mero dato oggettivo dell’appartenenza al medesimo del 50 % delle quote della società e della considerazione che nelle compagini sociali di non grandi dimensioni non è possibile operare una precisa e netta distinzione tra i vari ruoli assunti e concretamente svolti dai compartecipi. Nella specie, al contrario, il B. era un mero responsabile commerciale.

In un ulteriore articolazione del motivo, si censura la ritenuta configurabilità della bancarotta fraudolenta per distrazione, in quanto i beni oggetto delle presunte condotte ascritte agli imputati erano stati recuperati prima della dichiarazione di fallimento, con la conseguenza che non potevano essere ricondotte neppure alla fattispecie tentata. I ricorrenti criticano, inoltre, la sentenza impugnata per avere ritenuto sussistente la bancarotta in relazione alla distrazione di beni che, in quanto provenienti da truffe, non erano entrati a far parte del patrimonio societario.

Con riferimento specifico alla posizione della G., il ricorso lamenta che la motivazione non abbia esaminato i requisiti oggettivi e soggettivi necessari alla sussistenza del concorso dell’extraneus nel reato di bancarotta.

Motivi della decisione

1. Le articolazioni del motivo di ricorso attinenti alla posizione gestoria dei ricorrenti sono inammissibili.

Gli aspetti del giudizio che consistono nella valutatone e nell’apprezzamento del significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità, se non quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa, con la conseguenza che sono inammissibili in sede di legittimità le censure che siano nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione del materiale probatorio (di recente, v. Sez. 5, n 18542 del 21/01/2011, Carene, Rv. 250168 e, in motivazione, Sez. 5, n. 49362 del 19/12/2012, Consorte).

Nella specie, la Corte territoriale, con ampia motivazione, che non esibisce alcun vizio di manifesta illogicità e che risulta strettamente correlata alle dichiarazioni testimoniali raccolte e specificamente riprodotte nel testo, ha dato conto sia del concreto ruolo gestorio del B., senza limitare la sua attenzione alla sola misura della sua partecipazione societaria, sia del contributo materiale e soggettivo fornito dalla G. alla realizzazione del disegno criminoso, la qui oggettiva portata non è in discussione.

2. Le restanti articolazioni del ricorso sono infondate.

Innanzi tutto, non è esatto che tutti i beni oggetto della presunta distrazione siano stati recuperati e, sul punto, deve essere sottolineata l’assoluta genericità del ricorso in punto di deduzioni in fatto.

Ad ogni modo, come ribadito in altre occasioni da questa Corte, sia pure con riferimento al recupero del bene a seguito di azione revocatoria (Sez. 5, n. 39635 dei 23/09/2010, Calderini, Rv. 248658), tale evenienza non spiega alcun rilievo sulla sussistenza dell’elemento materiale del reato di bancarotta, il quale – perfezionato al momento del distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore – viene a giuridica esistenza con la dichiarazione di fallimento, mentre il recupero della res rappresenta solo un posterius – equiparabile alla restituzione della refurtiva dopo la consumazione del furto – avendo il legislatore inteso colpire la manovra diretta alla sottrazione, con la conseguenza che è tutelata anche la mera possibilità di danno per i creditori.

Del resto, alla luce di tali principi, non assumono rilievo le modalità con le quali il recupero si realizza (nella motivazione della sentenza appena citata, si menziona anche la possibilità della spontanea restituzione da parte dell’imputato).

Del pari infondata è l’articolazione del motivo che valorizza la provenienza dei beni distratti da un illecito.

Infatti, il delitto di bancarotta fraudolenta può concorrere con quello di truffa, sia perchè l’obiettività giuridica delle distinte ipotesi delittuose è diversa, sia perchè l’iter criminis della seconda si esaurisce con l’acquisizione di beni mediante mezzi fraudolenti, mentre il fatto dell’imprenditore truffaldino, che sottragga successivamente alla garanzia patrimoniale le entità economiche illecitamente acquisite al suo patrimonio, costituisce un’azione distinta ed autonoma, punita a titolo di bancarotta fraudolenta, se viene dichiarato il fallimento (Sez. 5, n. 39610del 21/09/2010, Meschieri, Rv. 248652).

3. Al rigetto del ricorso segue la condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *