Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 31-01-2013) 22-03-2013, n. 13533

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Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Bologna, con sentenza in data 3.06.2011, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Forlì del 22.04.2010 – con la quale To.Br. e T.C. erano stati assolti, per insussistenza del fatto, dal reato di omicidio colposo loro ascritto – affermava la penale responsabilità della sola T.C. e, concesse le attenuanti generiche equivalenti alla aggravante contestata, condannava l’imputata alla pena di giustizia, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile, accertando la colpa concorrente della vittima nella misura del 50%. La Corte territoriale assegnava una provvisionale di Euro 20.000,00. Ai prevenuti si contesta di aver cagionato colposamente, con violazione delle norme sulla circolazione stradale, in cooperazione tra loro, il decesso di D.M.R., in relazione al sinistro verificatosi il (OMISSIS) sulla carreggiata della autostrada A 14, nel tratto tra (OMISSIS), secondo la seguente dinamica: D.M.R., alla guida dell’autovettura Citroen Saxo, percorreva il richiamato tratto autostradale quando, verosimilmente a causa della velocità elevata, rispetto alle condizioni di tempo e luogo (ora notturna, asfalto bagnato, pioggia battente in atto) perdeva il controllo del veicolo, collideva con la barriera centrale e si fermava sulla corsia di sorpasso, in posizione contraria rispetto a quella di marcia; nel mentre, sopraggiungeva la vettura Audi A3 condotta da T.C., impegnando a sua volta la corsia di sorpasso; a causa dell’urto tra i due veicoli, la Citroen veniva sospinta in avanti, per circa sessanta metri; l’auto effettuava una rotazione e si collocava quindi in posizione trasversale, rispetto al senso di marcia. Sopraggiungevano, poi, una terza vettura, che evitava la collisione con i mezzi che occupavano la carreggiata; ed una quarta auto, condotta da To.Br., che a sua volta impattava contro la Citroen, attingendo la fiancata sinistra del veicolo.

Il Collegio, nel censire i motivi di doglianza dedotti dal Procuratore Generale e dalla parte civile, rilevava la fondatezza delle censure mosse alla sentenza assolutoria resa dal primo giudice, in riferimento alla posizione della T..

Con riguardo alla posizione del To., la Corte di Appello rilevava che gli effettuati accertamenti peritali inducevano a ritenere che la condotta del To. non avesse avuto efficienza causale rispetto al decesso della vittima, la quale aveva subito lesioni encefaliche, severe e non reversibili, a causa del primo impatto, con l’Audi condotta dalla T..

2. Avverso la richiamata sentenza della Corte di Appello di Bologna ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la medesima Corte di Appello, in riferimento alla conferma della assoluzione dell’imputato To.Br., deducendo carenza di motivazione e travisamento della prova.

La parte ritiene non condivisibili le conclusioni raggiunte dai giudici di secondo grado, nell’apprezzare il complessivo contenuto degli elaborati peritali, sulla dinamica del sinistro e sulle lesioni riportate dalla vittima; ed assume che la condotta del To.

abbia avuto valenza concausale rispetto alla verificazione dell’evento morte, in assenza di prova certa circa la sufficienza della causa individuata come idonea a determinare l’evento. Sotto altro aspetto, il Procuratore Generale rileva che la Corte territoriale ha omesso di applicare la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, ex art. 222 C.d.S., nei confronti della imputata T., benchè ritenuta responsabile del delitto di omicidio colposo, in violazione delle norme del codice della strada.

3. Avverso la richiamata sentenza della Corte di Appello di Bologna ha proposto ricorso per cassazione T.C., a mezzo del difensore.

Con il primo motivo, la parte deduce violazione di legge e vizio motivazionale. Osserva che la Corte di Appello ha ritenuto che la T. procedesse a velocità non prudenziale; e che il Collegio ha ritenuto che una velocità pari a 75 Km/h avrebbe consentito di evitare l’impatto con la Saxo. Al riguardo, parte ricorrente evidenzia che la Corte di Appello ha rilevato che l’altro automobilista sopraggiunto sul tratto interessato dal sinistro, S., ebbe ad evitare la collisione con il veicolo condotto dalla D.Meo, spostandosi sulla corsia centrale. L’esponente sottolinea che S. non effettuò alcuna manovra di emergenza, come dallo stesso dichiarato, atteso che il predetto automobilista già stava occupando la corsia centrale di marcia. Parte ricorrente osserva poi che la motivazione della sentenza si pone in contrasto con specifiche risultanze processuali. Al riguardo, rileva che risulta provata la presenza di detriti sul manto stradale, a seguito dell’impatto della Saxo condotta dalla D.M. con il new jersey; e che la Saxo, a causa del predetto impatto, era rimasta priva di ogni segnalazione luminosa, come rilevato dal consulente del pubblico ministero, sin dalle indagini preliminari. La ricorrente censura poi la decisione impugnata, laddove i giudici di merito hanno ritenuto non significativa la deposizione resa dalla testimone Sa., in ordine all’accertamento della velocità di marcia tenuta dalla T. al momento del sinistro.

Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione di legge, in relazione all’art. 43 c.p.; ritiene che la Corte di Appello abbia affermato la penale responsabilità dell’imputata, per effetto del mero superamento dei limiti di velocità; osserva che in materia di reati colposi la violazione della regola cautelare non basta ad integrare la colpa penalmente rilevante, essendo necessaria la prevedibilità ed evitabilità dell’evento. L’esponente osserva che correttamente il giudice di primo grado aveva ritenuto che alla T. non potesse muoversi alcun rimprovero di colpa, in ragione della imprevedibilità della situazione data dalla presenza di un veicolo fermo in corsia di sorpasso, per di più privo dei dispositivi di illuminazione. La ricorrente rileva che la T. tentò comunque una manovra di emergenza e che nulla di più poteva pretendersi dalla automobilista, in tale condizione.

Ritiene che il concorso di colpa della D.M., stimato dei giudici nel 50%, alla luce delle richiamate evenienze, debba essere valutato in misura ben più alta.

Con il terzo motivo, la ricorrente deduce la violazione dell’art. 530 c.p.p., comma 2; osserva che il quadro probatorio risulta incompleto e contraddittorio, di talchè si sarebbe imposta una pronuncia assolutoria, ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2.

L’esponente rileva che il pubblico ministero procedente aveva richiesto l’archiviazione e che nonostante le numerose consulenze e perizie, non si è accertata la velocità dei veicoli e non è stata espletato l’accertamento autoptico.

4. To.Br., a mezzo del difensore, ha depositato memoria, con la quale chiede il rigetto del ricorso proposto dal Procuratore Generale.

Motivi della decisione

5. Ci si sofferma in primo luogo sul ricorso proposto dal Procuratore Generale.

5.1 Le doglianze che involgono la posizione dell’imputato To.

si pongono al limite della inammissibilità.

Come noto, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, il vizio logico della motivazione deducibile in sede di legittimità deve risultare dal testo della decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le varie proposizioni inserite nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze processuali; con la conseguenza che il sindacato di legittimità "deve essere limitato soltanto a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza spingersi a verificare l’adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali" (in tal senso, "ex plurimis", Cass. Sez. 3, n. 4115 del 27.11.1995, dep. 10.01.1996, Rv. 203272).

Tale principio, più volte ribadito dalle varie sezioni di questa Corte, è stato altresì avallato dalle stesse Sezioni Unite le quali, hanno precisato che esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per i ricorrenti più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Cass. Sez. U, Sentenza n. 6402 del 30/04/1997, dep. 02/07/1997, Rv.

207945). E la Corte regolatrice ha rilevato che anche dopo la modifica dell’art. 606 c.p.p., lett. e), per effetto della L. 20 febbraio 2006, n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasto preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 17905 del 23.03.2006, dep. 23.05.2006, Rv. 234109). Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1769 del 23/03/1995, dep. 28/04/1995, Rv. 201177; Cass. Sez. 6, Sentenza n. 22445 in data 8.05.2009, dep. 28.05.2009, Rv. 244181).

5.1.2 Tanto premesso, si osserva che la parte pubblica ricorrente ritiene non condivisibili le conclusioni raggiunte dai giudici di secondo grado, nell’apprezzare il complessivo contenuto degli elaborati peritali, sulla dinamica del sinistro e sulle lesioni riportate dalla vittima; e prospetta una diversa ricostruzione del compendio probatorio, volta a ritenere che la condotta del To.

abbia in realtà avuto valenza concausale rispetto alla verificazione dell’evento morte. Al riguardo, è allora il caso di considerare che la Corte di Appello ha espressamente evidenziato che doveva ritenersi accertato che To. procedesse ad una velocità di marcia non prudenziale. Il Collegio, peraltro, con rilievo di ordine dirimente ai fini dell’esclusione della responsabilità dell’imputato, ha evidenziato che non era stata raggiunta la prova relativa alla sussistenza del nesso di derivazione causale tra la condotta imprudente e l’evento morte verificatosi, richiamando le dichiarazioni rese in dibattimento dal perito medico legale, in ordine alla entità delle lesioni riportate dalla vittima, per effetto dell’impatto con l’auto condotta dalla imputata T.. E, sul punto, la Corte distrettuale ha osservato, del tutto logicamente, che nessuna delle lesioni provocate alla D.M. dal successivo urto con l’auto condotta dal To. poteva considerarsi mortale.

5.2 Diverso ordine di considerazioni si impone analizzando il ricorso proposto dal Procuratore Generale, in riferimento alla posizione della imputata T.C.. Atteso che l’affermazione di penale responsabilità della predetta imputata si fonda su di un percorso argomentativo che non presenta fratture di ordine logico rilevabili in sede di legittimità o altri vizi deducibili – come subito si vedrà soffermandosi sul ricorso della imputata T. – si osserva che la Corte territoriale ha effettivamente omesso di procedere all’applicazione della sanzione amministrativa accessoria prevista dalla legge. A mente del disposto di cui all’art. 222 C.d.S., commi 2 e 2 bis, infatti, all’accertamento del reato per il quale si procede consegue l’applicazione della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida.

Poichè l’applicazione in concreto di tale sanzione comporta l’uso dei poteri discrezionali riservati al giudice del merito, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve essere annullata, limitatamente alla omessa applicazione della predetta sanzione amministrativa accessoria, con rinvio alla Corte di Appello di Bologna.

6. Il ricorso proposto nell’interesse della imputata T. muove alle considerazioni che seguono.

6.1 Ci si sofferma sulla deduzione contenuta nel primo motivo di ricorso, ove l’esponente deduce il vizio motivazionale della sentenza impugnata, laddove la Corte di Appello ha considerato che il conducente S., a propria volta in transito sulla A14 nella medesima direzione di marcia, riuscì ad evitare l’impatto con la vettura condotta dalla D.M.. A sostegno dell’assunto la parte richiama il contenuto delle dichiarazioni spontanee rese dal medesimo S. in data 18.08.2005. Orbene, la questione che occupa non risulta adeguatamente prospettata nel presente ricorso, atteso che il deducente non ha allegato alcuna documentazione a sostegno del motivo di censura. Questa Suprema Corte ha, invero, ripetutamente affermato che l’atto di ricorso deve essere autosufficiente, nel senso che deve contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16851 del 02/03/2010, dep. 04/05/2010, Rv. 246980).

Pertanto, deve rilevarsi che la censura in esame non risulta autosufficiente, rispetto al motivo di doglianza.

E’ poi appena il caso di considerare che la Corte di Appello di Bologna, in riferimento alla affermazione di penale responsabilità di T.C., nel riformare la sentenza assolutoria resa dal primo giudice, ha sviluppato un articolato percorso argomentativo che involge l’analisi complessiva dell’acquisito compendio probatorio e che risulta immune da censure deducibili in sede di legittimità; e tanto si afferma anche prescindendo dalla considerazione, effettuata dai giudici di merito, relativa alla condotta posta in essere dal conducente S., per le ragioni che si vengono ad esporre.

6.2 Introdotta in tali termini la disamina delle ulteriori questioni affidate al primo motivo di ricorso, congiuntamente ai restanti motivi di doglianza, si osserva che la Corte distrettuale ha rilevato che risultava accertato che la T. stesse procedendo a velocità di marcia inadeguata, rispetto alle condizioni di tempo e di luogo, tenuto in particolare conto: dell’ora notturna e della pioggia battente. Al riguardo, il Collegio ha evidenziato – con rilievo di ordine dirimente – cha, a causa dell’impatto con la vettura condotta dalla T., l’auto della vittima venne spostata di ben 60 metri e che l’Audi A3 condotta dall’imputata si arrestò dopo aver percorso ulteriori 176 metri, rispetto al punto d’urto.

Tanto chiarito, la Corte territoriale ha considerato che qualora la T. avesse proceduto alla velocità prudenziale, stimata in a 75 chilometri orari, avrebbe certamente evitato il sinistro, ponendo in essere una manovra di emergenza. Il Collegio ha pure chiarito che non vi era alcuna prova del fatto che la vettura della D.M. fosse rimasta priva dei dispositivi di illuminazione, in conseguenza del primo urto, avvenuto contro la barriera spartitraffico. E deve sottolinearsi che la Corte distrettuale ha ritenuto accertato un concorso di colpa della vittima nella misura del 50%, essendo stata la D.M. a creare, colposamente, una situazione di ostacolo per le auto che sopraggiungevano.

Ebbene, le richiamate considerazioni, afferenti all’apprezzamento dei profili di ascrivibilità colposa della condotta all’odierna imputata, sviluppate dai giudici di merito sulla base delle acquisite risultanze istruttorie, non possono essere sindacate in questa sede di legittimità, non risultando manifestamente illogiche. Si osserva, inoltre, che la Corte di Appello ha effettuato una valutazione sulla prevedibilità ed evitabilità – in concreto – dell’evento, del tutto conforme all’orientamento interpretativo indicato dalla Suprema Corte in tema di colpa specifica, in relazione alle norme cautelari c.d.

elastiche; norme, cioè, che consentono di qualificare un comportamento colposo proprio sulla base delle circostanze contingenti (cfr. Cass. Sez. 4, sentenza n. 37606 del 6.07.2007, dep. 12.10.2007, Rv. 237050). Le effettuate valutazioni, in ordine alla inadeguatezza della velocità di marcia tenuta dalla prevenuta, rispetto al concreto campo visivo a disposizione del guidatore ed alle condizioni del manto stradale, quale profilo di colpa ascrivibile alla T., pure a fronte della presenza dell’ostacolo fermo sulla corsia di sorpasso, determinato dalla concorrente condotta colposa della vittima, risultano pertanto immuni dalle dedotte censure.

7. Al rigetto del ricorso, segue la condanna della ricorrente T. al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di T.C., limitatamente alla mancata applicazione della sospensione della patente di guida e rinvia sul punto alla Corte di Appello di Bologna.

Rigetta il ricorso del Procuratore Generale nei confronti di To.

B..

Rigetta inoltre il ricorso di T.C. che condanna al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2013

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