Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 25-01-2011, n. 88

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Giunge in decisione l’appello interposto dai dottori De.Ni., Fi. e Ni. avverso la sentenza, di estremi specificati in epigrafe, con la quale il T.A.R. per la Sicilia, sede di Palermo, ha respinto, previa riunione, i ricorsi promossi in prime cure dagli odierni appellanti onde ottenere l’annullamento dei seguenti atti:

– i provvedimenti, emessi nelle date del 5 e 6 agosto 1997 dalla Commissione esaminatrice del concorso pubblico per titoli ed esami a 11 posti di referendario parlamentare (il cui bando fu pubblicato sulla G.U.R.S. del 26 agosto 1985), con i quali i ricorrenti sono stati esclusi dalle successive prove tecniche della selezione, per non avere superato le prove scritte;

– il decreto del Presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana (d’ora in poi "A.R.S.") del 20 novembre 1998, con il quale è stata approvata la graduatoria finale del suindicato concorso.

2. – Si sono costituiti, per resistere all’impugnazione, il controinteressato dottor Pa. e le amministrazioni evocate in giudizio.

3. – All’udienza pubblica del 29 giugno 2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

4. – Giova riferire succintamente i motivi che hanno condotto il primo Giudice a respingere l’impugnativa. A tal riguardo va riferito che il T.A.R. ha ritenuto infondata la censura con la quale gli odierni appellanti avevano denunciato in primo grado la violazione delle disposizioni in ordine alle modalità di valutazione delle prove scritte nei pubblici concorsi, previste dall’art. 7 del D.P.R. 3 maggio 1957, n. 686, come modificato dal D.P.R. 10 marzo 1989, n. 116, e dall’art. 14 del D.P.R. 9 maggio 1994, n. 487 (norme dalle quali, secondo la tesi patrocinata dai ricorrenti, discenderebbe l’obbligo della Commissione esaminatrice di procedere alla valutazione di tutti gli elaborati scritti al fine di operare una valutazione globale della preparazione dei candidati). A detta degli appellanti, la rilevanza delle disposizioni testé richiamate discendeva dall’art. 1 del Regolamento interno del personale dell’A.R.S., approvato con D.P.A. n. 159 del 6 maggio 1992, in base al quale al personale dell’A.R.S. sono applicabili, in quanto non diversamente disposto dal medesimo regolamento le norme riguardanti lo stato giuridico degli impiegati dello Stato.

Sul punto il Tribunale ha statuito che la predetta norma regolamentare si riferisce unicamente alla situazione giuridica dei dipendenti dell’A.R.S., di soggetti cioè per i quali si sia già instaurato il rapporto di servizio; viepiù il T.A.R. ha osservato che la disciplina dello stato giuridico ed economico del personale dell’A.R.S. è stabilita dalla stessa Assemblea alla quale lo Statuto della Regione Siciliana attribuisce una riserva di regolamento. Inoltre l’art. 7 del Regolamento interno del Personale dell’A.R.S. – che si raccorda con l’art. 166, 2° comma del Regolamento interno dell’A.R.S., secondo cui i "Regolamenti speciali, approvati dal Consiglio di Presidenza, determinano le norme che regolano l’assunzione, lo stato giuridico, l’ordinamento delle carriere … del personale …" – assegna al Consiglio di Presidenza il compito di stabilire le modalità di svolgimento dei concorsi finalizzati al reclutamento. La materia, pertanto, rientra – secondo il T.A.R. – nell’ambito dell’autonomia regolamentare interna dell’A.R.S. cui spetta l’indizione dei bandi di concorso e la previsione delle relative disposizioni procedurali.

Ha poi soggiunto il primo Giudice che l’art. 6 del bando stabiliva che sarebbero stati "… sottoposti alle prove tecniche di resoconto sommario i candidati che (avessero) conseguito un punteggio medio delle prove scritte non inferiore a 21/30 con non meno di 18/30 in ciascuna prova", ma che i ricorrenti non avevano conseguito il suddetto punteggio minimo di 18/30 nella prima prova scritta; la Commissione d’esame, pertanto, del tutto correttamente non aveva proseguito nella correzione dei restanti elaborati in applicazione della suindicata disposizione del bando, difettando altre norme (interne) che imponessero la diversa regola della valutazione globale delle prove scritte né potendo ricavarsi tale obbligo di valutazione globale dalle previsioni indicate dai ricorrenti.

Il T.A.R. infine ha respinto anche un ulteriore motivo di censura, affermando, contrariamente a quanto dedotto dai ricorrenti, che nei concorsi a pubblici impieghi l’attribuzione di un punteggio numerico esprime di per sé e in maniera adeguata, ancorché sintetica, il giudizio della commissione giudicatrice sulle prove sostenute dai singoli candidati e sui titoli da essi prodotti e che, quindi, non vi era alcuna necessità di corredare detto punteggio di una specifica motivazione.

5. – L’appello, diretto avverso talune delle statuizioni della sentenza sopra riferite nel loro contenuto essenziale, è affidato a due, non rubricati, mezzi di gravame, così riassumibili:

I) la commissione di concorso avrebbe dovuto valutare tutti gli elaborati, ivi incluse le prove dei concorrenti che, al pari degli appellanti, non avessero superato il punteggio di 18/30 in una delle prove scritte, e ciò in osservanza delle disposizioni già richiamate, giacché non derogate dal bando né dal regolamento interno del personale dell’A.R.S., e del parere reso dall’Adunanza generale del Consiglio di Stato nella seduta del 22 dicembre 1988.

II) la commissione giudicatrice, pur avendo dettagliatamente individuato i criteri e le modalità di valutazione delle prove, si è poi limitata, in violazione del principio generale scolpito nell’art. 3 della L. n. 241/1990, ad assegnare ai singoli elaborati un punteggio numerico, non accompagnato da alcuna motivazione in grado di evidenziare il collegamento tra il suddetto punteggio e i predeterminati criteri valutativi;

III) la superficialità delle operazioni di valutazione sarebbe comprovata in via sintomatica dall’esiguo tempo ad essa dedicato, atteso che, nella seduta del 6 agosto 1997, la commissione esaminò ben 43 temi, impiegando in media solo 6 minuti e 30 secondi per la valutazione di ciascun elaborato.

6. – Tutte le riferite doglianze sono completamente destituite di fondamento e, pertanto, l’appello merita integrale reiezione.

7. – La prima censura non ha pregio. Al riguardo va osservato – in aggiunta a quanto condivisibilmente rilevato dal T.A.R., anche in riferimento al parere del Consiglio di Stato n. 1987/1998 – che l’art. 7 del D.P.R. 3 maggio 1957, n. 686, come modificato dal D.P.R. 10 marzo 1989, n. 116, e l’art. 14 del D.P.R. 9 maggio 1994, n. 487 prevedono esclusivamente che il riconoscimento delle prove, realizzato attraverso il disvelamento del nominativo del candidato corrispondente al numero assegnato alla busta contenente i relativi elaborati, debba intervenire soltanto a conclusione dell’esame e del giudizio. Tuttavia da detta regola, di c.d. "valutazione globale" degli elaborati, non è desumibile, come sostenuto invece dagli appellanti, il preteso obbligo della commissione di valutare tutti gli scritti, anche quando il singolo candidato non abbia raggiunto il punteggio minimo richiesto in ciascuna prova scritta. Anzi, plurimi argomenti militano a supporto di una diversa interpretazione delle riferite disposizioni, nel senso cioè della necessità di una valutazione globale – almeno nel caso in cui il bando imponga un punteggio minimo per ogni prova scritta – solo quando tutti gli elaborati del medesimo candidato (ancora anonimo) abbiano superato la suddetta soglia di ammissibilità. Tanto discende, invero, da un’esegesi sistematica delle riferite previsioni alla luce dei principi generali del diritto amministrativo. Tra questi vengono soprattutto in rilievo, nella fattispecie, il divieto di aggravamento del procedimento (di cui all’art. 1, comma 2, della L. n. 241/1990) che preclude il compimento di qualunque attività non strettamente necessaria al raggiungimento delle finalità proprie di ciascun procedimento e pure il principio di legalità sostanziale – ora legificato dall’art. 21-octies, comma 2, della suddetta legge, ma ancora prima "vivente" nelle pronunce giurisprudenziali – secondo cui l’annullamento di un atto amministrativo non può scaturire da una violazione meramente formale delle norme procedimentali.

Sotto il primo aspetto è evidente che il buon andamento esclude che l’amministrazione debba compiere attività ultronee rispetto allo scopo perseguito. Una volta calato il suddetto principio nella vicenda in esame, emerge in modo evidente la legittimità dell’operato della commissione giudicatrice la quale, in presenza di una norma di bando che stabiliva chiaramente la regola della non ammissibilità alle prove successive dei candidati che non avessero raggiunto un punteggio minimo, ha ben deciso, in ossequio all’esigenza di speditezza e di economia dei mezzi giuridici, di astenersi dall’esaminare gli altri elaborati degli odierni appellanti, atteso che l’esito della complessiva valutazione dei rispettivi scritti comunque non avrebbe potuto sortire un esito differente (id est, la non ammissione degli stessi alle prove orali).

Per altro verso conduce alla medesima conclusione una diversa considerazione, relativa alla circostanza che i ricorrenti si sono limitati a contestare la mera illegittimità della scelta compiuta dalla commissione. In altri termini, gli appellanti si dolgono della pretesa violazione procedimentale, ma non contestano il punteggio, insufficiente, loro assegnato nelle prove già corrette. Ed invero, atteso che il voto, inferiore a 18/30, risulta correttamente motivato (v. infra) e in assenza della denuncia di palesi abnormità o di altri manifesti arbitrii o travisamenti nell’esercizio dell’ampia discrezionalità tecnica riservata alla commissione, la censura, quand’anche ipoteticamente accolta, non avrebbe condotto ad alcuna conseguenza pratica favorevole agli appellanti, rimanendo comunque il giudizio negativo espresso sugli elaborati in questione. Ma, come accennato, l’ordinamento, che è ispirato a principi di sana ed efficiente amministrazione, non consente di annullare atti in ragione della consumazione di violazioni di legge meramente formali e, quindi, prive in concreto di effetti vantaggiosi per chi le deduca.

Correttamente, pertanto, il primo Giudice ha affermato che: "la previsione che i temi di ciascun candidato siano riuniti in un’unica busta, non comporta che si debba necessariamente effettuare la correzione di tutti gli scritti, ma è piuttosto finalizzata a rendere più spedito il lavoro della commissione evitando di proseguire oltre nella valutazione qualora in una prova il candidato non raggiunga la votazione minima richiesta".

8. – Non può poi essere accolta la seconda censura. In ordine alla sufficienza del solo punteggio numerico (peraltro, nella specie, assegnato sulla base di predeterminati criteri) il quadro giurisprudenziale si è ormai stabilizzato nel senso che, anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 3 della L. n. 241/1990, il voto attribuito dalle competenti commissioni alle prove (scritte e orali) di un concorso pubblico, esprime e sintetizza il giudizio tecnico-discrezionale della commissione stessa, contenendo in sé la sua stessa motivazione, senza bisogno di ulteriori spiegazioni e chiarimenti (ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. IV, 9 settembre 2009, n. 5410; 31 ottobre 2006, n. 7284; 7 marzo 2005, n. 900; C.G.A., sez. giurisdizionale, 10 giugno 2009, n. 499; 22 aprile 2002, n. 260 e n. 238). L’esistenza di un tale principio del diritto vivente è stata certificata anche dalla Corte costituzionale (di recente, nella sentenza n. 20 del 30 gennaio 2009). Non è inoltre strettamente indispensabile, ai fini della valutazione della legittimità delle operazioni di valutazione, l’apposizione sugli elaborati di glosse, segni grafici o altre indicazioni di altro tipo (Cons. St., sez. IV, 25 novembre 2009, n. 5846).

9. – Infine va respinta anche la terza doglianza, in quanto l’esiguità del tempo, in media dedicato dalla commissione alla valutazione di ciascun elaborato, non costituisce un indizio necessario dell’illegittimità delle relative valutazioni per eccesso di potere. Il riferimento a una media non consente infatti di conoscere quale sia stato il tempo effettivamente dedicato dalla commissione alla valutazione di ciascun elaborato e, quindi, in assenza di altri circostanziati elementi di riscontro, siffatto elemento, da solo, non consente di ritenere che l’ipotizzata superficialità della valutazione abbia riguardato proprio gli scritti degli appellanti. Va allora condiviso, attagliandosi alla fattispecie concreta, quell’indirizzo esegetico secondo cui non è sindacabile, in sede di legittimità, la congruità del tempo dedicato dalla commissione giudicatrice alla valutazione delle prove d’esame di candidati sia perché difetta, in via generale, una predeterminazione normativa, ove pure di massima, dei tempi da dedicare alla valutazione degli scritti sia perché non è possibile stabilire, sulla base di un computo meramente aritmetico e presuntivo, quali concorrenti abbiano fruito di maggiore o minore considerazione e se, quindi, il vizio dedotto infici in concreto i giudizi oggetto della controversia (Cons. St., sez. IV, 4 febbraio 2008, n. 294).

In ogni caso occorre ribadire che non è stata contestata la congruità dei punteggi assegnati, ma è stato unicamente addotto il rilievo dell’asserita insufficienza del tempo medio di correzione rispetto alla lunghezza degli elaborati (di sei o sette pagine). Una deduzione del genere non è tuttavia dirimente, dal momento che la valutazione di uno scritto di sei o sette pagine può durare anche un tempo inferiore a sei minuti e trenta secondi qualora lo svolgimento della traccia presenti, fin dalle prime pagine, asserzioni palesemente errate e tali da condizionare irrimediabilmente e in senso negativo il giudizio complessivo.

10. – Alla stregua dei superiori rilievi ritiene il Collegio di poter assorbire ogni altro motivo o eccezione, in quanto ininfluenti e irrilevanti ai fini della presente decisione.

11. – Si ravvisano giustificati motivi per compensare integralmente tra le parti le spese processuali del secondo grado del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, respinge l’appello.

Compensa integralmente tra le parti le spese processuali del secondo grado del giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, nella camera di consiglio del 29 giugno 2010, con l’intervento dei signori: Paolo D’Angelo, Presidente f.f., Guido Salemi, Gabriele Carlotti, estensore, Filippo Salvia, Pietro Ciani, componenti.

Depositata in Segreteria il 25 gennaio 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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