Cass. civ. Sez. V, Sent., 03-08-2012, n. 14060

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
L’Agenzia delle Entrate chiede, per sei motivi, di cassare la sentenza n. 234/05/06 (depositata il 14 settembre 2006) con la quale la Commissione Tributaria Regionale del Lazio ha recepito l’appello dello "Studio di XXX” (diretto dal dr. C. D.) avverso la decisione di primo grado che aveva respinto l’impugnazione del silenzio rifiuto formatosi sull’istanza con la quale detto "Studio", ritenendo di non essere soggetto all’imposta, aveva chiesto il rimborso dell’IRAP versata per gli anni dal 1998 al 2002.
Lo "Studio" intimato insta per il rigetto dell’impugnazione.
Motivi della decisione
1. Il giudice tributario di appello – richiamato quanto osservato nella "sentenza della Corte Costituzionale n. 156/2001" – ha accolto il gravame osservando:
– "nel caso di libero professionista" ("per il quale è previsto il superamento di un esame di abilitazione e l’iscrizione in apposito albo"), "l’attività intellettuale può essere svolta solo da lui a meno che non risultino in concreto elementi di organizzazione tali da far derivare la produzione di un valore aggiunto";
– "nel caso … l’appellante ha dimostrato di esercitare informa associata (due professionisti, marito e moglie) la professione di psicologo senza dipendenti e collaboratori, utilizzando beni strumentali di modesto valore ed avvalendosi di altri professionisti che fatturavano regolarmente le loro prestazioni allo studio associato".
2. l’Agenzia censura la decisione con sei motivi:
(1) "violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57", sintetizzata nel "quesito di diritto" se "dedotto come unico motivo nel ricorso introduttivo il contrasto della normativa istitutiva dell’IRAP con gli artt. 3, 53, 76 e 77 Cost., costituisce motivo nuovo, …da dichiarare inammissibile anche d’ufficio, quello con cui il contribuente deduce per la prima volta in appello la mancanza del presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione";
(2) "violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 2, 3, 4 e 8", concluse con il "quesito" se "peri soggetti che esercitano arti o professioni, l’autonoma organizzazione di cui al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2 va intesa come autoorganizzazione dell’attività professionale, gestita e svolta direttamente dalla persona fisica che la eserciti, senza vincoli di subordinazione a terzi";
(3) "violazione o falsa applicazione, sotto altro profilo, del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2 e 3", concluse con il "quesito" se "per i soggetti che esercitano arti e professioni ai fini della sussistenza dei presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione è sufficiente l’impiego di beni strumentali e/o capitali anche propri, giacchè tale impiego rileva quella coordinazione anche minima di fattori produttivi sufficiente per ritenere l’esistenza di elementi di organizzazione e quindi il presupposto impositivo di autonoma organizzazione";
(4) "insufficiente motivazione" sulla "sussistenza del presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione";
(5) "violazione o falsa applicazione, sotto altro profilo, del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2 e 3", riassunte nel "quesito" se "per i soggetti che esercitano arti e professioni (nel caso…, in forma associata) ai fini della sussistenza del presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione è sufficiente l’impiego di lavoro altrui (nel caso…: professionisti di volta in volta assunti …per rendere prestazioni a terzi che, per stessa ammissione della parte, lo studio non è in grado di rendere";
(6) "insufficiente motivazione" sulla "sussistenza del presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione": la C.T.R. (a) non ha "spiegato le ragioni per le quali i professionisti" ("che fatturavano …le loro prestazioni") "non possono considerarsi collaboratori dello studio e … perchè nel caso … gli elementi di organizzazione in concreto individuati non fossero in grado di far derivare la produzione di un valore aggiunto" e (b) ha "omesso di chiarire che cosa intende per "valore modesto "" dei "beni strumentali" (se "vada valutata in astratto o alla luce della singola e concreta attività svolta dal contribuente".
3. Lo "Studio" intimato, assunto che, come "chiarito" dalla "giurisprudenza" di questa Corte, "il requisito dell’autonomia …
sussiste tutte le volte che il professionista si avvalga, in modo non occasionale, di lavoro altrui, o impieghi nell’organizzazione beni strumentali che, per quantità o valore, eccedano il minimo comunemente ritenuto indispensabile per l’esercizio dell’attività", oppone che "nel caso" manca detto "requisito" perchè, essendo "privo di una struttura e di personale collaboratore o dipendente idoneo a svolgere autonomamente l’attività commissionata", "è costretto, in specifiche e ben individuate occasioni a condividere con altri professionisti lo svolgimento di parte della propria attività".
4. I primi quattro motivi del ricorso dell’Agenzia si rivelano infondati; gli ultimi due, invece, vanno accolti.
A. La prima doglianza (violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57", per "novità" del "motivo …con cui il contribuente deduce per la prima volta in appello la mancanza del presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione) è priva di pregio in base alla sua prospettazione: la stessa ricorrente, infatti, ricorda (pag.
1 del ricorso per cassazione) aver lo "Studio" posto a base della sua richiesta di rimborso dell’IRAP la "prevalenza del fattore lavoro sul fattore produttivo capitale" nonchè il "fatto" di "non aver mai avuto lavoratori dipendenti"" e di "utilizzale) una quantità ristretta di beni strumentali" "poltrone, lampade, lettino, scrivania, telefoni …e poco altro"), quindi argomenti che, intuitivamente, prescindono del tutto dall’eventuale contrasto, con quelle costituzionali, delle norme di regolamentazione dell’IRAP. B. L’infondatezza degli ulteriori tre motivi di ricorso – scrutinabili congiuntamente perchè, fondamentalmente, inerenti alla medesima tesi – discende dal principio (che, in carenza di qualsivoglia convincente argomentazione contraria, deve essere ribadito) secondo cui (Cass., trib., 23 novembre 2010 n. 23761, che ricorda "Cass. n. 3676, n. 3673, n. 3678, n. 3680 del 2007", ex permultis).
"a norma del combinato disposto del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, comma 1, primo periodo, e art. 3, comma 1, lett. c), l’esercizio delle attività di lavoro autonomo di cui all’art. 49 numerazione anteriore alle modifiche apportate dal D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, comma 1, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata: il requisito della autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui", con la precisazione che "costituisce poi onere del contribuente che richieda il rimborso fornire la prova dell’assenza delle condizioni anzidette".
C. I medesimi principi, all’evidenza, costituiscono il fondamento delle ulteriore due ultime censure atteso che, giuridicamente, l’utilizzazione "non occasionale" di "altri" soggetti (siano o meno "professionisti") per l’espletamento della propria attività professionale rappresenta proprio quell’autonoma organizzazione considerata dal legislatore produttiva del "valore aggiunto" che costituisce (cfr., Corte Cost. 21 maggio 2001 n. 156) l’indefettibile presupposto dell’imposta de qua, specie se si deduce (come esposto, nel caso, dallo "Studio") la necessità ("è costretto") di "condividere con altri professionisti lo svolgimento di parte della propria attività".
D. In definitiva la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti e la causa, siccome bisognevole dei conferenti accertamenti fattuali, deve essere rinviata a sezione diversa della medesima Commissione Tributaria Regionale che ha emesso la pronuncia annullata affinchè la stessa (7) esamini il gravame dello "Studio" facendo applicazione dei principi ribaditi al punto B e specificati al punto successivo (accertando specificamente l’entità e l’incidenza, a fini reddituali, della condivisione "con altri professionisti" dello "svolgimento diparte della… attività" professionale dello Studio), nonchè (2) provveda, altresì, a regolare tra le parti le spese processuali di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta i primi quattro motivi del ricorso dell’Agenzia;
accoglie gli ultimi due; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale del Lazio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 3 luglio 2012.
Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2012

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