Cass. civ. Sez. V, Sent., 03-08-2012, n. 14028

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Il comune di Roma ha chiesto, sulla base di due motivi variamente articolati al loro interno, la cassazione della sentenza n. 447/1/2006 con la quale la commissione tributaria regionale del Lazio, pronunciando in sede di rinvio conseguente alla cassazione dell’anteriore sentenza delle medesima commissione regionale n. 5/23/2000, aveva respinto l’appello contro la decisione della commissione provinciale di Roma, di accoglimento di separati ricorsi dell’Anffas contro due avvisi di accertamento riguardanti la Tosap per l’anno 1994.

L’imposta era stata richiesta dal comune con riferimento a due aree scoperte site all’interno della villa (OMISSIS).

La sentenza ha ritenuto che le aree in discussione fossero parte del patrimonio disponibile del comune, sottoposte a canone di concessione e destinate, da parte dell’Anffas, a un centro di promozione umana e sociale per persone disabili e portatrici di handicap. E ha affermato che per le stesse aree non era ravvisabile una sottrazione all’uso pubblico. L’intimata si è costituita con controricorso.

Motivi della decisione

1. – Nei due motivi di ricorso, il comune solleva censure: (a) di insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio; (b) di violazione e falsa applicazione degli artt. 822 e 824 c.c. e della L. n. 1089 del 1939, in relazione al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 38 e art. 192 del Tufl; (c) di violazione dell’art. 115 c.p.c.; ancora (d) di omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio.

I motivi sono tuttavia inammissibili ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c., cui la controversia è soggetta in considerazione della data di pubblicazione della sentenza d’appello (16.1.2007).

2. – A conclusione del ricorso risultano invero redatti, in sequenza, quattro quesiti inidonei allo scopo: (aa) il primo, in asserita relazione al vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione, non contiene l’enunciazione del fatto controverso, rispetto al quale la motivazione andrebbe ritenuta carente, e le connesse ragioni di decisività rispetto alla decisione finale; (bb) il secondo, in asserita relazione alla censura di violazione e falsa applicazione degli artt. 822 e 824 c.c. e della L. n. 1089 del 1939, omette l’indicazione della fattispecie: non specifica nè la regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, nè il diverso principio che il ricorrente assume invece corretto in sostituzione del primo; donde si risolve in una interrogazione incomprensibile finanche rispetto all’astratta ricognizione della disciplina normativa che, secondo il ricorrente, rileverebbe nell’ambito del giudizio (v. sez. un. n. 12339/2010);

(cc) il terzo, in asserita relazione alla censura di violazione di norma processuale (art. 115 c.p.c.), si palesa limitato all’inciso che "la commissione regionale non avrebbe potuto fondare la propria decisione sulla circostanza della sottrazione al godimento della collettività delle aree oggetto di causa"; cosicchè appare viziato da eguale manchevolezza espositiva, sì da non consentire alla Corte di cogliere il senso ultimo della doglianza in rapporto all’evocato art. 115 c.p.c. (disponibilità delle prove);

(dd) il quarto, ancora in asserita relazione al vizio di omessa motivazione, confonde il fatto controverso (id est, la specifica risultanza decisiva) con la sottostante questione giuridica (l’individuazione della natura delle aree occupate dall’Anffas); e riferisce l’omissione a fattori conchiusi in formula indistinta ("avendo l’odierna ricorrente, nei precedenti gradi di giudizio, fornito al riguardo un adeguato supporto probatorio e formulato specifiche eccezioni in tal senso"); cosicchè, in sostanza, si rivela indeterminato rispetto all’onere di specifica enunciazione del fatto controverso cui parametrare l’omissione.

3. – L’inidonea formulazione dei quesiti è causa di inammissibilità dei motivi proposti; e tanto determina il rigetto del ricorso. Spese processuali alla soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida in Euro 7.000,00, di cui Euro 100,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione quinta civile, il 6 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2012
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