T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 25-01-2011, n. 732

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
Entrambe le impugnative sopra indicate sono rivolte avverso la medesima determinazione con la quale l’Autorità, con atto del 4 giugno 2009, ha sanzionato L.R. s.r.l. e B.F. S.p.A. a fronte di una ritenuta pratica commerciale scorretta, relativa alla commercializzazione della carta di credito cobranded denominata "R.card".
I) Le censure dedotte da L.R. s.r.l. con il primo dei gravami all’esame (7857/2009) possono così riassumersi:
I.1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 3, paragrafo 4, della Direttiva 2005/29/CE e degli artt. 19, comma 3, 67bis, comma 3 e 67septiesdecies, comma 3, del Codice del Consumo. Incompetenza dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
La verifica in ordine alla trasparenza ed alla correttezza informativa dei prodotti offerti dagli intermediari finanziari rientrerebbe, secondo quanto argomentato dalla ricorrente, nelle attribuzioni spettanti unicamente alla Banca d’Italia: per l’effetto assumendosi l’incompetenza dell’Autorità antitrust ai fini dell’adozione di una determinazione sanzionatoria, quale quella nella fattispecie gravata, avente ad oggetto la commercializzazione di una carta di credito offerta da F., intermediario non bancario iscritto all’apposito elenco di cui all’art. 107 del D.Lgs. 385/1993 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia).
I.2) Violazione dei principi generali sottesi alla legge 7 agosto 1990 n. 241 in materia di esercizio del potere amministrativo e degli artt. 18 e seguenti del Codice del Consumo per difetto di istruttoria e conseguente carenza di legittimazione passiva del destinatario del provvedimento con riferimento all’imputazione a L.R. delle condotte oggetto dello stesso. Eccesso di potere per falsità dei presupposti.
Ad avviso della ricorrente, le condotte oggetto del procedimento conclusosi poi con l’irrogazione della contestata sanzione sarebbe esclusivamente imputabili a B.F.: per l’effetto assumendo la propria carenza di legittimazione passiva relativamente al complesso di condotte concernenti la commercializzazione della carta di credito precedentemente indicata.
L.R., in particolare, si sarebbe limitata a veicolare nei confronti dei potenziali consumatori il prodotto creditizio le cui caratteristiche – ed i cui messaggi promozionali – vanno ascritti alla esclusiva responsabilità di F.; l’unica finalità dalla ricorrente perseguita nel quadro dell’operazione all’esame essendo rappresentata da un intento di fidelizzazione della clientela, e non già dall’intendimento di perseguire scopi lucrativi conseguenti alla commercializzazione della carta.
I.3) Violazione e falsa applicazione degli artt. 20, 21 e 22 del Codice del Consumo in relazione alla presunta natura ingannevole del prodotto R.card. Eccesso di potere per falsità dei presupposti e travisamento.
Nell’osservare come AGCM riconduca l’asserita valenza ingannevole della censurata condotta commerciale alle carenze informative riguardanti la natura revolving della carta e del credito ad essa sotteso, rileva parte ricorrente che – ribadita la principale funzione di fidelizzazione della clientela elettivamente demandata all’emissione della R.card, per come illustrata nella "guida all’utilizzo" diffusa presso i punti vendita di L.R. – la diffusione di quest’ultima sarebbe stata accompagnata da dettagliati e completi ragguagli informativi, risultanti anche dalle indicazioni pubblicizzate sul sito www.laR..it.
In particolare, il manuale ad uso interno (destinato al personale addetto alle vendite ed alla sottoscrizione della R.card) avrebbe puntualmente specificato che la carta, ove usata fuori da R. (e, quindi, anche presso i corner XXX, Centro XXXe XXX, esterni alla stessa R.) è una carta revolving (solo pagamento rateale).
I.4) Violazione ed erronea applicazione degli artt. 20, 24 e 25, lett. a), del Codice del Consumo. Eccesso di potere per falsità dei presupposti.
Quanto al carattere "aggressivo" dall’Autorità annesso alle modalità attuative della pratica all’esame, parte ricorrente ne contesta i presupposti a fondamento, escludendo che nella fattispecie la libertà di scelta del consumatore sia stata compromessa, inducendo quest’ultimo a porre in essere una scelta commerciale che non avrebbe altrimenti esercitato.
Né la mera "asimmetria informativa" (peraltro non imputabile a L.R.) potrebbe legittimamente integrare gli estremi della pratica commerciale aggressiva.
I.5) Violazione dell’art. 11 della legge 24 novembre 1981 n. 689 e dell’art. 27, comma 13, del Codice del Consumo. Eccesso di potere per falsità dei presupposti, ingiustizia manifesta e difetto nella quantificazione della sanzione.
Nella determinazione dell’importo sanzionatorio, l’Autorità avrebbe, poi, omesso di fornire corretta applicazione ai parametri previsti dalle applicabili disposizioni di legge, segnatamente per quanto concerne la valutazione della gravità dell’infrazione, la condotta dell’agente atta a rimuovere od attenuare l’infrazione medesima, la personalità dello stesso agente e le condizioni economiche di quest’ultimo.
II) Le censure articolate da F.B. S.p.A. con la seconda delle impugnative all’esame (n. 7858 del 2009) possono così sintetizzarsi:
II.1) Violazione e falsa applicazione dei principi di cui agli artt. 24 e 111 della Costituzione, anche in relazione alla violazione e mancata applicazione dei principi di cui agli artt. 14, 16 e 18 della legge 24 novembre 1981 n. 689.
Lamenta in primo luogo la ricorrente che lo svolgimento del procedimento istruttorio conclusosi poi con l’irrogazione dell’avversata misura sanzionatoria non avrebbe garantito un corretto svolgimento del contraddittorio e, con esso, del diritto di difesa.
II.2) Ulteriore violazione e falsa applicazione dei principi di cui agli artt. 24 e 111 della Costituzione, anche in relazione alla violazione e mancata applicazione del principio di cui all’art. 27, comma 11, del D.Lgs. 26 settembre 2005 n. 206, in generale, e con specifico riferimento sia all’art. 16, comma 1, del Regolamento, sia all’art. 16, comma 3, dello stesso Regolamento.
La mancata comunicazione alle parti delle risultanze dell’istruttoria condotta dall’Autorità e delle conclusioni del responsabile del procedimento – in violazione delle norme regolamentari che disciplinano l’attività di AGCM – avrebbe inficiato la regolarità del procedimento stesso per violazione del diritto di difesa; a nulla rilevando, in proposito, la concessione di un termine per memorie conclusive e documenti, peraltro inferiore a quanto previsto dalla legge 689/1981.
Argomenta poi la ricorrente che anche con riferimento alla richiesta di parere all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni non sarebbe stato instaurato il necessario contraddittorio endoprocedimentale.
II.3) Violazione e falsa applicazione di cui agli artt. 3, comma 1, e 10, comma 1, lett. b), della legge 7 agosto 1990 n. 241.
La motivazione del provvedimento gravato non avrebbe, inoltre, fornito esaustiva contezza in ordine alla considerazione, da parte dell’Autorità, delle argomentazioni difensive dalle parti esplicitate nel corso del procedimento.
II.4) Travisamento delle risultanze dell’istruttoria. Violazione e falsa applicazione degli artt. 20, comma 2, 21, 22, 24 e 25, lett. a), del Codice del Consumo.
Contesta poi parte ricorrente i contenuti della determinazione avversata, segnatamente con riferimento ai presupposti dall’Autorità individuati al fine di valutare l’esistenza di una pratica commerciale scorretta suscettibile di applicazione sanzionatoria per violazione ai pertinenti parametri di cui al Codice del Consumo.
Sarebbero state, in particolare, erroneamente apprezzate le funzioni che R.card era elettivamente deputata ad assolvere, con riferimento alla affermata natura cd. revolving della carta, ribadendosi che precipua finalità di quest’ultima risiedeva in un mero intento di "fidelizzazione" della clientela.
Nell’assumere, conseguentemente, che il provvedimento sarebbe fondamentalmente inficiato in ragione di un non corretto inquadramento del prodotto offerto alla clientela, viene ulteriormente escluso che la diffusione di quest’ultimo non sia stata assistita da idonee ed adeguate modalità informative, suscettibili di consapevolizzare i consumatori in ordine alle potenzialità utilizzative della carta stessa.
Né rileverebbe, in tal senso, la mancata espressa indicazione della natura "revolving" della R.card relativamente agli acquisti effettuati dai titolari della stessa fuori dai punti vendita L.R. convenzionati con il circuito Visa.
A seguito di un excursus sul contenuto precettivo delle disposizioni delle quali l’Autorità ha affermato la violazione, confuta F. che possa essere legittimamente evocato il carattere di "ingannevolezza" della pratica commerciale all’esame; ulteriormente contestando che quest’ultima possa aver assunto connotazione di "aggressività" in ragione della sostenuta idoneità della stessa a condizionare le scelte commerciali della clientela.
II.5) Illegittimità dell’irrogazione della sanzione e, in subordine, eccessività della somma ingiunta, con violazione e falsa applicazione dell’art. 11 della legge 68971981. Difetto di motivazione.
Da ultimo, parte ricorrente lamenta che la commisurazione dell’inflitta sanzione amministrativa pecuniaria sia intervenuta con violazione dei parametri all’uopo previsti dalle applicabili disposizioni di legge: in particolare, assumendo che la valutazione della gravità e della durata della violazione siano inesatte, con conseguente definizione di un ammontare della misura afflittiva del quale si denuncia la sproporzione.
Concludono entrambe le ricorrenti insistendo per l’accoglimento dei gravami rispettivamente proposti, con conseguente annullamento degli atti oggetto di censura.
L’Autorità intimata, costituitasi in giudizio, ha eccepito l’infondatezza delle doglianze esposte con entrambi i gravami all’esame, invocandone la reiezione.
I ricorsi vengono ritenuti per la decisione alla pubblica udienza del 12 gennaio 2011.
Motivi della decisione
1. Evidenti profili di connessione oggettiva (rappresentati dall’identità del provvedimento gravato) consentono di procedere alla riunione delle impugnative proposte da L.R. s.r.l. (n. 7857/2009) e da F. S.p.A. (n. 7858/2009).
L’omogeneità delle censure dedotte avverso la gravata determinazione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato consente, altresì, di procedere ad un’unitaria trattazione delle controversie portate all’esame del Collegio all’odierna pubblica udienza; pur dovendosi premettere che singoli profili di doglianza, diversamente esplicitati nei mezzi di tutela all’esame e relativi, prevalentemente, a censure concernenti la correttezza dell’iter procedimentale, formeranno oggetto di doverosa, quanto particolare, disamina.
2. Giova procedere, peraltro, ad una preliminare ricognizione dei contenuti del provvedimento oggetto di doglianza.
2.1 Il procedimento conclusosi con l’irrogazione delle censurate sanzioni concerne una pratica commerciale posta in essere dalle società la R. S.r.l. e F.B. S.p.A. in un periodo successivo al 21 settembre 2007, in relazione alla quale AGCM ha ipotizzato la violazione degli articoli 20, 21, 22, 24 e 25 lettera a) del Decreto Legislativo n. 206/2005, come modificato dal Decreto Legislativo 2 agosto 2007 n. 146.
Tale pratica commerciale riguardava la commercializzazione, presso i punti vendita "L.R.", di una carta di credito cobranded denominata "R.card", emessa da F.B..
Secondo quanto argomentato dall’Autorità, ai consumatori "sarebbero state fornite informazioni non rispondenti al vero, inesatte o incomplete ovvero sarebbero state omesse informazioni rilevanti in merito:
a) alla natura "revolving" della carta nonché in merito alla circostanza che la carta insiste su una linea di credito per un importo massimo autorizzato rimborsabile mediante rate e che il pagamento delle stesse ricostituisce a favore del cliente una disponibilità di spesa pari all’importo saldato;
b) alle modalità di utilizzo della carta nell’ambito delle c.d. "funzioni fedeltà" e/o promozioni offerte dai punti vendita R. ai titolari della carta e, in particolare, in merito alla necessità di rimborsare l’importo speso per l’acquisto del prodotto in promozione, mediante rate mensili minime e non anche a saldo senza interessi;
c) alle modalità di utilizzo della carta al di fuori dei punti vendita R., nei negozi e/o esercizi commerciali convenzionati Visa in Italia e all’estero, ed in particolare, rispetto alla necessità di rimborsare l’importo speso mediante rate mensili minime e non anche a saldo senza interessi".
Tali condotte sarebbero state realizzate:
– sia nella fase promozionale, con particolare riferimento alle pagine del sito internet www.R..it accessibili dal link R.card al documento denominato "guida all’utilizzoR.card" rilevato sul medesimo sito, nonché ai messaggi diffusi nei punti vendita R. volti a promuovere gli sconti praticati ai titolari della "R.card";
– sia nella fase precontrattuale e in quella di acquisizione del consenso del consumatore ad effettuare la richiesta della carta presso i punti vendita R., con particolare riferimento al modulo contrattuale utilizzato per la richiesta stessa.
2.2 A seguito di segnalazioni pervenute da consumatori circa la commercializzazione nei punti vendita di R. della "R.card" senza adeguata informativa nella fase promozionale ed in quella di conclusione del contratto,in data 11 dicembre 2008 veniva avviato da AGCM il procedimento istruttorio PS/1720.
Venivano di seguito condotti accertamenti ispettivi, in esito ai quali emergeva che:
– la "R.card" è una carta di credito destinata ai clienti e ai dipendenti della R. sulla quale è riportato il marchio della Società, emessa dalla F.B. S.p.A. sulla base di un protocollo di accordo sottoscritto nel dicembre 2006;
– la "R.card" è una carta di credito revolving che può essere utilizzata presso i punti vendita R. o in altri esercizi che aderiscano al circuito Visa;
– la carta consentiva al titolare di usufruire di vantaggi nel corso dell’anno presso i punti vendita che appartengono alla catena (promozioni e sconti, riparazioni sartoriali gratuite, consegna a domicilio gratuita in città con acquisti superiori a 500 euro).
I vantaggi conseguenti alla titolarità della card venivano riconosciuti al cliente per il solo fatto di essere titolare della carta, indipendentemente dall’utilizzo della stessa come strumento di pagamento.
A seguito della scelta del cliente di impiego della carta come strumento di pagamento presso i punti vendita venivano previste due possibili modalità di rimborso:
– il rimborso a fine mese in un’unica soluzione (c.d. "a saldo") senza interessi
– ovvero il rimborso rateale con interessi (revolving).
La carta – che insiste su una linea di credito revolving anche detta rotativa, ossia su un fido messo a disposizione del cliente che diminuisce di un importo pari agli utilizzi di volta in volta effettuati e viene ricostituito per un importo pari alle somme rimborsate – era utilizzabile:
– mediante rimborso rateale (con provvigioni e contributi a beneficio della R.)
– oppure con rimborso a fine mese (con commissioni a carico della R.);
con la precisazione che "quando la carta viene utilizzata al di fuori dei punti vendita R. la modalità di rimborso prevista in automatico è quella rateale (revolving)", mentre "nei punti convenzionati Visa le modalità di pagamento adottate sono necessariamente revolving".
Quanto alle modalità di pubblicizzazione sul sito web www.R..it, la "R.card" veniva presentata quale mezzo per accedere ad una serie di opportunità in esclusiva tra le quali figurano "offerte e promozioni riservate ai titolari R.card, durante tutto l’anno; uno sconto del 10% su tutti gli acquisiti il primo giorno di utilizzo della card (in funzione delle normative regionali e solo sulle marche che aderiscono all’iniziativa); consegna a domicilio gratuita, anche fuori città, se la spesa degli acquisti è superiore a 500Euro; modifiche sartoriali gratuite sui capi non in saldo. E in più, in tutti i punti vendita troverai una selezione di prodotti, sempre diversi, a un prezzo speciale e in esclusiva per te. Li riconoscerai dal cartello "Esclusiva R.card".
Nell’ambito delle medesime pagine internet cliccando sul link "consulta la guida all’utilizzo" era possibile accedere alla brochure denominata "R.card una carta di credito esclusiva – guida all’utilizzo", presente anche nei punti vendita. La guida era composta di dodici pagine e illustrava i vantaggi offerti nei punti vendita R., le modalità di pagamento nei punti vendita e i possibili utilizzi "per acquisti in Italia e nel mondo", "per prelevare agli sportelli bancomat", "per ricevere una somma di danaro".
Nella medesima "guida" era presente una sezione "Un fido sempre per te" dove si leggeva: "R.card mette a tua disposizione un importo di denaro: puoi usarlo a piacere e, se vuoi, restituirlo un po" alla volta in rate mensili. Il fido diminuisce quando utilizzi la tua Card ma, grazie ai tuoi rimborsi mensili, si ricostituisce ed è subito pronto a nuovi utilizzi. Puoi controllare il tuo importo disponibile sull’estratto conto che ricevi ogni mese ed anche sul sito www.R..it. In più R.card ti offre la possibilità di modificare l’importo della rata mensili ed anche effettuare rimborsi aggiuntivi per ricostituire più velocemente il tuo fido disponibile".
Presso i punti vendita la "R.card" veniva, inoltre, pubblicizzata anche mediante l’esposizione di cartelli volti a promuovere i vantaggi riservati al titolare della carta, i quali recavano le seguenti informazioni:
– "R.card La carta fedeltà dedicata ai clienti R.. Offre vantaggi e opportunità in esclusiva: sconto del 10% su tutti gli acquisti il primo giorno di utilizzo della card; promozioni e sconti durante l’anno; riparazioni sartoriali gratuite, esclusi i capi in saldo; consegna a domicilio gratuita in città, con acquisti superiori a 500 euro; libertà nella modalità di pagamento: in contanti, con carta di credito, con assegno o con R.card; Per usufruire dei vantaggi basta mostrare R.card alle casse". In basso con un carattere di colore rosa si legge: "R.card è una carta di credito gratuita collegata al circuito Visa. Per scoprire tutti gli altri vantaggi e richiederla, rivolgiti all’ufficio clienti";
– "La nuova carta di credito L.R. completamente gratuita. Richiedila all’ufficio clienti".
Nel corso del 2007 e del 2008 la carta formava oggetto di due specifiche operazioni promozionali promosse e gestite dalla F. e approvate da R., usufruibili solo utilizzando la R.card come strumento di pagamento:
– una, denominata "Libero 3" (da aprile 2007 a maggio 2007) consistente nella possibilità per il consumatore di posticipare di tre mesi la scelta sulla modalità di pagamento se a saldo o rateale
– l’altra, denominata operazione a tasso zero (dal 13 marzo al 10 maggio 2008) offerta su tutti i punti vendita nazionali che prevedeva la possibilità di dilazionare il pagamento in tre rate a tasso zero.
A seguito degli accertamenti ispettivi svolti presso il punto vendita R. di Roma, AGCM ha avuto modo di appurare che la richiesta della carta avviene mediante la compilazione manuale del "modulo richiesta card" "mentre l’addetto all’ufficio clienti compila online, attraverso una banca dati messa a disposizione di F., l’apposito formulario. Sulla base dell’accettazione della richiesta di finanziamento da parte della F. il cliente sottoscrive il modulo cartaceo ne riceve copia, con allegato un coupon provvisorio che gli consente di utilizzare la carta con effetto immediato"; sul punto soggiungendosi che "dalla documentazione acquisita agli atti si evince che la richiesta può essere formulata anche mediante la compilazione al computer di un modello contrattuale telematico, successivamente stampato e fatto sottoscrivere al consumatore.
Il modulo cartaceo per la richiesta della card presentava sulla parte frontale l’indicazione "R.card – una carta di credito esclusiva" "Modulo richiesta card" e conteneva in duplice copia:
– il documento di sintesi, dove erano riportate tre caselle che il cliente è tenuto a compilare indicanti l’importo massimo autorizzato, il rimborso minimo mensile concordato e l’importo del primo utilizzo contestuale nonché le principali condizioni contrattuali;
– la richiesta, denominata "domanda di apertura Carta", composta da una sezione dedicata alla raccolta dei dati del cliente, alle condizioni di apertura della Carta dove venivano nuovamente riportate le caselle indicanti l’importo massimo autorizzato, il rimborso minimo mensile concordato e l’importo del primo utilizzo contestuale e dove si leggeva: "Modalità di rimborso e tasso applicato (valido alla data di stampa del presente modulo) – le rate mensili, rimborsabili non oltre il 5 del mese successivo alla data dell’estratto conto, potranno essere assolte mediante addebito su C/C Bancario o bollettini postali – tasso mensile 1,15% – TAN 13,80% TAEG 14,71% (salvo quanto previsto all’articolo 8 delle Condizioni Generali)";
– le Condizioni Generali di contratto applicate in caso di accoglimento della domanda riportate sul retro del modulo.
La "R.card" veniva inviata al domicilio del titolare direttamente da F. assieme ad una comunicazione del seguente tenore:"Sono lieto di comunicarle che F. in collaborazione con la R. ha accettato la sua richiesta e ha deciso di inviarle la R.card. La carta di credito, a circuito internazionale Visa che mette a sua disposizione un fido di 400 euro e le consente di: fare acquisti in tutti i punti vendita la R. approfittando ogni volta delle promozioni e dei vantaggi riservati ai titolari della Card; richiedere una somma di danaro da rimborsare con comode rate mensili (…), prelevare contanti agli sportelli bancomat (…) fare acquisti nei negozi convenzionati Visa".
2.3 Nel corso del procedimento istruttorio le parti (F. e R.) svolgevano le proprie difese, argomentando che, a fronte di un progetto di fidelizzazione dei clienti attraverso l’emissione di una carta di credito, denominata "R.card", destinata ai clienti ed ai dipendenti della R., veniva formalizzavano un "protocollo d’accordo" e predisposta una serie di iniziative pubblicitarie per la relativa promozione, nonché la documentazione da utilizzare per l’apertura della carta al fine di fornire ai consumatori, in modo assolutamente chiaro e completo, tutte le informazioni sull’utilizzo della stessa.
Sempre secondo quanto sostenuto dalle parti, la funzione principale della "R.card" si sarebbe sostanziata nel riconoscimento di una serie di vantaggi dei quali avrebbe fruito il titolare nei negozi R., in termini di offerte e promozioni riservate, nonché nella "particolare flessibilità nel pagamento degli acquisti effettuati presso gli stessi negozi con utilizzo di tale carta, acquisti che potevano essere saldati a fine mese in una unica soluzione senza interessi o in modo rateale attraverso versamenti mensili anche di minimo importo".
Dalla guida all’utilizzo, inoltre, sarebbe stato dato evincere che il titolare della R.card non aveva alcun obbligo di utilizzarla per usufruire dei sopra descritti vantaggi, potendo effettuare i pagamenti degli acquisti anche in contanti, con assegno o addirittura con altra carta di credito, dato che tali vantaggi avevano come presupposto la sola "titolarità" della carta e non il relativo utilizzo; mentre le ulteriori "funzioni" della R.card (identificabili nella possibilità per il titolare sia di vedersi accreditare una somma una tantum, sia di prelevare agli sportelli bancomat con il marchio Visa, sia di utilizzare tale carta di credito per eventuali acquisti in esercizi non della R. ma convenzionati con "Visa"), avevano natura marginale ed accessoria, costituendo un quid pluris offerto al relativo titolare nell’ambito di un rapporto che aveva come parte la sola F..
Quanto alla contestata sussistenza di omissioni informative in merito alla natura revolving della carta e della linea di credito sulla quale insiste la carta, le parti hanno osservato che tale aspetto veniva chiarito sia dalla guida all’utilizzo (mediante il duplice avviso "R.card mette a tua disposizione un importo di denaro: puoi usarlo a piacere e, se vuoi, restituirlo un po" alla volta in rate mensili. Il fido diminuisce quando utilizzi la tua card ma grazie ai tuoi rimborsi mensili, si ricostituisce ed è subito pronto a nuovi utilizzi"), sia nel modulo contrattuale che riporta espressamente l’ipotesi del "rimborso minimo mensile concordato" con indicazione del tasso mensile, del TAN, del TAEG e degli ulteriori costi.
Rispetto alla lettera b) della comunicazione di avvio, rilevavano le odierne ricorrenti che una delle utilità principali della "R.card" è proprio quella di consentire al titolare di effettuare a fine mese il pagamento degli acquisti effettuati in un’unica soluzione e senza alcun interesse e/o onere aggiuntivo; mentre, con riferimento alla lettera c) della comunicazione anzidetta, veniva evidenziato che il documento n. 14 conteneva su questo specifico punto la seguente precisazione: "ti segnaliamo che la "R.card" fuori dai punti vendita L.R. attiva in automatico la formula di pagamento revolving (pagamento rateale per i tuoi acquisti)"; in ogni caso, l’attivazione automatica di tale formula non escludendo affatto la possibilità per il consumatore di effettuare il saldo di quanto speso in un’unica soluzione.
Per quanto concerne, poi, le fasi di formazione del vincolo contrattuale nell’ambito delle quali si ipotizza la sussistenza delle condotte descritte, veniva ulteriormente osserva che il messaggio promozionale pubblicato sul sito internet www.R..it conteneva, dopo l’elencazione dei principali vantaggi della "R.card", il seguente triplice invito:
– "scopri tutti i servizi offerti da R.card presso gli uffici clienti nei punti vendita R."
– "Consulta la guida all’utilizzo"
– e "Accedi all’area riservata R.card (F. Visa)"
e che presso il punto vendita il consumatore aveva a disposizione la guida all’utilizzo alle casse o all’ufficio clienti.
2.4 Atteso che la pratica commerciale oggetto del presente provvedimento trovava diffusione anche attraverso internet, in data 5 maggio 2009 veniva richiesto dalla procedente AGCM il parere all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, ai sensi dell’articolo 27, comma 6, del Codice del Consumo.
Con parere pervenuto in data 25 maggio 2009, la suddetta Autorità assumeva, per quanto di sua competenza, il carattere "scorretto" della pratica commerciale in esame ai sensi degli articoli 20, 21, 22, 24 e 25, lettera a), del D.Lgs. 206/2005, sulla base delle seguenti considerazioni:
– "la pratica commerciale diffusa sui mezzi di comunicazione è idonea a raggiungere gruppi più ampi di consumatori… attesa la natura dell’offerta pubblicizzata che, trattandosi di carta di credito cobranded denominata R.card, rilasciata in esclusiva ai clienti della R., ha ricadute sulla sensibilità dei soggetti chiaramente individuabili in ragione del loro interesse, a vario titolo, ad accedere alle opportunità associate al rilascio della card in questione, e… stimolati dalla possibilità offerta nel messaggio in esame di usufruire di tutti i vantaggi connessi, inducendo il consumatore medio in errore e ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso";
– "i contenuti dell’informazione pubblicitaria, a prescindere dal claim utilizzato dal professionista – "R.card perfetta per lo shopping"- non sono esaurienti ed obiettivi e, comunque, tali da informare adeguatamente ed inequivocabilmente il consumatore medio sulla natura, le caratteristiche nonché condizioni e modalità di utilizzo della carta in promozione";
– "con riferimento al profilo della completezza e della veridicità delle informazioni da fornire in ordine alle caratteristiche principali della pratica commerciale in esame, ai fini della valutazione dell’effettiva convenienza dell’offerta pubblicizzata e della determinazione alla fruizione della stessa, il consumatore deve essere posto nella condizione di averne chiara e immediata contezza, con la conseguenza che la completezza della comunicazione pubblicitaria deve coniugarsi alla chiarezza e all’immediata percettibilità delle caratteristiche del servizio pubblicizzato";
– "il professionista nel promuovere la carta in questione, avuto riguardo al mezzo di diffusione impiegato per la pratica commerciale in oggetto e, nella fattispecie, ricorrendo alla veicolazione tramite internet, enfatizza l’uso della R.card quale segno di richiamo e distinzione per fare acquisti in un modo "esclusivo" con il vantaggio di garantirsi un trattamento privilegiato, sottintendendone i potenziali vantaggi economici che deriverebbero dall’essere titolari della carta così pubblicizzata, catturando, in tal modo, soprattutto l’attenzione del consumatore medio";
– "l’ingannevolezza della pratica commerciale in esame si rileva dalle modalità attuate dal professionista nella fase promozionale laddove non viene chiaramente portata alla conoscenza del consumatore medio, soprattutto, la "funzione revolving" della carta";
– "la scorrettezza del comportamento contestato non può essere esclusa dall’intervento "correttivo" che lo stesso professionista ammette di aver attuato, laddove dichiara di aver integrato, ad aprile 2008, la guida all’utilizzo, specificando che "fuori dai punti vendita L.R., l’utilizzo della R.card attiva in automatico la formula di pagamento rateale denominata revolving". Ciò in quanto la condotta, intesa a rimuovere gli effetti della pratica commerciale in esame, non è di per sé idonea a escludere l’ingannevolezza del messaggio, posto che questo deve essere valutato nella sua potenzialità decettiva con esclusivo riferimento al suo contenuto e alla sua portata, riferita alle circostanze spaziotemporali della sua diffusione";
– "il fine promozionale si realizza esclusivamente attraverso il messaggio, il quale esaurisce la sua funzione proprio nell’indurre il destinatario a rivolgersi all’operatore, cosicché non può essere ritenuto idoneo a sanare l’incompletezza delle informazioni fornite su elementi riconosciuti essenziali, quali, in particolare, le condizioni e le modalità di utilizzo della R.card, il rinvio ad ulteriori fonti informative (ufficio clienti, condizioni di contratto) cui il consumatore è invitato a rivolgersi";
concludendo nel senso che "la pratica commerciale descritta risulta idonea a falsare il comportamento economico dei consumatori, in quanto omette, ovvero non rende immediatamente evidenti, informazioni che attengono ad aspetti essenziali del servizio offerto, quali – come lamentato dai segnalanti – la natura revolving della R.card, le modalità di utilizzo della carta nell’ambito delle c.d. "funzioni fedeltà" e/o promozioni e, al di fuori dei punti vendita R., in negozi ed esercizi commerciali Visa in Italia e all’estero"; e "risulta idonea a indurre in errore i consumatori ai quali è rivolta, o da essa raggiunti, in quanto a causa della sua ingannevolezza, pare suscettibile di pregiudicare il comportamento economico ai sensi dell’articolo 21 del Decreto Legislativo n. 206/05, nella versione vigente prima dell’entrata in vigore dei Decreti Legislativi 2 agosto 2007, n. 145 e n. 146 dei destinatari, inducendoli e/o condizionandoli ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbero altrimenti preso".
2.5 Le conclusioni rassegnate dall’Autorità in esito allo svolgimento del descritto iter procedimentale muovono dalla preliminare individuazione della fattispecie oggetto di indagine, rappresentata da una pratica commerciale concernente la commercializzazione presso i punti vendita "L.R." della carta di credito co- branded denominata "R.card", mediante l’adozione di comportamenti ingannevoli in violazione degli articoli 20, 21 e 22, del Codice del Consumo.
Prosegue l’Autorità rilevando come, nel corso dei condotti approfondimenti, sia emersa "la sussistenza di informative inadeguate e di omissioni informative sulla natura, sulle caratteristiche, sulle condizioni e modalità di utilizzo della carta, sia nell’ambito delle iniziative pubblicitarie volte a promuoverne la sottoscrizione sia nell’ambito della documentazione contrattuale utilizzata per la richiesta della carta e messa a disposizione dei punti vendita R. dalla F.".
In particolare, "le pagine internet acquisite agli atti e la cartellonistica acquisita nel corso degli accertamenti ispettivi, di contenuto sostanzialmente analogo, presentano la R.card come una carta di credito del circuito Visa che consente di accedere ad una serie di opportunità in esclusiva o di vantaggi senza, tuttavia, fornire indicazioni né sulla natura revolving della carta e della linea di credito ad essa collegata né sulla necessità di rimborsare necessariamente in modalità revolving gli utilizzi della carta fuori dai punti vendita R."; osservandosi, peraltro, che "la stessa "guida all’utilizzo", distribuita presso i punti vendita e accessibile dal sito internet www.R..it cliccando su un omonimo link, fornisce informazioni incomplete sull’effettiva natura della carta e del fido nonché sulle modalità di rimborso al di fuori del circuito R.", presentando la R.card come una "carta di credito esclusiva", una "carta di credito completa", una "Card" senza alcun riferimento alla natura revolving della carta e del fido sul quale la stessa insiste (l’espressione "il fido diminuisce quando utilizzi la tua Card ma, grazie ai tuoi rimborsi mensili, si ricostituisce ed è subito pronto a nuovi utilizzi", presente nella sezione della guida denominata "un fido sempre per te", non essendo apparsa ad AGCM idonea ad informare il consumatore sulla natura revolving della linea di credito e, in particolare, in merito alla circostanza per cui la modalità di rimborso rateale ricostituisce il fido solo per la quota capitale della rata).
Quanto, poi, alle modalità di rimborso previste nel caso di utilizzo della carta fuori dal circuito R., l’Autorità ha inoltre rilevato che la versione della guida diffusa fino al mese di aprile 2008 (e, peraltro, acquisita presso il punto vendita di Roma nel dicembre 2008), omettesse "di specificare che presso gli esercizi commerciali che aderiscono al circuito Visa o in alcuni corner e ristoranti presenti nei punti vendita R. la modalità di rimborso prevista in automatico è quella rateale con interessi (c.d. revolving)".
Del resto, "anche la seconda versione della guida all’utilizzo diffusa da maggio 2008, dove è riportata l’espressione "Ti segnaliamo che la R.card fuori dai punti vendita la R. attiva in automatico la formula di pagamento revolving (pagamento rateale per i tuoi acquisiti)", non specifica che la carta attiva automaticamente la modalità di rimborso revolving anche presso alcuni corner e presso i Ristoranti interni ai punti vendita R.".
Le "medesime omissioni informative" sarebbero state, poi, rinvenibili "nella documentazione contrattuale utilizzata per la richiesta della carta e nella comunicazione che accompagna l’invio della R.card al domicilio del consumatore" (in quanto i moduli contrattuali e la lettera di accompagnamento della carta "non contengono indicazioni in merito alla natura revolving della R.card e della linea di credito sulla quale la stessa insiste, nonché in merito alla necessità di rimborsare mediante rate mensili minime gli utilizzi della carta effettuati presso altri esercizi commerciali convenzionati Visa").
Né il modulo contrattuale predisposto per la compilazione cartacea (mediante le espressioni "modulo richiesta card", riportata sul frontespizio, e "domanda di apertura carta", che compariva nella parte dedicata alla raccolta dei dati del cliente), permetteva "al consumatore di comprendere l’effettivo oggetto della richiesta che… è rappresentato dall’apertura di una linea di credito rotativa (c.d. revolving) a tempo indeterminato, che può essere utilizzata con la R.card, anche al fine di richiedere prestiti personali o effettuare prelievi bancomat".
A fronte delle riportate considerazioni, l’Autorità soggiungeva che la pratica commerciale come sopra descritta "appare idonea a integrare anche un’ipotesi di pratica aggressiva in violazione degli articoli 24 e 25, lettera a), del Codice del Consumo con specifico riferimento alla fase di acquisizione del consenso", in quanto implicante, "in considerazione della natura della condotta e del luogo e dei tempi che caratterizzano la fase di conclusione del contratto,… un indebito condizionamento idoneo a limitare notevolmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole, inducendolo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso".
Sotto il profilo della natura aggressiva della pratica (e, quindi, della sussistenza di un indebito condizionamento), AGCM:
– ha preso in considerazione "la posizione di forza in cui si trova il professionista rispetto al consumatore, che, nel caso concreto, discende dalla rilevante asimmetria informativa riscontrabile nell’ambito della commercializzazione dei servizi finanziari, su cui viene fatta leva per estorcere al consumatore un consenso che altrimenti non avrebbe prestato"
– ed ha, altresì, valutato "i tempi ed il luogo in cui la pratica commerciale è stata posta in essere", non potendosi trascurare, in tal senso, "che il contratto viene stipulato direttamente nel punto vendita nell’ambito di un contesto ambientale che, in considerazione dell’ampiezza e dell’affollamento dei centri commerciali e della sollecitudine con cui, in alcuni casi, si conducono gli acquisti, può indurre il consumatore a non soffermarsi nella lettura delle condizioni generali di contratto o comunque a non richiedere ulteriori informazioni necessarie a chiarire la natura del contratto e le caratteristiche del servizio"
conclusivamente argomentando, sotto tale aspetto, che "la proposta di sottoscrizione della R.card, nonché la sottoscrizione della stessa sfruttano l’effetto cosiddetto "sorpresa" sul consumatore, il quale viene agganciato in un momento in cui le sue decisioni commerciali erano rivolte verso beni di consumo diversi rispetto ai servizi finanziari ed in un esercizio commerciale non adibito alla vendita di tale specifica categoria di prodotti".
Per effetto di quanto precedentemente riportato, l’Autorità perveniva alla conclusione che la pratica commerciale descritta appare caratterizzata:
– "da azioni e da omissioni ingannevoli in violazione degli artt. 21 e 22 del Codice del Consumo in merito alla natura revolving della carta e della linea di credito ad essa collegata nonché in merito alla necessità di rimborsare con modalità revolving gli utilizzi effettuati presso gli esercizi commerciali che aderiscono al circuito Visa o in alcuni corner e ristoranti presenti nei punti vendita R." (ribadendo che "le omissioni informative evidenziate appaiono rilevanti in quanto concernono caratteristiche essenziali del prodotto e sono idonee a far assumere al consumatore una decisione che non avrebbe altrimenti preso");
– e "da condotte aggressive in violazione degli artt. 24 e 25 lettera a) del Codice del Consumo in considerazione della natura della condotta, del luogo e dei tempi che caratterizzano la fase di conclusione del contratto di richiesta della "R.card".
Nel ritenere, per l’effetto, rilevanti le previsioni di cui all’art. 20, comma 2, del D.Lgs. 206/2005 (ai sensi del quale una pratica commerciale è scorretta "se è contraria alla diligenza professionale ed è falsa od idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge od al quale è diretta"), AGCM ha osservato che:
– "quanto alla contrarietà alla diligenza professionale,… non si riscontra, da parte dei professionisti coinvolti, "il normale grado della specifica competenza ed attenzione" che ragionevolmente ci si può attendere nei rispettivi settori di attività, con riferimento alla commercializzazione di prodotti finanziari", atteso che, "con particolare riferimento a R…. la violazione della diligenza professionale risulta dalla piena consapevolezza del tipo di prodotto finanziario proposto ai propri clienti"; ciò, soprattutto, in quanto "rispetto al settore di riferimento… la valutazione della completezza e chiarezza delle informazioni fornite alla clientela si presenta particolarmente rigorosa in considerazione dell’asimmetria informativa tra operatori economici e consumatori derivante dalla complessità della materia e dalla scarsa conoscenza del pubblico rispetto ad un servizio cui non si ricorre con frequenza";
– mentre, con riferimento all’idoneità delle pratiche a falsare in misura apprezzabile le scelte dei consumatori, "le omissioni informative e le informazioni inesatte, incomplete, ambigue e intempestive che vengono fornite alla clientela riguardano la natura, le caratteristiche, le modalità di utilizzo e di rimborso della Carta al di fuori del circuito, la cui conoscenza è imprescindibile ai fini dell’adozione di una decisione commerciale consapevole, costituendo, in tal modo, parametri fondamentali cui fanno riferimento i consumatori allorché compiono proprie valutazioni sull’opportunità di acquistare o meno un prodotto o un servizio".
2.6 A fronte della sostenuta violazione dei parametri normativi in precedenza enunciati, l’Autorità ha conseguentemente provveduto alla quantificazione della sanzione prevista dalle vigenti disposizioni in materia.
Nel dare atto dell’obbligatorio riferimento ai criteri individuati dall’art. 11 della legge 689/1981, in virtù del richiamo previsto all’art. 27, comma 13, del Codice del Consumo (gravità della violazione; opera svolta dall’impresa per eliminare o attenuare l’infrazione; personalità dell’agente; condizioni economiche dell’impresa stessa), AGCM ha innanzi tutto preso in considerazione la dimensione economica dei professionisti (F., società bancaria, facente parte del Gruppo creditizio F., leader in Italia nel credito alla famiglia per l’acquisto di beni e servizi ad uso privato; R., società che gestisce una rete di primario rilievo nel settore della distribuzione specializzata): assumendo che, "trattandosi… di società che godono di credibilità e notorietà presso il pubblico, la pratica commerciale scorretta dalla stesse posta in essere può ragionevolmente ritenersi di maggiore portata offensiva".
È stato, poi, osservato che:
– "la gravità delle violazioni deve… essere ricondotta alla stessa tipologia di omissioni informative riscontrate in ragione del settore nel quale sono state poste in essere", in quanto "in tale settore, infatti, l’obbligo di completezza e chiarezza delle informazioni veicolate si presenta particolarmente stringente, anche in ragione della già rilevata asimmetria informativa esistente tra professionista e consumatore, derivante dalla complessità della materia e dalla scarsa conoscenza del pubblico rispetto servizi cui non si ricorre con molta frequenza";
– e che "la pratica commerciale interessa l’intero atto di consumo, in quanto posta in essere in tutte le fasi che caratterizzano la formazione e l’acquisizione del consenso del consumatore alla conclusione del contratto"; la gravità della pratica dovendosi "ricondurre al fatto che non vengono fornite adeguate informazioni sull’attivazione automatica della modalità di rimborso c.d. revolving nel caso di utilizzo della carta in altri esercizi commerciali che aderiscono al circuito Visa, nonché, nei ristoranti e in alcuni corner… presenti nei punti vendita R.".
Con particolare riferimento alla posizione di F., veniva inoltre dato atto della "palese contrarietà alla diligenza professionale, atteso che la società, da tempo attiva nel settore di cui trattasi, è maggiormente edotta, anche rispetto alla R., in ordine alla natura essenziale delle informazioni relative alla natura revolving della carta di credito e della linea di credito ad essa collegata, all’effettivo oggetto del contratto nonché alle modalità di rimborso degli utilizzi al di fuori dei negozi R.".
Quanto alla durata delle violazioni, la pratica commerciale all’esame è risultata "posta in essere per un periodo complessivo di un anno e otto mesi (dal 21 settembre 2007 ad oggi)".
Gli illustrati elementi della "gravità" e della "durata" conducevano a ritenere irrogabili le seguenti sanzioni:
– Euro 150.000,00 a F.B. S.p.A.
– Euro 150.000,00 a L.R. s.r.l.,
la prima delle quali, a fronte della ritenuta sussistenza della circostanza aggravante della recidiva (in quanto F. già era stata destinataria di altri provvedimenti in materia di pratiche commerciali scorrette) conduceva all’incremento della misura afflittiva per complessivi Euro 180.000,00; mentre la sanzione irrogata nei confronti di R. (in ragione dell’esistenza della circostanza attenuante rappresentata dalla perdita di esercizio) veniva ridotta ad Euro 130.000,00.
3. La disamina dei motivi di ricorso proposti dai mezzi di tutela all’esame non può non trarre avvio dalla censura con la quale, L.R. (cfr. punto I.1 della narrativa) ha, in nuce, contestato la configurabilità stessa di un potere di intervento di AGCM in un ambito (offerta di prodotti finanziari), presidiato da una normazione di settore e dalla presenza di un’Autorità (la Banca d’Italia) preposta alla vigilanza in materia di servizi bancari e creditizi.
Tale tesi non è condivisibile, come dalla Sezione già argomentato con sentenza 18 gennaio 2010 n. 306.
La giustapponibilità di diversificati versanti di valutazione (relativamente all’azione professionalmente posta in essere da un operatore commerciale) non rivela, ex se riguardata, valenza reciprocamente escludente con riferimento a quadri normativi (tutela della concorrenza e del consumo; prestazione di servizi finanziari e svolgimento di operazioni creditizie) che, in quanto preordinati alla tutela di inassimilabili finalità pubbliche, ben possono trovare (distinta, ma) compresente applicazione, senza che ciò venga a determinare alcun effetto "riproduttivo" in ragione della diversità dei presupposti e della eterogeneità dei connessi profili di interesse che ciascuno di essi è chiamato a garantire.
Come già osservato dalla Sezione relativamente al nuovo sistema di tutela dettato dal Codice del Consumo (cfr. sent. 6 luglio 2009 n. 6456), non può non apprezzarsi l’orientamento della relativa disciplina a colmare il deficit informativo soprattutto in settori di attività caratterizzati da una particolare complessità: e ciò in quanto, segnatamente nel contesto dell’offerta di nuovi e diversificati servizi, i consumatori ben possono non conoscerne in dettaglio modalità e caratteristiche tecniche in quanto non necessariamente dotati delle competenze specifiche necessarie per rilevare (e dunque fronteggiare) l’esistenza dei "pericoli" connessi alla loro fruizione.
Ne consegue che il quadro di tutela offerta dal Codice del Consumo viene ad aggiungersi non soltanto ai normali strumenti di tutela contrattuale, ma, segnatamente, a quelli derivanti dall’esistenza di specifiche discipline in settori oggetto di regolazione.
Le norme in materia di contrasto alle pratiche commerciali non corrette richiedono infatti ai professionisti l’adozione di modelli di comportamento in parte desumibili da siffatte norme, ove esistenti, in parte dall’esperienza propria del settore di attività, nonché dalla finalità di tutela perseguita dal Codice, purché, ovviamente, siffatte condotte siano loro concretamente esigibili in un quadro di bilanciamento, secondo il principio di proporzionalità, tra l’esigenza di libera circolazione delle merci e dei servizi e il diritto del consumatore a determinarsi consapevolmente in un mercato concorrenziale (in tal senso, operando soprattutto il modello, di derivazione comunitaria, del cd. consumatore medio).
Viene, quindi, in considerazione la presenza di una particolare "posizione di garanzia" – alla quale accede uno specifico "dovere di protezione" – le cui ricadute involgono non già l’esistenza di una forma di responsabilità oggettiva, quanto, piuttosto, la pretendibilità di uno standard di diligenza particolarmente elevato, non riconducibile ai soli canoni civilistici di valutazione della condotta ed esteso ad una fase ben antecedente rispetto all’eventuale conclusione del contratto.
Nel richiamarsi alle considerazioni dalla Sezione diffusamente, quanto puntualmente, espresse sul profilo che qui ne occupa con la recente sentenza 19 maggio 2010 n. 12277 (carta di credito cobranded AuchanAccord), non può conseguentemente omettere il Collegio dal dare atto della incondivisibilità della doglianza esaminata.
4. Né rivelano apprezzabile fondamento le doglianze – esplicitate da F. – relative a presunti vizi del procedimento istruttorio, la cui consistenza, secondo la tesi della ricorrente, avrebbe compromesso un’effettiva, quanto corretta, attuazione del principio del contraddittorio con riveniente compressione del diritto di difesa.
Il Collegio, in proposito, non ha motivo di discostarsi da quanto in proposito evidenziato dalla Sezione con sentenze 19 giugno 2009 n. 5897 e 21 settembre 2009 n. 9083.
4.1 L’art. 12, comma 2, del Regolamento sulle procedure istruttorie in materia di pratiche commerciali scorrette (di cui alla delibera adottata dall’AGCM nell’adunanza del 15 novembre 2007) stabilisce che il responsabile del procedimento, ove ciò sia necessario ai fini della raccolta o della valutazione degli elementi istruttori, o venga richiesto da almeno una delle parti, può disporre che le parti siano sentite in apposite audizioni nel rispetto del principio del contraddittorio, fissando un termine inderogabile per il loro svolgimento.
La potestà attribuita al responsabile del procedimento di procedere all’audizione, in ragione sia della ratio, che della lettera della legge, è di carattere discrezionale non solo quando l’audizione è disposta d’ufficio ma anche quando la stessa è disposta su richiesta di almeno una delle parti.
Da un punto di vista letterale, la norma indica che, in entrambi i casi, il responsabile del procedimento "può disporre", per cui nessun dubbio può sussistere sulla discrezionalità della scelta, ma anche e soprattutto da un punto di vista sistematico è verosimile ritenere che il normatore abbia inteso subordinare l’audizione alla verifica di un’effettiva esigenza istruttoria anche quando sia la parte a presentare la richiesta, atteso che, diversamente opinando, si perverrebbe alla paradossale conclusione che, a prescindere da qualunque valutazione di tipo istruttorio, debba procedersi a tutte le audizioni richieste, anche se innumerevoli.
L’esigenza di subordinare l’audizione ad una valutazione di tipo istruttorio, inoltre, rende del tutto ragionevole ed esente da vizi l’art. 12 del regolamento, gravando sulla parte che deduce la censura dimostrare, caso per caso, l’illegittimità del diniego di audizione per la presenza di una specifica e concreta esigenza istruttoria, immotivatamente o irragionevolmente disattesa; onere probatorio che, nel caso di specie, non è stato assolto.
D’altra parte, il principio generale di cui alla legge 241/1990 in materia di procedimento amministrativo non è quello dell’oralità ma del contraddittorio scritto, come emerge chiaramente dall’art. 10 della legge 241/1990.
4.2 Il Regolamento di procedura in materia di pratiche commerciali scorrette, inoltre, non può ritenersi illegittimo, negli artt. 6 e 16, laddove, a differenza che nel regolamento sulle procedure in materia di tutela della concorrenza, non prevede una contestazione delle risultanze istruttorie.
Le norme del Regolamento in materia di pratiche commerciali scorrette, infatti, assicurano comunque una piena garanzia del contraddittorio, riconoscendo alle parti un’ampia facoltà di presentare scritti difensivi e documentazione a supporto delle argomentazioni proposte, sicché il procedimento è del tutto conforme ai principi sottesi alla legge 241/1990, mentre, nei procedimenti antitrust, la previsione della comunicazione delle risultanze istruttorie è da ricondurre alle peculiarità tipiche dei relativi procedimenti, caratterizzati dalla particolare complessità degli accertamenti istruttori.
4.3 Né è condivisibile la sostenuta illegittimità della mancata attivazione delle necessarie modalità di interlocuzione endoprocedimentale a seguito dell’acquisizione, da parte di AGCM, del prescritto parere a cura dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (cfr. punto II.3 della narrativa).
La richiesta del parere di AGCom successivamente alla chiusura dell’istruttoria è, infatti, conforme:
– sia alla previsione di cui all’art. 16 comma 3, del suddetto Regolamento, secondo cui il responsabile del procedimento, nei casi di cui all’art. 27, comma 6, del codice del consumo (vale a dire quando la pratica commerciale è stata o deve essere diffusa attraverso la stampa periodica o quotidiana ovvero per via radiofonica o televisiva o altro mezzo di comunicazione), prima di rimettere gli atti al Collegio per l’adozione del provvedimento finale, richiede il parere all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, la quale comunica lo stesso entro trenta giorni dal ricevimento della richiesta
– che alla previsione di cui all’art. 27, comma 6, del D.Lgs. 206/2005, secondo cui l’Autorità deve richiedere il parere prima di provvedere.
Le previsioni normative, peraltro, non sono irragionevoli in quanto il contradditorio tra le parti deve formarsi (esclusivamente) sui fatti in ordine ai quali il procedimento è stato avviato, come in sintesi indicati nella comunicazione di avvio dello stesso; e non anche, ulteriormente, sul contenuto del parere dell’organo consultivo chiamato ad intervenire nel procedimento.
4.4 Se, come illustrato nel provvedimento (ed in punto di fatto non contestato) entrambe le parti hanno avuto modo, nel corso del procedimento istruttorio, di addurre all’attenzione dell’Autorità le proprie difese e di controdedurre rispetto agli addebiti mossi (essendo esse state, comunque, poste concretamente nella condizioni di esporre documentalmente le proprie argomentazioni), deve conclusivamente escludersi la fondatezza delle doglianze con le quali viene sostenuta l’illegittimità dello svolgimento procedimentale sotto il profilo della lesione delle prerogative difensive: conseguentemente imponendosi la reiezione delle relative doglianze.
5. A questo punto, si impone – preliminarmente alla disamina delle censure con le quali L.R. e F.B. hanno confutato la configurabilità di una pratica commerciale scorretta – una necessaria ricognizione del pertinente quadro normativo di riferimento.
Come noto, la normativa, di derivazione europea, posta a tutela del consumatore e della concorrenza si è arricchita per effetto della Direttiva n. 2005/29/CE, relativa alle "Pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno", alla quale il Legislatore nazionale ha provveduto a dare attuazione adottando, nell’agosto del 2007, due distinti Decreti Legislativi (nn. 145 e 146), rispettivamente destinati ai rapporti tra professionisti ed alle pratiche intraprese da questi ultimi con i consumatori.
Il D.Lgs. 146/2007 è intervenuto direttamente sul Codice del Consumo, sostituendo gli artt. 1827 del D.Lgs. 6 settembre 2005 n. 206 ed introducendo una generale normativa sulle "pratiche commerciali scorrette".
Il Codice del Consumo, per come modificato alla stregua dell’indicata sopravvenienza normativa, ha abbandonato il precedente specifico riferimento alla sola pubblicità ingannevole e comparativa, per approdare ad una disciplina di portata più ampia, riferibile, sotto il profilo oggettivo, ad ogni azione, omissione, condotta, dichiarazione e comunicazione commerciale, "ivi compresa la pubblicità", posta in essere da un professionista "prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa ad un prodotto" (artt. 18 e 19 del Codice), così notevolmente allargando il campo delle condotte sanzionabili.
Quanto, invece, all’ambito di applicazione soggettivo, le pratiche commerciali rilevanti ai fini della normativa in esame sono solo quelle poste in essere tra professionisti e consumatori: rimanendo, pertanto, escluse quelle condotte connesse ad un rapporto tra soli professionisti, cui, viceversa, fa precipuo riferimento il parallelo D.Lgs. n. 145/2007 sulla pubblicità ingannevole e comparativa.
Il recepimento nell’ordinamento interno della direttiva comunitaria 2005/29/CE, ha indubbiamente rafforzato il ruolo dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nella tutela amministrativa del consumatore, rendendola ben più incisiva e ampia di quella prevista in precedenza e limitata alla repressione della pubblicità ingannevole e comparativa.
Per tale ragione, del resto, il D.Lgs. 146/2007 ha, contestualmente, ampliato i poteri dell’Autorità, allineandoli a quelli tipici dell’azione amministrativa a tutela della concorrenza e rendendo altresì più severe le misure sanzionatorie.
Ai sensi dell’art. 18 del D.Lgs. 6 settembre 2005 n. 206 (come modificato dall’appena citato D.Lgs. 2 agosto 2007 n. 146), "per le finalità considerate dal Titolo III" (Pratiche commerciali, pubblicità ed altre informazioni commerciali), si intende per:
– "professionista": qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali oggetto del presente titolo, agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisce in nome o per conto di un professionista;
– "prodotto": qualsiasi bene o servizio, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni;
– "pratiche commerciali tra professionisti e consumatori": qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori;
– "falsare in misura rilevante il comportamento economico dei consumatori": l’impiego di una pratica commerciale idonea ad alterare sensibilmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole, inducendolo pertanto ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
Il successivo art. 19 puntualizza, poi, che le disposizioni contenute nel Titolo anzidetto trovano applicazione alle pratiche commerciali scorrette tra professionisti e consumatori poste in essere prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa a un prodotto.
Il comma 2 dell’art. 20 stabilisce, quindi, che "una pratica commerciale è scorretta se è contraria alla diligenza professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale e" diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori"; mentre il successivo comma 4 individua come scorrette le pratiche commerciali:
– ingannevoli di cui agli articoli 21, 22 e 23
– aggressive di cui agli articoli 24, 25 e 26.
In particolare, ai sensi dell’art. 22 "è considerata ingannevole una pratica commerciale che nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, omette informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e induce o è idonea ad indurre in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso".
Secondo l’art. 24 "è considerata aggressiva una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica o indebito condizionamento, limita o è idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induce o è idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso".
Gli articoli 23 e 26, descrivono, infine, le pratiche che sono considerate in ogni caso ingannevoli e/o aggressive.
6. Alla stregua del paradigma normativo di riferimento, come sopra illustrato, la Sezione ha motivo di dare atto della fondatezza delle argomentazioni con le quali l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha ritenuto ricorrere, nella fattispecie all’esame, un’ipotesi pratica commerciale scorretta con riferimento alla violazione dell’obbligo di diligente e completa informazione del consumatore che, alla stregua di quanto riportato al precedente punto 5., connota e qualifica, con carattere di obbligatorietà, l’attività di offerta al pubblico di prodotti commerciali.
6.1 Va rammentato, in proposito, come il Codice del Consumo rechi specifici riferimenti alla idoneità dell’eventuale deficit informativo a qualificare come scorretta la pratica commerciale; rilevando sotto tale aspetto, quanto previsto:
– al comma 1 dell’art. 22 (per effetto del quale "è considerata ingannevole una pratica commerciale che nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, omette informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e induce o è idonea ad indurre in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso");
– al comma 2 del medesimo articolo (per cui "una pratica commerciale è altresì considerata un’omissione ingannevole quando un professionista occulta o presenta in modo oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo le informazioni rilevanti di cui al comma 1, tenendo conto degli aspetti di cui al detto comma, o non indica l’intento commerciale della pratica stessa qualora questi non risultino già evidenti dal contesto nonché quando, nell’uno o nell’altro caso, ciò induce o è idoneo a indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso").
Se l’ingannevolezza della pratica commerciale, al fine di assumere rilevanza nel quadro degli interventi repressivi rimessi all’Autorità, è suscettibile essere identificata – pur nella variegata tipologie di condotte e fattispecie dal Codice del Commercio analiticamente individuate – alla stregua di tre fondamentali coordinate identificative, ravvisabili:
– da un lato, in una condotta (posta in essere dall’operatore commerciale) negativamente connotata sotto il profilo della diligenza;
– dall’altro, in un comportamento (assunto dal consumatore) diverso da quello che quest’ultimo avrebbe tenuto (rectius: avrebbe potuto tenere);
– e, conclusivamente, da un nesso di implicazione causale fra il primo ed il secondo degli elementi sopra posti in evidenza, di tal guisa che la "non correttezza" della pratica commerciale si sarebbe venuta a porre quale antecedente logico necessario (ancorché non necessariamente unico) a fronte delle "scelte" che il consumatore abbia posto in essere;
soprattutto il primo degli individuati profili di analisi impone di individuare l’esatta portata contenutistica dell’obbligo di diligenza, segnatamente con riferimento alla figura professionale dell’operatore finanziario.
Non è in dubbio, in proposito, che la diligenza ordinariamente richiesta venga nella fattispecie ad assumere carattere di accentuata rilevanza, alla stregua della fondamentale indicazione di cui al comma 2 dell’art. 1176 c.c.; e ciò in quanto, similmente a quanto dalla giurisprudenza ripetutamente osservato a proposito dell’esercizio dell’attività creditizia, viene in considerazione un criterio di "alta" diligenza professionale ex art. 1176, comma 2, c.c.: di talché l’obbligo di diligenza, così configurato, è suscettibile di essere valutato non alla stregua di criteri rigidi e predeterminati, ma tenendo conto delle cautele e degli accorgimenti che le circostanze del caso concreto suggeriscono e/o impongono.
In altri termini, se non esiste un astratto paradigma suscettibile di integrare un univoco termine di riferimento quanto all’individuazione di un comportamento "diligente" in capo all’operatore finanziario, la concreta commisurazione del relativo obbligo deve essere necessariamente parametrata con la condotta concretamente esigibile nella particolare fattispecie in considerazione; ovvero, in quel comportamento che, avuto riguardo:
– alla peculiarità della vicenda negoziale
– ed al complesso di conoscenze riferibili all’operatore finanziario stesso ed alla qualificazione del "contatto" con la clientela (segnatamente, ove riguardato con riferimento agli obblighi informativi non soltanto di carattere preliminare o precontrattuale, ma anche contestuali e/o successivi al perfezionamento dell’operazione)
sia – o meno – suscettibile di essere interpretato come "pratica commerciale scorretta", ovvero contrario al suddetto dovere di diligenza e, ulteriormente, suscettibile di orientare in maniera decettiva le scelte dei consumatori (inducendo, per l’effetto, questi ultimi verso opzioni altrimenti non privilegiate).
6.2 In tali termini depone l’interpretazione della normativa comunitaria di riferimento (Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 11 maggio 2005 n. 29, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno), nella parte in cui (art. 2) definisce la nozione di "diligenza professionale" prendendo in considerazione, "rispetto a pratiche di mercato oneste e/o al principio generale della buona fede nel settore di attività del professionista, il normale grado della speciale competenza e attenzione che ragionevolmente si possono presumere essere esercitate da un professionista nei confronti dei consumatori".
Nel vietare le pratiche commerciali sleali, prosegue la citata Direttiva 29/05/CE individuando queste ultime (art. 3) alla stregua di quelle:
– contrarie alle norme di diligenza professionale, e
– false o idonee a falsare in misura rilevante il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori.
Con riferimento alle suindicate coordinate interpretative (la cui portata è stata dalla Sezione già valutata in relazione ad un complesso di controversie relative alla cd. "portabilità dei mutui") la fattispecie ora all’esame propone, con incontroversa quanto dirimente valenza, la connotazione effettivamente decettiva assunta dalla condotta dalle ricorrenti tenuta relativamente alla pratica commerciale all’esame: e ciò in quanto – ribadito il rincarato onere diligenziale incombente sull’operatore finanziario – va comunque ribadito quanto dalla Sezione già sostenuto (cfr. sent. 8 settembre 2009 n. 8394) in ordine all’esigenza che l’obbligo di chiarezza debba essere congruamente assolto "sin dal primo contatto pubblicitario, attraverso il quale debbono essere messi a disposizione del consumatore gli elementi essenziali per una immediata percezione dell’offerta economica pubblicizzata": laddove, a fronte della divisata necessità di completezza e chiarezza del messaggio pubblicitario, la possibilità che il consumatore possa essere tratto in errore circa l’esatta portata dell’offerta non può essere esclusa dalla circostanza che l’utente sia in grado di conoscere le condizioni della stessa anche in un momento immediatamente successivo".
6.3 Le parti ricorrenti non hanno, con carattere di convincente concludenza, confutato quanto nel provvedimento diffusamente argomentato in ordine alla presenza di "informative inadeguate e di omissioni informative sulla natura, sulle caratteristiche, sulle condizioni e modalità di utilizzo della carta, sia nell’ambito delle iniziative pubblicitarie volte a promuoverne la sottoscrizione sia nell’ambito della documentazione contrattuale utilizzata per la richiesta della carta e messa a disposizione dei punti vendita R. dalla F.".
L’inadeguatezza ed incompletezza informativa – suscettibile di indurre nel consumatore una non corretta rappresentazione delle modalità utilizzative del prodotto offerto – rileva con chiara evidenza ove si consideri che la pubblicizzazione della carta (sia sulla rete, che nel quadro della cartellonistica esposta nei punti vendita L.R.), nel presentare la R.card come una carta di credito del circuito Visa che consente di accedere ad una serie di opportunità in esclusiva o di vantaggi, ometteva l’esplicitazione di indicazione alcuna in ordine:
– alla natura revolving della carta medesima e della linea di credito ad essa collegata;
– e sulla necessità, per il cliente, di rimborsare necessariamente in modalità revolving gli utilizzi della carta fuori dai punti vendita R..
In tal senso:
– né la "guida all’utilizzo", distribuita presso i punti vendita L.R. (ed ulteriormente accessibile dal sito internet www.R..it) forniva informazioni incomplete sull’effettiva natura della carta e del fido nonché sulle modalità di rimborso al di fuori del circuito R.; piuttosto enfatizzandosi la connotazione di R.card come una "carta di credito esclusiva", una "carta di credito completa", una "Card", senza – peraltro – esplicitare il doveroso riferimento alla natura revolving della carta e del fido sul quale la stessa era destinata ad insistere;
– né l’espressione "il fido diminuisce quando utilizzi la tua Card ma, grazie ai tuoi rimborsi mensili, si ricostituisce ed è subito pronto a nuovi utilizzi" (presente nella sezione della guida denominata "un fido sempre per te") poteva rivelare compiuta e trasparente idoneità al fine di fornire al consumatore una chiara ed esaustiva informazione circa la natura revolving della linea di credito e, in particolare, in ordine alla circostanza per cui la modalità di rimborso rateale avrebbe potuto "ricostituire" il fido per la sola quota capitale della rata.
Va ulteriormente soggiunto – riprendendo, sul punto, le argomentazioni esplicitate nella gravata determinazione, a fronte delle quali le odierne ricorrenti non hanno offerto convincenti argomentazioni a contrario – che le stesse indicazioni relative alle modalità di rimborso previste nel caso di utilizzo della carta al di fuori dal circuito R. (secondo quanto esplicitato nella versione della guida diffusa fino al mese di aprile 2008), omettessero "di specificare che presso gli esercizi commerciali che aderiscono al circuito Visa o in alcuni corner e ristoranti presenti nei punti vendita R. la modalità di rimborso prevista in automatico era quella rateale con interessi (c.d. revolving)".
Né la seconda versione della guida all’utilizzo (diffusa dal mese di maggio 2008), nella quale veniva riportata l’espressione "Ti segnaliamo che la R.card fuori dai punti vendita la R. attiva in automatico la formula di pagamento revolving (pagamento rateale per i tuoi acquisiti)", specificava che la carta avrebbe attivato automaticamente la modalità di rimborso revolving anche presso alcuni corner (XXX, Centro XXXe XXX) e presso i Ristoranti interni ai punti vendita R..
Le medesime omissioni informative sono riscontrabili, sulla base di quanto emerso a seguito della condotta istruttoria, anche nella documentazione contrattuale utilizzata per la richiesta (di rilascio) della carta e nella comunicazione di accompagnamento all’invio della R.card al domicilio del consumatore (i moduli contrattuali e la lettera di accompagnamento della carta non recando indicazioni in merito alla natura revolving della R.card e della linea di credito sulla quale la stessa insiste, nonché in merito alla necessità di rimborsare mediante rate mensili minime gli utilizzi della carta effettuati presso altri esercizi commerciali convenzionati Visa).
Né il modulo contrattuale predisposto per la compilazione cartacea (mediante le espressioni "modulo richiesta card", riportata sul frontespizio, e "domanda di apertura carta", che compariva nella parte dedicata alla raccolta dei dati del cliente), permetteva al consumatore di comprendere l’effettivo oggetto della richiesta, rappresentato dall’apertura di una linea di credito rotativa (revolving) a tempo indeterminato, utilizzabile con la R.card anche al fine di richiedere prestiti personali o effettuare prelievi bancomat.
7. Se le indicazioni come sopra fornite univocamente depongono per la presenza di un grave deficit informativo suscettibile di non consentire alla clientela la necessaria acquisizione del complesso di indicazioni concernenti la reale natura (revolving) di R.card (e, con essa, le connesse modalità di impiego e di riveniente rimborso degli acquisti con la carta stessa effettuati), sì da consentire di apprezzare positivamente la formulata ipotesi di violazione delle disposizioni di cui agli artt. 20, 21 e 22, del Codice del Consumo in ragione dell’ingannevolezza della condotta nella fattispecie posta in essere, deve diversamente escludersi che quest’ultima abbia potuto integrare – per come ulteriormente argomentato da AGCM – carattere di "aggressività".
7.1 L’aggressività di una pratica, secondo quanto stabilito dall’art. 24 del Codice del Consumo, rileva infatti laddove, "tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso", venga in considerazione l’impiego di "molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica o indebito condizionamento" suscettibili di (ovvero idonee a) "limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto" e determinanti induzione all’assunzione di "una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso".
Il successivo art. 25 precisa, poi, che "nel determinare se una pratica commerciale comporta… molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento, sono presi in considerazione i seguenti elementi:
a) i tempi, il luogo, la natura o la persistenza;
b) il ricorso alla minaccia fisica o verbale;
c) lo sfruttamento da parte del professionista di qualsivoglia evento tragico o circostanza specifica di gravità tale da alterare la capacità di valutazione del consumatore, al fine di influenzarne la decisione relativa al prodotto;
d) qualsiasi ostacolo non contrattuale, oneroso o sproporzionato, imposto dal professionista qualora un consumatore intenda esercitare diritti contrattuali, compresi il diritto di risolvere un contratto o quello di cambiare prodotto o rivolgersi ad un altro professionista;
e) qualsiasi minaccia di promuovere un’azione legale ove tale azione sia manifestamente temeraria o infondata.
7.2 L’indicata casistica non appare, invero, suscettibile di applicazione alla descritta pratica commerciale; non ravvisandosi in essa elemento alcuno iniziante la presenza di fattispecie che, ai sensi dell’art. 26 del D.Lgs. 206/2005, possano, ulteriormente, indurre un giudizio di aggressività della condotta posta in essere dall’operatore commerciale.
Tale giudizio è stato formulato dall’Autorità, giova rammentarlo, "in considerazione della natura della condotta e del luogo e dei tempi che caratterizzano la fase di conclusione del contratto", tali da determinare "un indebito condizionamento idoneo a limitare notevolmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole, inducendolo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso".
Ai fini in discorso, è stata in primo luogo valorizzata la rilevanza della "posizione di forza in cui si trova il professionista rispetto al consumatore, che, nel caso concreto, discende dalla rilevante asimmetria informativa riscontrabile nell’ambito della commercializzazione dei servizi finanziari, su cui viene fatta leva per estorcere al consumatore un consenso che altrimenti non avrebbe prestato".
Secondariamente, AGCM ha altresì considerato "i tempi ed il luogo in cui la pratica commerciale è stata posta in essere": ritenendo, sotto tale profilo, che la peculiare connotazione del contesto ambientale nel quale avveniva la stipula del contratto ("direttamente nel punto vendita"), "in considerazione dell’ampiezza e dell’affollamento dei centri commerciali e della sollecitudine con cui, in alcuni casi, si conducono gli acquisti", era suscettibile di "indurre il consumatore a non soffermarsi nella lettura delle condizioni generali di contratto o comunque a non richiedere ulteriori informazioni necessarie a chiarire la natura del contratto e le caratteristiche del servizio".
7.3 Le esposte considerazioni, che hanno indotto l’Autorità a dare atto della connotazione "aggressiva" della pratica commerciale all’esame non appaiono, invero, suscettibili di essere condotte all’interno della declinatoria di fattispecie – pur non a carattere esaustivo – contenuta nel riportato art. 25 del Codice del Consumo.
Se pure va ribadita, alla stregua di quanto precedentemente precisato, l’inescusabile negligenza informativa che ha accompagnato la commercializzazione del prodotto, va tuttavia escluso che le concrete modalità rivelate dalla pratica commerciale all’esame abbiano presentato tratti di "molestia", "coercizione", o, ancora, di "indebito condizionamento", in quanto tali suscettibili di connotare la condotta in termini di "aggressività".
Se è infatti vero che la non rispondenza della pratica commerciale riguardante la R.card agli obblighi di diligenza e di completezza informativa dei quali l’operatore commerciale è onerato nei confronti del consumatore è chiaramente rivelata dall’assenza di informata consapevolezza, in capo alla clientela, circa le concrete connotazione della medesima carta, non trovano tuttavia omogenea condivisione le considerazioni esposte da AGCM a conforto della ritenuta "aggressività" della pratica all’esame.
L’asimmetria informativa che caratterizza le posizioni dell’operatore commerciale e del consumatore non induce, ex se, un necessario giudizio di aggressività della condotta dal primo posta in essere (piuttosto rilevando nel quadro del pur doveroso assolvimento degli obblighi di diligente completezza informativa nei confronti del secondo); parimenti dovendosi escludere che la particolare tipologia del luogo di conclusione del negozio giuridico (i locali commerciali della R.) possa condivisibilmente accreditare nei termini di cui sopra la pratica commerciale all’esame, attesa la non univoca concludenza all’uopo dimostrata dalla pur peculiari connotazioni di carattere ambientale che caratterizzano i centri commerciali.
Deve, conseguentemente, ritenersi che la ritenuta applicabilità delle previsioni di cui agli artt. 24 e 25 del Codice sia scaturita da una non condivisibile forzatura interpretativa delle disposizioni stesse.
Se va escluso che, alla stregua delle risultanze istruttorie, siano configurabili elementi di coercizione – quanto alla formazione della volontà negoziale – suscettibili di condurre alla condivisione della tratteggiata ipotesi di pratica "aggressiva", deve piuttosto ribadirsi la piena condivisibilità del rilievo riguardante la mancata ostensione di elementi informativi che, ove forniti con le necessarie chiarezza completezza, avrebbero potuto consentire al consumatore l’espressione di un consenso "consapevole".
Del resto, la stessa costruzione logica dell’iter motivazionale sul punto offerto dal provvedimento censurato evidenzia, sulla base di quanto precedentemente riportato (cfr. sub 7.2) la non perspicua concludenza con la quale l’Autorità ha ritenuto di "accreditare" la fattispecie della condotta "aggressiva".
7.4 Alle considerazioni sopra svolte consegue l’accoglimento delle censure concernenti la qualificazione in termini di aggressività della pratica commerciale relativa alla R.card: rispetto alla quale va ribadita la non correttezza dell’applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 24 e 25 del Codice del Consumo e, conseguentemente, della commisurazione delle sanzioni amministrative pecuniarie accessive alla valutata violazione delle disposizioni anzidette.
In tali limiti, il provvedimento gravato deve essere annullato, con riveniente rideterminazione della conclusiva commisurazione sanzionatoria, alla stregua di quanto infra esplicitato sub 8.2.
8. Proprio con riferimento alle misure afflittive irrogate nei confronti delle ricorrenti L.R. e F.B. – delle quali le parti omogeneamente assumono l’illegittimità in ragione della denunciata eccessiva gravosità della relativa determinazione – va in primo luogo rammentato come il relativo paradigma normativo sia integrato, come è noto, dalle indicazioni ricavabili dall’art. 11 della legge 24 novembre 1989 n. 681, espressamente richiamato dall’art. 27, comma 13 del D.Lgs. 206/2005.
I criteri sono, in particolare, rappresentati:
– dalla gravità della violazione;
– dall’attività svolta dall’agente per eliminare quest’ultima;
– dalla personalità dell’agente stesso e dalle condizioni economiche al medesimo riferibili.
8.1 I parametri sopra indicati hanno trovato, nel quadro del percorso motivazionale che ha condotto l’Autorità alla commisurazione della sanzione, elementi di significativa rispondenza nell’operata valutazione:
– della dimensione economica e della posizione di mercato dei professionisti;
– della tipologia delle condotte da questi ultimi poste in essere;
– dell’impatto assunto dalle stigmatizzate pratiche sui consumatori e dell’idoneità decettiva delle stesse quanto alle scelte commerciali poste in essere da questi ultimi.
Se la condotta disamina in ordine alla complessiva condotta posta in essere dalle ricorrenti ha consentito di apprezzare i rilievi mossi da AGCM alla condotta di L.R. e di F.a Banca soprattutto sotto il profilo di un deficit informativo caratterizzante l’offerta del prodotto finanziario R.card, in un più generale quadro di carenza della diligenza richiesta all’operatore, va rammentato come l’intero complesso delle disposizioni del Codice sia preordinato ad approntare una tutela oggettiva del consumatore nei confronti delle pratiche commerciali suscettibili di assumere valenza decettiva quanto alle scelte economiche a quest’ultimo rimesse.
Se i profili posti in evidenza persuadono della correttezza dell’individuazione, ad opera di AGCM, dei pertinenti referenti normativi che fungono da ineludibili presupposti per una corretta quantificazione della sanzione (sotto i profili della gravità e della durata della condotta, nonché della personalità degli agenti), la quantificazione dell’importobase delle sanzioni risulta essere correttamente intervenuta nel quadro dell’osservanza dei parametri sopra riportati, pervenendosi alla commisurazione del relativa misura nelle somme, rispettivamente, di Euro 150.000,00 per entrambi le ricorrenti.
Per quanto riguarda F.B., in ragione della valutata presenza a della circostanza aggravante della recidiva, (per essere stata la stessa già destinataria di altri provvedimenti in materia di pratiche commerciali scorrette), AGCM perveniva al conclusivo incremento della misura afflittiva nella misura di complessivi Euro 180.000,00.
La sanzione irrogata nei confronti di la R., in presenza della circostanza attenuante rappresentata dalla perdita di esercizio, veniva ridotta ad Euro 130.000,00.
8.2 Ciò osservato, va rilevato come la commisurazione dell’importobase della sanzione (egualmente rappresentato dalla somma di Euro 150.000,00) sia suscettibile di essere ridotta, atteso che nella configurazione della "gravità" della violazione l’Autorità ha tenuto presente anche il carattere "aggressivo" della condotta posta in essere.
Siffatta connotazione, come in precedenza diffusamente esposto, non trova elementi di condivisione nel Collegio: per l’effetto imponendosi, a modifica della determinazione gravata, una riduzione della misura afflittiva nella fattispecie irrogata alle parti.
Il Codice del processo amministrativo, approvato con D.Lgs 2 luglio 2010 n. 104, stabilisce, all’art. 134, comma 1, lett. c), che "Il giudice amministrativo esercita giurisdizione con cognizione estesa al merito nelle controversie aventi ad oggetto le sanzioni pecuniarie la cui contestazione è devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo, comprese quelle applicate dalle Autorità amministrative indipendenti".
L’ampliata latitudine della cognizione come sopra (ora) rimessa all’adito organo di giustizia amministrativa consente a quest’ultimo, esclusa ogni rimessione alla competente Autorità in ordine alla rinnovata valutazione della congruità dell’apparato sanzionatorio applicato, di procedere direttamente alla rideterminazione di quest’ultimo, laddove ai fini della relativa commisurazione, siano stati tenuti presenti (come nella fattispecie all’esame) elementi di caratterizzazione della gravità della condotta direttamente refluenti sulla quantificazione della sanzione.
Quanto sopra osservato, ritiene il Collegio che la sanzione base, come sopra egualmente commisurata per entrambi le ricorrenti ad Euro 150.000,00, sia suscettibile di essere abbattuta nella misura del 25% del predetto importo (pari ad Euro 37.500,00), per l’effetto commisurandosi ad Euro 112.500,00.
Sul predetto importobase della sanzione, così rideterminato, vanno computati gli adeguamenti incrementali e decrementali (rispettivamente: per recidiva nei confronti di F.B.; per perdita dell’avviamento nei confronti di L.R.) dall’Autorità rispettivamente commisurati ad Euro 30.000,00 e ad Euro 20.000,00 (che avevano condotto alla originaria inflizione di una sanzione alla prima di Euro 180.000,00 ed alla seconda di Euro 130.000,00).
Deve conclusivamente disporsi, secondo quanto precedentemente esposto:
– che la sanzione a carico di F.B. è pari ad Euro 142.500,00 (112.500 + 30.000,00);
– mentre la sanzione a carico di L.R. è pari ad Euro 92.500,00 (112.500 – 20.000,00);
9. Come sopra dato atto della accoglibilità dei riuniti ricorsi nei soli limiti di quanto in motivazione esplicitato al punto 7.4 e della conseguente rideterminazione, ai sensi dell’art. 134 del D.Lgs. 104/2010, delle sanzione alle ricorrenti inflitte dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, rileva conclusivamente il Collegio che, in ragione della parziale soccombenza, risultano configurati giusti motivi per disporre fra le parti un’integrale compensazione delle spese ed onorari di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) così dispone in ordine ai ricorsi nn. 7857 del 2009 e 7858 del 2009, rispettivamente proposti da L.R. s.r.l. e da F.B. S.p.A.:
– riunisce le suindicate impugnative;
– accoglie le stesse, limitatamente a quanto indicato in motivazione e, per l’effetto, in tali limiti annulla la gravata determinazione n. 19928 del 4 giugno 2009, adottata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato;
– ridetermina, ai sensi dell’art. 134 del D.Lgs. 2 luglio 2010 n. 104, la sanzione amministrativa pecuniaria posta a carico delle parti nel provvedimento anzidetto, secondo quanto pure in motivazione indicato;
– compensa fra le parti del giudizio spese ed onorari di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 gennaio 2011 con l’intervento dei magistrati:
Giorgio Giovannini, Presidente
Roberto Politi, Consigliere, Estensore
Leonardo Spagnoletti, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *