Cass. civ. Sez. V, Sent., 03-08-2012, n. 14024

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
1. La U. R. s.p.a., risultante dalla fusione, fra le altre, della A. s.p.a. e della A. s.p.a., ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna indicata in epigrafe, con la quale, in accoglimento dell’appello dell’Ufficio, è stato rigettato il ricorso della società contro ingiunzione di pagamento ad essa notificata a titolo di IRPEG ed ILOR, oltre interessi, in relazione all’anno 1998, al fine di recuperare dette imposte, non versate in forza del regime agevolativo previsto dal D.L. n. 331 del 1993, art. 66, comma 14, (convertito nella L. n. 427 del 1993) e dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 70, per le società per azioni a capitale pubblico maggioritario istituite ai sensi della L. n. 142 del 1990, art. 22, regime qualificato "aiuto di Stato", incompatibile con il mercato comune, con decisione della Commissione delle Comunità europee del 5 giugno 2002, 2003/193/CE. Il giudice di merito ha ritenuto corretto l’operato dell’Ufficio, sulla base della citata decisione della Commissione europea e del D.L. n. 10 del 2007 (convertito nella L. n. 46 del 2007), affermando che esso non era tenuto ad effettuare indagini preliminari sindacando sulla compatibilità delle agevolazioni de quibus con il mercato comune; ha inoltre affermato che l’ambito applicativo della decisione può comprendere anche l’ipotesi di capitale pubblico totalitario, essendo evidente la volontà di applicare il divieto degli aiuti di Stato ad entrambe le categorie di società (a capitale pubblico totalitario e maggioritario), secondo il principio per cui nel più è compreso il meno ed in quanto il mercato dei servizi pubblici locali è aperto alla concorrenza comunitaria e può avere effetti di storsi vi causati da aiuti di Stato di natura fiscale. Infine, il giudice ha ritenuto l’irrilevanza del condono effettuato dalla società ai sensi della L. n. 289 del 2002, artt. 8 e 9, la non operatività della invocata decadenza dai termini per il recupero, la legittimità del recupero a tassazione degli accantonamenti di natura civilistica e degli utili trasmessi dalla società agli enti locali, nonchè la correttezza del calcolo degli interessi, effettuato ai sensi del Capo 5 del Regolamento CE n. 794/2004 della Commissione, del 21 aprile 2004, e in base a quanto stabilito dal D.L. n. 185 del 2008, art. 24 (convertito nella L. n. 2 del 2009).
2. L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.
3. La ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. La ricorrente solleva, in via preliminare, le seguenti questioni di legittimità costituzionale: a) del D.L. 15 febbraio 2007, n. 10 (convertito nella L. 6 aprile 2007, n. 46), in riferimento all’art. 25 Cost., nella parte in cui attribuisce la competenza giurisdizionale in tema di azioni di recupero degli aiuti di Stato al giudice tributario anzichè a quello ordinario e, in riferimento agli artt. 3, 41 e 43 Cost., in quanto è applicabile a tutte le società costituite ai sensi della L. n. 142 del 1990, art. 22, senza escludere dal recupero quelle che, come nella fattispecie, per la situazione di fatto esistente, non operavano in regime di concorrenza; b) del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 24, comma 1, (convertito nella L. 28 gennaio 2009, n. 2), in riferimento all’art. 3 Cost., là dove stabilisce l’irrilevanza ai fini del recupero degli aiuti – così discriminando le società interessate da tale recupero rispetto alle altre – dell’intervenuta definizione agevolata in base alla L. n. 289 del 2002.
Le questioni sub a) sono irrilevanti, poichè sulla prima si è formato il giudicato implicito e la seconda si basa su un presupposto che, come si dirà meglio in seguito, risulta smentito sia dalla decisione della Commissione europea, sia dal l’accertamento compiuto dal giudice di merito; la questione sub b) è manifestamente infondata, trattandosi di situazioni diverse, ed anzi la normativa censurata è diretta proprio a ricondurre ad eguaglianza la posizione dei contribuenti, eliminando sin dall’origine gli effetti economici illegittimamente accordati ad alcuni di essi, i quali non possono invocare, di regola, alcun legittimo affidamento nel godere di aiuti di Stato incompatibili con l’ordinamento comunitario (cfr. Corte cost., ord. n. 36 del 2009).
2.1. Passando ai motivi specifici di impugnazione, indicati con i numeri da 4.1 a 4.10, vanno esaminati congiuntamente per stretta connessione i motivi 4.1, 4.2, 4.3, 4.4, 4.5 e 4.10, con i quali, sia sotto il profilo del vizio di motivazione, sia sotto quello della violazione di legge (art. 2328 cod. civ.; art. 87, paragrafo 1, lett. d, art. 87, paragrafo 3, lett. c, e art. 86, paragrafo 2, del Trattato CE; L. n. 241 del 1990, art. 3 e D.L. n. 10 del 2007, art. 1, comma 2), la ricorrente si duole, in sostanza, del fatto che il giudice a quo non ha accertato che le società da essa incorporate non erano state destinatane di un aiuto di Stato recuperabile, secondo la citata decisione della Commissione europea, perchè esse avevano dimensioni ed ambito operativo ristretti, erano totalmente in mano pubblica, agivano in assenza di un regime concorrenziale nel mercato di riferimento, i servizi svolti erano di interesse economico generale.
I motivi sono infondati, in conformità a quanto già affermato da questa Corte in recenti pronunce su fattispecie analoghe (tra le altre, sentt. nn. 24314 del 2010, 11228 del 2011, 3538 e 6542 del 2012; cfr., anche, Cass. n. 7319 del 2012).
Va osservato che, qualificati i benefici di cui alla cd. moratoria fiscale (introdotta dal D.L. n. 331 del 1993, art. 66, comma 14, come convertito dalla L. n. 427 del 1993, e precisata dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 70) come aiuti di Stato dalla citata decisione della Commissione europea n. 2003/193/CE, e confermata, questa decisione, a seguito di impugnazione dello Stato italiano, dalla sentenza della Corte di giustizia del 1 giugno 2006, in causa C- 207/05, ne è seguito il D.L. n. 10 del 2007, come convertito dalla L. n. 46 del 2007, la cui procedura, nella fattispecie, è stata attuata dall’agenzia delle entrate a mezzo di comunicazione – ingiunzione notificata nell’aprile 2007.
Tale vicenda si inquadra nella natura obbligatoria del recupero dell’aiuto di Stato, con eccezione della sola appartenenza dell’aiuto individualmente concesso alla categoria de minimis (commi 4 e 9, art. 1, D.L. citato), obbligatorietà che non consente al giudice nazionale alcuna diversa valutazione, in quanto l’esame della compatibilita di una misura nazionale di aiuti di Stato rientra nella competenza esclusiva della Commissione europea.
In base all’art. 14, par. 1, del Regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio, del 22 marzo 1999, in relazione al quale la decisione di recupero risulta emanata, "nel caso di decisioni negative relative a casi di aiuti illegali la Commissione adotta una decisione con la quale impone allo Stato membro interessato di adottare tutte le misure necessarie per recuperare l’aiuto dal beneficiario". Lo stesso art. 14, al successivo par. 3, stabilisce che "il recupero va effettuato senza indugio secondo le procedure previste dalla legge dello Stato membro interessato, a condizione che esse consentano l’esecuzione immediata ed effettiva della decisione della Commissione". E in proposito, la Corte di giustizia ha affermato che "lo Stato membro destinatario di una decisione che gli impone di recuperare gli aiuti illegittimi è tenuto, ai sensi dell’art. 249 CE, ad adottare ogni misura idonea ad assicurare l’esecuzione di tale decisione" (v. sentenze 12 dicembre 2002, causa C-209/00, Commissione/Germania, e 26 giugno 2003, causa C-404/00, Commissione/Spagna); e deve giungere – soprattutto – "all’effettivo recupero delle somme dovute" (v., in tal senso, sentenze 12 maggio 2005, causa C-415/03, Commissione/Grecia, nonchè 1 giugno 2006, Commissione/Italia, cit., punti 36 e 37).
Pertanto, la chiave interpretativa della normativa di diritto interno, che qui rileva, ruota attorno al fine precipuo di garantire l’esecuzione immediata ed effettiva della decisione di recupero.
In sostanza, in base alla normativa citata, l’amministrazione finanziaria ha l’obbligo di procedere mediante ingiunzione al recupero delle somme corrispondenti alle agevolazioni, ritenute incompatibili con il diritto comunitario dalla decisione della Commissione europea n. 2003/193/CE, usufruite dalle società per azioni istituite ai sensi della L: 8 giugno 1990, n. 142, art. 22, per la gestione dei servizi pubblici locali; e il recupero è escluso solo nell’ipotesi che si tratti di aiuti rientranti nell’ambito di applicabilità della regola de minimis.
Inoltre, le esposte doglianze sono già state ritenute infondate dalla richiamata decisione della Commissione europea (v. i paragrafi 5.1, 5.2. e 5.3), soprattutto là dove ha affermato che "il mercato delle concessioni dei cosiddetti "servizi pubblici locali" è un mercato aperto alla concorrenza comunitaria (..) e soggetto alle regole del Trattato" (punto 68), e le misure in esame, da un lato, "incidono sugli scambi tra Stati membri poichè esse danneggiano imprese straniere partecipanti a gare per concessioni locali in Italia, dato che le imprese pubbliche beneficiane del regime in oggetto possono concorrere a prezzi più competitivi rispetto ai loro concorrenti nazionali o comunitari che non ne beneficiano", e, dall’altro, rendono "meno attraente per le imprese di altri Stati membri investire nel settore (..) (ad esempio con acquisto di partecipazione di maggioranza), poichè le aziende eventualmente acquisite non potrebbero beneficiare (o potrebbero perdere) l’aiuto, in conseguenza della natura dei nuovi azionisti" (punto 69). Infine, lo stesso giudice a quo ha ribadito l’effetto distorsivo che gli aiuti di Stato in esame possono determinare sul mercato dei servizi pubblici locali aperto alla concorrenza comunitaria.
2.2. Con il motivo 4.6, si denuncia la violazione degli artt. 2033, 2041 e 2946 cod. civ., censurando la sentenza impugnata per avere il giudice d’appello respinto l’eccezione di prescrizione sollevata dalla società in ragione del decorso, al momento della notifica della comunicazione-ingiunzione, di più di dieci anni dal momento della fruizione degli aiuti.
Il motivo è infondato, in applicazione del principio secondo il quale, in tema di recupero di aiuti di Stato, la normativa nazionale riguardante gli effetti del decorso del tempo sui rapporti giuridici (sia in tema di prescrizione che di decadenza) deve essere disapplicata per contrasto con il principio di effettività proprio del diritto comunitario, qualora impedisca il recupero di un aiuto di Stato dichiarato incompatibile con decisione della Commissione europea divenuta definitiva (Cass. nn. 23418 e 26286 del 2010, 11228 del 2011,6542 del 2012).
Va aggiunto che l’obbligazione restitutoria – cui va correlata l’azione di recupero – sortisce dalla declaratoria di illegittimità della misura agevolativa, in quanto dichiarata aiuto di Stato illegittimo, e non dalla normativa nazionale: il profilo dei limiti temporali trova soluzione nella disciplina comunitaria prevalente, nella quale è previsto (art. 15 del citato Reg. CE n. 659/1999) che i poteri della Commissione europea, per quanto riguarda il recupero degli aiuti, sono essi stessi soggetti a un termine decennale, all’infruttuoso spirare del quale l’aiuto è considerato come un aiuto esistente (sottratto al recupero). Tanto si impone sui termini prescrizionali interni, i quali non decorrono se non dalla notifica della decisione di recupero.
2.3. Con il motivo 4.7, è denunciata la violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 163 e del divieto di doppia imposizione, con riguardo alla parte della sentenza impugnata in cui il giudice ha ritenuto legittimo l’assoggettamento al recupero degli accantonamenti di natura civilistica e degli utili distribuiti dalla società agli enti locali sotto forma di dividendi.
Il motivo è inammissibile perchè si basa su argomentazioni generiche e presuppone indagini di fatto non ammesse in questa sede (lo stesso giudice a quo ha affermato che degli accantonamenti anzidetti manca la "prova dell’asserita legittimità e certezza della loro costituzione, in relazione al disposto dell’art. 107, comma 4, del TUIR").
2.4. Il motivo 4.9, concernente la dichiarata inefficacia, al fine di evitare il recupero delle somme in questione, dell’adesione della società al condono di cui alla L. n. 289 del 2002, è infondato, una volta esclusa, come detto al par. 1, l’illegittimità costituzionale della norma che tale irrilevanza prevede.
2.5. Resta da esaminare il motivo 4.8 (sul quale specificamente insiste la ricorrente in memoria), con il quale viene denunciata l’errata determinazione degli interessi dovuti, sostenendo che il richiamo della norma nazionale (citato D.L. n. 10 del 2007, art. 1, comma 3) al Regolamento CE n. 794/2004 della Commissione, del 21 aprile 2004, il quale prevede l’applicazione degli interessi su base composta, è in contrasto con il diritto comunitario – e detta disposizione va, quindi, in parte qua disapplicata -, poichè il citato Regolamento si applica, per espressa previsione, solo alle decisioni di recupero notificate successivamente alla sua entrata in vigore.
Il motivo deve ritenersi fondato.
Seguendo l’ordine cronologico, va ricordato che:
a) il Regolamento CE n. 659/1999 del Consiglio del 22 marzo 1999 (recante modalità di applicazione dell’art. 93 del Trattato CE) dispone, all’art. 14, paragrafo 2, che "all’aiuto da recuperare ai sensi di una decisione di recupero si aggiungono gli interessi calcolati in base a un tasso adeguato stabilito dalla Commissione.
Gli interessi decorrono dalla data in cui l’aiuto illegale è divenuto disponibile per il beneficiario, fino alla data di recupero"; il successivo art. 27 prevede che la Commissione è autorizzata ad emanare disposizioni di attuazione riguardanti, fra l’altro, "il tasso di interesse di cui all’art. 14, paragrafo 2";
b) la decisione della Commissione del 5 giugno 2002, 2003/193/CE (notificata il 7 giugno 2002), che qui interessa, stabilisce, all’art. 3, comma 3, che "l’aiuto da recuperare è produttivo di interessi, decorrenti dalla data in cui l’aiuto è stato posto a disposizione dei beneficiari fino alla data di effettivo recupero, calcolati sulla base del tasso di riferimento utilizzato per il calcolo dell’equivalente sovvenzione nell’ambito degli aiuti a finalità regionale"; nel punto 127 della motivazione si precisa che tale calcolo degli interessi è conforme alla prassi della Commissione;
c) nella Comunicazione 8 maggio 2003, 2003/C 110/08, sui tassi di interesse da applicarsi in caso di recupero di aiuti illegali, la Commissione, premesso che per diversi anni aveva seguito la prassi di imporre nelle decisioni di recupero il calcolo basato sul tasso di riferimento utilizzato per il calcolo dell’equivalente sovvenzione netto nell’ambito degli aiuti regionali come base del tasso di interesse di mercato e che era sorta la questione se il predetto tasso dovesse essere applicato su base semplice o composta, ha osservato che, nonostante la varietà delle situazioni, gli aiuti illegali hanno "l’effetto di fornire fondi al beneficiario a condizioni analoghe ad un prestito a medio termine senza interessi.
L’applicazione di interessi composti appare pertanto necessaria per neutralizzare tutti i vantaggi fiscali risultanti da una tale situazione"; ha, pertanto, informato gli Stati membri e le parti interessate che "in tutte le decisioni che essa adotterà in futuro per disporre il recupero di aiuti illegali verrà applicato il tasso di riferimento utilizzato per calcolare l’equivalente sovvenzione netto nell’ambito degli aiuti regionali su base composta"; ed ha aggiunto che la Commissione "si aspetta che gli Stati membri applichino interessi composti all’atto dell’esecuzione delle decisioni di recupero ancora in corso, a meno che ciò non sia contrario ad un principio generale del diritto comunitario";
d) il Regolamento CE n. 794/2004 della Commissione del 21 aprile 2004, adottato in applicazione del sopra citato art. 27 del Reg. n. 659/1999, dispone, al Capo 5 (Tassi di interesse per il recupero di aiuti illegittimi), art. 11, paragrafo 2, che "il tasso di interesse è applicato secondo il regime dell’interesse composto fino alla data di recupero dell’aiuto. Gli interessi maturati l’anno precedente producono interessi in ciascuno degli anni successivi"; il successivo Capo 6 (Disposizioni finali) all’art. 13 stabilisce, per quanto qui rileva, che "gli artt. 9 e 11 si applicano a tutte le decisioni di recupero notificate successivamente alla data di entrata in vigore del presente regolamento";
e) infine, il D.L. 15 febbraio 2007, n. 10, citato art. 1, comma 3, stabilisce che "gli interessi sono determinati in base alle disposizioni di cui al Capo 5 del regolamento (CE) n. 794/2004 della Commissione, del 21 aprile 2004, secondo i criteri di calcolo approvati dalla Commissione europea in relazione al recupero dell’aiuto di Stato C57/03, disciplinato dalla L. 25 gennaio 2006, n. 29, art. 24" (la disposizione è poi ribadita dal D.L. n. 185 del 2008, art. 24, comma 4, convertito nella L. n. 2 del 2009).
Va aggiunto che la Corte di giustizia, con sentenza 11 dicembre 2008, in causa C-295/07, ha ritenuto che una decisione della Commissione in materia di aiuti di Stato, resa nel 2000 e che adoperava una terminologia sostanzialmente identica a quella di cui alla decisione qui in discussione, era stata correttamente interpretata dal Tribunale di primo grado delle Comunità europee nel senso che dalla stessa conseguiva – in base allo stato del diritto comunitario ed alla prassi della Commissione dell’epoca – che gli interessi relativi al periodo compreso tra la data della decisione medesima e quella del recupero dell’aiuto dovessero essere calcolati a tasso semplice e non composto (essendo peraltro pacifico che il diritto nazionale – nella fattispecie quello francese – prevedeva l’applicazione del tasso semplice per gli interessi di mora sui crediti dello Stato).
Ciò posto, il Collegio ritiene di doversi discostare da quanto già affermato sul punto da questa Corte (cfr. la sopra citata sentenza n. 6542 del 2012), secondo cui il criterio di determinazione degli interessi su base composta deriva direttamente dalla legge nazionale, risultando il Regolamento CE del 2004 semplicemente il parametro preso dal legislatore nazionale: deve, invece, ritenersi, in virtù di quanto sopra esposto, che gli interessi sono determinati in base alle disposizioni di cui al Capo 5 del reg. n. 794/2004 e che la legge nazionale debba essere intesa, al pari di quella comunitaria, nel senso che detti interessi sono da corrispondere in misura composta se – e solo se – si tratti di decisioni di recupero notificate successivamente alla data di entrata in vigore del regolamento stesso e, anche in tale ipotesi, solo relativamente al periodo intercorrente tra la notifica della decisione della Commissione e il recupero effettivo.
3. In conclusione, va accolto il motivo 4.8 e rigettati i restanti;
la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, dichiarando dovuti gli interessi semplici e non composti.
4. Si ravvisano giusti motivi per disporre la compensazione delle spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso limitatamente al motivo 4.8 e lo rigetta per il resto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara dovuti gli interessi semplici e non composti.
Compensa le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma il 6 marzo 2012.
Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2012

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