Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 31-01-2013) 11-03-2013, n. 11257

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
1. R.F.D. e C.A. sono stati ritenuti dal tribunale di Varese responsabili del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale relativamente alla società I. s.r.l., dichiarata fallita con sentenza del 02/10/1995 e pertanto condannati rispettivamente alla pena di anni cinque ed anni quattro di reclusione, oltre alle pene accessorie specifiche.
2. Proposto appello dagli imputati, la Corte territoriale di Milano confermava integralmente la sentenza di primo grado.
3. Propongono ricorso per cassazione entrambi gli imputati per i seguenti motivi;
4. R.F.D.:
a. mancanza o manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione per travisamento della prova incidente sul travisamento del fatto che ha determinato l’accertamento della responsabilità penale; in particolare si lamenta: – la ritenuta inattendibilità del teste B.M., rispetto alle dichiarazioni rese dal teste, già coimputato, F.; – il travisamento della prova anche con riferimento alla bancarotta documentale, nonchè l’assenza totale di motivazione sul punto nella sentenza di primo e secondo grado; – l’erronea interpretazione delle risultanze probatorie ed in particolare la ritenuta attendibilità ai sensi dell’art. 192 c.p.p., dei testi F. e Co. (a tal proposito si lamenta che l’attendibilità dei predetti avrebbe dovuto essere sottoposta a rigoroso e motivato vaglio critico, in quanto soggetti recanti un interesse specifico nel sostenere le ragioni contrarie a quelle del R.).
Violazione di legge per la condanna accessoria irrogata nella misura di anni 10 e non invece In misura proporzionale alla pena (questo motivo è infondato a seguito dell’intervento della Corte costituzionale con sentenza 143 del 2012).
5. Con motivi aggiunti depositati il 17/07/2012 il difensore dell’imputato svolge ulteriori considerazioni in ordine ai vizi di travisamento della prova per difetto di motivazione.
6. Il 26/07/2012 la difesa dell’imputato deposita ulteriore memoria illustrativa contenente ancora osservazioni sulle valutazioni di attendibilità operate dalla Corte d’appello.
7. C.A..
a. erronea applicazione della L. Fall., art. 216, n. 2, e art. 219, nonchè mancanza di motivazione in relazione alla bancarotta documentale; secondo la difesa sia il giudice di primo grado, sia la Corte d’appello non avrebbero speso neanche una parola per motivare in base a quali prove testimoniali e/o documentali si potesse risalire alla responsabilità del C. circa la bancarotta documentale.
b. Violazione dell’art. 37 c.p., per avere la Corte irrogato la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici nella misura fissa di cinque anni, durata superiore a quella della pena principale, senza fornire adeguata motivazione in proposito.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso del R. è inammissibile in quanto manifestamente infondato ed altresì generico con riferimento alle valutazioni di attendibilità dei testi F. e Co.
in relazione alle dichiarazioni di B.M.; la Corte d’appello alla pagina sette della sentenza ha, invero, spiegato le ragioni per cui ha ritenuto inattendibile il B. ed invece attendibili le dichiarazioni rese da F. e Co. (cfr.
pag. 7, 2 e 3 capoverso). Il riferimento in ricorso al travisamento della prova è del tutto errato, o quantomeno privo della necessaria specificità, non essendo in alcun modo evidenziato un dato probatorio certo ed incontestabile, oggetto di erronea percezione da parte della Corte. In realtà il ricorso censura la valutazione di attendibilità operata dalla Corte nell’ambito dei suoi poteri di accertamento e di giudizio, valutazioni sorrette da motivazione idonea e priva di vizi logici alla già richiamata pagina sette della sentenza. Con riferimento alla dedotta mancanza di motivazione sulla bancarotta documentale, si veda la pagina 2 della sentenza di appello, che richiama la motivazione del Giudice di primo grado, rendendo così la motivazione più che sufficiente sul punto (il giudice di legittimità, ai fini della valutazione della congruità della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile; cfr.
sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, Ambrosino; conff. Sez. 6, n. 23248 del 07/02/2003, Zanotti; Sez. 6, n. 11878 del 20/01/2003, Vigevano;
sez. 2, n. 19947 del 15 maggio 2008).
2. Con motivi aggiunti depositati il 17/07/2012 il difensore dell’imputato ha svolto ulteriori considerazioni in ordine ai vizi di travisamento della prova per difetto di motivazione, ma, a prescindere dal fatto che vengono invertiti i termini della questione (potendosi dare un vizio di motivazione per travisamento della prova e non viceversa), la memoria è comunque inammissibile in quanto era tale il motivo principale del ricorso, la cui inammissibilità non può essere sanata dalla memoria contenente motivi aggiunti.
L’indicazione di motivi generici nel ricorso, in violazione dell’art. 581 c.p.p., lett. c), costituisce di per sè motivo di inammissibilità del proposto gravame, anche se successivamente, ad integrazione e specificazione di quelli già dedotti, vengano depositati nei termini di legge motivi nuovi (Sez. 6, n. 47414 del 30/10/2008, A., Rv. 242129; conf. Sez. 6, n. 8596 del 21/12/2000 – dep. 01/03/2001, R., Rv. 219087). Ne consegue che anche la successiva memoria illustrativa contenente osservazioni sulle valutazioni di attendibilità operate dalla Corte d’appello è inammissibile, essendo ancora una volta relativa ad un motivo di ricorso numero che era fin dal principio inammissibile.
3. Del tutto nuove, e pertanto palesemente inammissibili, sono poi le considerazioni sulla pena, dal momento che nel ricorso principale non voi era alcuna doglianza sul punto.
4. Il secondo motivo del R., relativo alla pena accessoria di cui alla L. Fall., art. 216, u.c., è infondato. La questione sottoposta a questo collegio ha conosciuto, di recente, un contrasto nella giurisprudenza di legittimità. Secondo l’orientamento più risalente la pena accessoria prevista dalla L. Fall., art. 216, u.c., non è indeterminata, essendo stabilita in misura fissa e inderogabile nella durata di dieci anni, e, di conseguenza, si sottrae alla disciplina di cui all’art. 37 c.p. (Sez. 5^, 29 settembre 2007, n. 39337, RV 238211). Un più recente orientamento, invece, ha ritenuto che la pena accessoria in esame sia determinata solo nel massimo, sicchè, ai sensi dell’art. 37 c.p., deve avere durata uguale a quella della pena principale irrogata (Sez. 5^, 22 gennaio 2010, n. 9672, RV 246891; nello stesso senso Sez. 5^, n. 23720 del 21 marzo 2010, e poi Sez. 5^, n. 23606 del 16/02/2012, C., Rv. 252960). L’orientamento secondo cui la durata della pena accessoria L. Fall., ex art. 216, u.c., è stabilito in misura predeterminata e fissa è stato, tuttavia, ribadito di recente (Sez. 5^, 18 febbraio 2010, n. 17690; Sez. 5^, n. 269 del 10/11/2010, M., Rv. 249500 ed infine Sez. 5^, n. 30341 del 30/05/2012, P., Rv. 253318).
5. Un collegio di questa stessa 5^ sezione (Sez. 5^, n. 16083 del 23/03/2011, C., Rv. 250089) – che aderiva all’indirizzo più risalente, ritenendo insuperabile il dato testuale – ha però ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 27 Cost., della L. Fall., art. 216, comma 4, nella parte in cui determina in maniera fissa in dieci anni la durata della pena accessoria dell’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e dell’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa, ed ha rimesso gli atti al Giudice delle leggi.
6. La Corte cost., con sentenza del 31 maggio 2012, n. 134, ha dichiarato l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale ritenendo che la sentenza additiva (richiesta al fine di rendere applicabile l’art. 37 c.p.) non costituisse una soluzione costituzionalmente obbligata, rimanendo pertanto legata a scelte affidate alla discrezionalità del legislatore. La Consulta ha, dunque, implicitamente confermato la validità dell’interpretazione proposta dal collegio remittente, secondo cui nell’attuale formulazione legislativa la pena accessoria è prevista in misura fissa (e ciò non lede alcun diritto costituzionalmente protetto).
7. Deve pertanto ribadirsi che la pena accessoria che consegue alla condanna per il delitto di bancarotta fraudolenta è indicata in misura fissa e inderogabile dal legislatore nella durata di anni dieci; ne consegue che i giudici di merito non hanno commesso alcuna violazione di legge, nè avevano alcun obbligo di motivazione connesso all’irrogazione della pena accessoria.
8. Passando al ricorso proposto dal C., il primo motivo, con cui si deduce violazione di legge e mancanza di motivazione in relazione alla bancarotta documentale, è inammissibile a cagione del fatto che era generico il relativo motivo di ricorso in appello; il motivo contenuto nell’atto di appello era genericamente riferito alla responsabilità e si sviluppava in gran parte intorno al ruolo ricoperto dal C. nella società; l’unico incidentale riferimento alla bancarotta documentale era, nello sviluppo del motivo sulla responsabilità, limitato ad una asserita mancanza di prova "..che il C. avesse posto in essere condotte distrattive omettendo di tenere le scritture contabili, distruggendo e occultando la documentazione..".
9. Trattasi, all’evidenza, di censura priva della necessaria specificità e dunque già inammissibile in appello; occorre ricordare in proposito che in cassazione non costituisce causa di annullamento della sentenza impugnata il mancato esame di un motivo di appello che, per la sua assoluta indeterminatezza e genericità, doveva essere dichiarato inammissibile (cfr. Sez. 4, n. 1982 del 15/12/1998, I., Rv. 213230).
10. Il secondo motivo è infondato; la sanzione accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici è prevista dalla legge (art. 29 c.p.) nella misura fissa di cinque anni, per cui nessun onere di motivazione incombeva sul punto al giudice del merito, nè si può ritenere violato l’art. 37 c.p., che si riferisce unicamente alle pene accessorie di cui non è determinata espressamente la durata. La questione è analoga a quella esaminata ai punti 4-7 della presente motivazione, cui si rimanda.
11. Ne consegue che entrambi i ricorsi devono essere rigettati, con le conseguenti statuizioni in punto spese.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2013.
Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2013
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