Cass. civ. Sez. V, Sent., 03-08-2012, n. 14052

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Svolgimento del processo
La CTR della Lombardia, con la sentenza n. 80/27/09, depositata il 14.7.2009, ha confermato la decisione della CTP di Milano che, su ricorso della S.p.A. I. A. C., importatrice dalla Giamaica di prodotti di maglieria, aveva annullato la sanzione ex art. 303 del TULD. I giudici d’appello hanno ritenuto che l’ipotesi, contestata nella specie, di dichiarazione non veritiera relativa all’origine della merce, non era contemplata dalla norma incriminatrice, ed hanno, perciò, escluso la fondatezza dell’interpretazione storico-esegetica sostenuta dalla Dogana, perchè contraria al principio della riserva di legge in materia di sanzioni amministrative; considerazione che assorbiva l’esame della questione relativa alla sussistenza dell’elemento psicologico, oggetto del secondo motivo dell’appello dell’Ufficio.
L’Agenzia delle Dogane ricorre per la cassazione di tale sentenza, sulla scorta di due motivi, ai quali resiste con controricorso la Società. Le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
Col primo motivo, deducendo violazione dell’art. 303 del TULD, del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, art. 12 preleggi, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente sostiene che la sanzione prevista dall’art. 303 cit. riguarda ogni ipotesi di difformità/falsità della dichiarazione doganale in ordine ai suoi elementi essenziali, afferenti, cioè, oltre che a valore, quantità, qualità delle merci, anche, all’origine delle merci stesse, atteso che il comma 3 della norma in esame non pone distinzioni di fattispecie e che il comma 1 menziona le difformità di qualità da interpretarsi estensivamente (e non analogicamente) come comprensive anche delle diversità di origine. Sotto altro profilo, prosegue la ricorrente, la CTR ha errato nel non considerare i principi generali che disciplinano il sorgere delle obbligazioni doganali e nel non tener conto che il relativo mancato adempimento costituisce fonte della responsabilità sanzionatoria di cui all’art. 303 del TULD, norma a presidio di ogni irregolarità ascrivibile all’operatore in materia di obblighi di dichiarazione.
Col secondo motivo, la ricorrente denuncia il difetto di motivazione non avendo la CTR fornito adeguata spiegazione delle ragioni per giungere alla sua (errata) conclusione, di escludere dall’ambito della sanzione di cui all’art. 303 del TULD la difformità della dichiarazione circa l’origine della merce.
Il primo motivo è fondato ed assorbente. Va ricordato che questa Corte, con due decisioni del 1999 (nn. 2590 e 10898), ha chiarito che la fattispecie regolata dall’art. 303 del TULD è sostanzialmente unica, in quanto il suo contenuto è delineato nel comma 1, mentre il comma 3 configura solo una circostanza aggravante. Ciò, diversamente dall’assunto dalla contribuente, non è risolutivo: è vero che la norma punitiva menziona, nel descrivere l’illecito amministrativo, solo valore, quantità e qualità della merce, ma la scomparsa del riferimento testuale all’origine è logicamente e giuridicamente irrilevante. E’ noto, infatti, che il concetto giuridico di qualità è inerente alla natura della merce e, secondo la giurisprudenza civilistica, riguarda le differenze di sostanza, di razza, di materia, di tessuto, di fibra, di colore, di metodo e di origine (cfr. in particolare Cass. n. 2544/1970, in tema di mancanza delle qualità promesse ex art. 1497 c.c.). Del resto, è indiscutibile, sul piano logico, che la qualità di una merce non sia altro che il coacervo degli elementi distintivi di essa e tra i medesimi il dato di origine assume una connotazione del tutto peculiare. Se ciò vale sul piano del linguaggio giuridico civilistico, non si vede perchè il legislatore tributario abbia dovuto adottare, nel 1973, una diversa nozione di qualità, come attinente alla sola sostanza dei beni oggetto d’importazione e non alla loro origine/provenienza da un determinato Paese. L’interpretazione propugnata dall’Ufficio è, poi, coerente all’intero sistema doganale nazionale (D.Lgs. n. 374 1902, art. 8 e art. 4, comma 2; artt. 65, 73, 84, 91, 149, 165, 175 179 etc del TULD) e comunitario (artt. 1 e 4 del Reg 802/68; Cod. Dog. Tit. 2 cap. 2, artt. 58, 133, 147, 220) che, com’è ovvio, si caratterizza proprio per la particolare attenzione ai luoghi di origine e provenienza delle merci.
Nella specie, va rilevato che le merci giamaicane, scortate dall’apposito certificato d’origine EUR. 1, beneficiano di esenzione dal dazio all’atto dell’importazione nell’UE, in virtù dell’Accordo di Cotonou (cfr. artt. 1 e 100; Allegato V, art. 1, e correlato Protocollo 1, artt. 2 n. 1, 15 n. 1, 28 n. 1, 31 n. 1-2 comma 1, 32) tra UE’ e i Paesi dell’Area ACP (Africa, Caraibi, Pacifico): il rilievo centrale della veridicità dell’origine delle merci importate si mostra con tutta evidenza, essendo il presupposto del trattamento daziario preferenziale (v. per un altro esempio il cd. "cumulo regionale" per l’Area ASEAN: Brunei, Indonesia, Laos, Vietnam, etc.).
Ne deriva che, seguendo la tesi della CTR, resterebbe privo di copertura – dunque di deterrenza sanzionatoria – proprio il punto più delicato del complesso sistema con il quale TUE accorda preferenze tariffarie a taluni prodotti originari di Paesi in via di sviluppo, ai sensi del Reg. 2454/93 (art. 66 e segg.), che individua, appunto, nella prova dell’origine della merce il fulcro centrale della prevenzione antifrodi (v. anche Ali. V all’Acc. Cotonou, art. 2 n. 1).
Pertanto, tenuto conto del rilievo imprescindibile e prioritario del concetto di "origine" nelle fonti comunitarie e nazionali e della sua inerenza, logica e giuridica, alla nozione di qualità come tradizionalmente affermatasi nell’esperienza civilistica di diritto interno, si deve concludere che il legislatore del 1973, nel fare trasmigrare il vecchio art. 118 L.D. nel nuovo art. 303 TULD e nell’omettere il riferimento all’origine delle merci, abbia realizzato, solo, una mera semplificazione testuale, ampiamente giustificata, sul piano lessicale, proprio dall’inerenza del dato di "origine" alla nozione riassuntiva e omnicomprensiva di qualità.
Analogamente si è comportato il legislatore del 2012 nel decreto sulla semplificazione fiscale, che ha solo ridisegnato il regime sanzionatorio dell’art. 303 TULD mediante il D.L. n. 16 del 2012, art. 11, comma 4. Anzi, la Relazione (in Atti parlamentari – Senato della Repubblica – n. 3184 – pag. 63) evidenzia che "la norma rappresenta un presidio per le condotte che pur non essendo ascrivibili a fattispecie penalmente rilevanti, costituiscono grave pregiudizio per la scorrevolezza dei traffici e per l’efficienza dei controlli" e rileva che si tratta di "norme poste a presidio della correttezza e della completezza delle dichiarazioni doganali" e dirette a sollecitare "l’attenzione delle categorie professionali e degli operatori economici che agiscono nel commercio internazionale".
Dunque, dinanzi a una parola dotata di più significati come "qualità", la sua accezione giuridica va contestualizzata in relazione alla disposizione, nella specie sanzionatoria, dove è inserita e al bene giuridico che detta disposizione tutela: ossia, quanto all’art. 303 TULD, la correttezza e la completezza delle dichiarazioni doganali in funzione della circolazione delle merci e dell’efficienza dei controlli, i quali non possono che caratterizzarsi proprio per la particolare attenzione ai luoghi di origine delle merci transfrontaliere.
L’accoglimento del primo motivo, comporta la cassazione della sentenza, restando assorbito il vizio motivazionale denunciato col secondo mezzo, e la causa va rinviata alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, per l’esame della questione relativa alla sussistenza dell’elemento psicologico, oggetto del secondo motivo dell’appello dell’Ufficio, e per statuire sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il primo motivo, assorbito il secondo, cassa e rinvia, anche per le spese, alla CTR della Lombardia, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 7 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2012

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