Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 31-01-2013) 07-03-2013, n. 10690

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con sentenza del giorno 27.1.2012, la corte d’assise d’appello di Venezia in riforma della pronuncia della corte d’assise di Padova – che aveva derubricato il reato di omicidio contestato a U. N.F., come eccesso colposo di legittima difesa-, condannava il medesimo per il reato di omicidio volontario del fratello W., commesso in (OMISSIS) e gli infliggeva la pena di anni nove e mesi quattro di reclusione.

La corte di secondo grado non conveniva sulla valutazione operata in prime cure, sede in cui il reato fu qualificato come violazione degli artt. 55 e 539 cod. pen; infatti sull’appello del Pm e del Pg la corte d’assise d’appello giungeva alla conclusione che il Wa. era stato ucciso dal fratello, in quanto ripetutamente colpito con un vetro tagliente ed acuminato, spesso più di quattro centimetri, con colpi sferrati dall’alto verso il basso e da destra verso sinistra;

l’azione dell’imputato veniva ritenuta connotata sul piano volitivo da dolo d’impeto, conclamato dalla stretta contestualità tra litigio e reazione e tale condizione psicologica veniva ritenuta compatibile con la riconduzione della volontà allo schema del dolo eventuale. In sostanza, veniva ritenuto che l’imputato non avesse compreso il reale pericolo che dalla condotta del fratello poteva seguiva (colpevole di aver rotto lo stipite della porta in una reazione di violenza), cosicchè operò in chiave aggressiva e non già solo difensiva.

Veniva peraltro ritenuto che lo stesso avesse agito animato da sentimenti di rivalsa e di stizza, visto che si armò di mezzo letale, inferse ripetuti colpi rendendosi perfettamente conto della micidialità del suo comportamento, avuto riguardo alle zone del corpo attinte. Venivano ritenute l’attenuante della provocazione e le circostanze attenuanti generiche.

2. Avverso tale pronuncia, ha proposto ricorso per Cassazione la difesa dell’Imputato per dedurre omissione, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione. La corte d’assise d’appello era tenuta, proprio perchè andava a riformare in senso peggiorativo la prima sentenza ad un onere motivazionale rafforzato, con l’indicazione delle linee portanti dell’alternativo ragionamento probatorio, onere che non sarebbe stato assolto. In primis viene rilevato come in seconde cure siano stati ritenuti entrambi fondati gli appelli della parte pubblica, ancorchè il PG avesse chiesto, seppure in subordine, di inquadrare la condotta nel delitto preterintenzionale, atteso che dopo aver colpito, l’imputato si adoperò a chiamare i soccorsi, segno questo indicativo di una volontà diretta non ad uccidere, ma solo a ledere, andata oltre le intenzioni. La difesa aveva chiesto di maggiormente indagare sulle ragioni del litigio, aveva sollecitato una valutazione del fatto che la scena del delitto era stata modificata con l’intervento del 118, con il che doveva persistere il dubbio sulla presenza o assenza di pezzi di vetro sporchi di sangue ed aveva lamentato la mancata effettuazione di analisi scientifiche, onde accertare la riportabilità del sangue rinvenuto sull’arma del delitto, nonchè i rilievi dattiloscopia sulla stessa. Il pezzo di vetro che è stato ritenuto l’arma del delitto, non è detto che sia stato quello che procurò la morte alla vittima. Su tutti questi interrogativi sollevati la corte avrebbe omesso ogni motivazione. Ancora, la sentenza sarebbe censurabile, a giudizio della difesa, laddove è stato asserito che il mancato ricorso a moderne tecniche investigative era giustificabile in quanto non rientravano nei protocolli investigativi adottati e che in ogni caso la difesa avrebbe potuto avvalersene in sede di indagini difensive, atteso che tale modus opinandi caricherebbe sulle spalle dell’imputato l’onere di effettuare quegli accertamenti che la Polizia giudiziaria non sarebbe solita compiere. La corte veneziana sarebbe poi incorsa, secondo la difesa, in un travisamento probatorio, laddove venne sostenuto che l’imputato fu reticente quanto alle modalità di ferimento del fratello, che invece ebbe a spiegare nel corso dell’esame dibattimentale; il discorso giustificativo sarebbe poi illogico manifestamente, laddove con riferimento ai tempi ristretti della colluttazione, si afferma che la vittima possa essersi lanciata per ben cinque volte consecutive sull’arma e per l’identica ragione si dovrebbe escludere che nei medesimi tempi ristretti l’imputato abbia colpito per ben cinque volte il fratello. E’ poi stato escluso che le ferite siano state provocate da frammenti di vetro perchè non ve ne furono di sporchi di sangue, laddove vennero sequestrati numerosi pezzi di vetro sul pavimento, proprio dove il corpo del W. venne disteso per compiere le operazioni rianimatorie. Non solo, ma la difesa si duole che sia stato omesso di motivare sulle dimensioni dei pezzi di vetro che l’imputato si sarebbe trovato tra le mani dopo la frantumazione della lastra e soprattutto che non sia stata presa in considerazione la plausibile ipotesi che la vittima sia stata ferita con cocci trattenuti dalla maglia, a seguito di azione di trattenimento ad opera del padre, ovvero di strattonamento reciproco dei corpi con azioni di allontanamento ed avvicinamento alternate. La sentenza poi sarebbe contraddittoria, laddove erroneamente avrebbe recepito le conclusioni dei consulenti del Pm, che ebbero ad evidenziare le due dinamiche, quella di tipo volontario e quella di tipo preterintenzionale. La prima sarebbe avallata dalla pluralità di ferite, dell’utilizzo di arma letifera, dalla diversità di profondità delle ferite, dalle reiterate ferite in regione precordiale sinistra, da alcune ferite passive. La seconda dinamica sarebbe supportata dal fatto che l’evento seguì a colluttazione, che la lotta per la differente corporatura dei due fu impari, che venne utilizzata un’arma atipica, che vennero registrate prevalentemente ferite da punta e da taglio non penetranti, ad eccezione di una , letale, in regione precordiale, nonchè la presenza di ferite da difesa passiva. A fronte di tale prospettazione, il ricorrente fa rilevare come non vi siano dati dirimenti di pertinenza medico legale che facciano propendere per l’una piuttosto che per l’altra ipotesi. Su questo fronte la sentenza non solo sarebbe contraddittoria, ma avrebbe omesso ogni motivazione, quanto all’ipotesi alternativa di cui all’art. 584 cod. pen., sostenuta dallo stesso Procuratore Generale nel suo atto di appello, come se una volta esclusa la legittima difesa, rimanesse solo l’ipotesi dell’omicidio volontario. Sul punto il ricorrente lamenta un altro profilo di carenza, visto che anche nella parte della motivazione dedicata ad escludere la legittima difesa sarebbero stati spesi scarni argomenti, senza fare mente alla differenza di corporatura tra i due ( W. pesava sui cento chili, mentre il fratello ne pesava 67); sarebbe stato travisato il fatto, affermando che le uniche manifestazioni di violenza del W. furono il danneggiamento dello stipite della porta e qualche spinta al fratello, laddove lo stipite fu letteralmente divelto, facendo volare a terra la madre che cercava di tenere chiusa la porta per impedire l’ingresso del figlio, a riprova dell’intervenuta percezione di una situazione di reale pericolo, che l’imputato venne fatto cadere su un tavolino e che venne scaraventato di peso dal fratello nella vetrinetta, dove l’anta in vetro andò in frantumi, situazione che fece sì che egli si trovò tra le mani un frammento di vetro. Su tali aspetti la corte d’assise d’appello non ebbe a soffermarsi, ancorchè siano stati fatti oggetti di approfondimento in primo grado. Viene infine dedotta la mancanza di motivazione sulla pena accessoria inflitta della sospensione dall’esercizio della potestà genitoriale, atteso che non essendo automaticamente applicabile, doveva formare oggetto di adeguata valutazione.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato nei termini che sono di seguito specificati. Il compendio dei contributi informativi raccolti nell’immediatezza del fatto aveva consentito ai giudici di merito di dare per pacifico che i due fratelli si erano trovati a (OMISSIS), a casa dei genitori, che era scoppiata una lite tra i due , alla presenza di questi ultimi, che dopo un primo scontro verbale i due fratelli erano stati separati, nel senso che la madre si era portata con sè in salotto l’imputato, mentre il padre era stato insieme alla vittima in cucina, che ad un certo punto il W. era entrato con irruenza nel salotto, danneggiando lo stipite della porta e facendo cadere a terra la madre che cercava di ostacolarne l’accesso; che il W. aveva quindi spinto il fratello contro una credenza i cui vetri erano andati in frantumi, che questi ne aveva afferrato uno con la mano destra (rinvenuto sporco di sangue e ritenuto compatibile con le lesioni riportate dalla vittima) ed aveva colpito il fratello W.. Sulla base di queste emergenze disponibili, la corte ha correttamente sconfessato l’ipotesi ricostruttiva del primo giudice, secondo cui l’imputato avrebbe operato per legittima difesa, poichè non era provato nè che la vittima si fosse lanciata per ben cinque volte contro l’imputato, nè che fosse stata ferita per cocci trattenuti dalla sua maglia, che non vennero rinvenuti sporchi di sangue sul luogo del delitto: seppure il W. fosse uomo di corporatura massiccia, gli atti di violenza a lui riconducibili furono quello contro lo stipite della porta (che effettivamente divelse) e gli spintoni, di cui uno contro la vetrinetta del fratello, condotta che per quanto violenta, correttamente venne considerata inidonea a fare insorgere nell’imputato la sensazione di trovarsi in pericolo, tanto da sentirsi legittimato ad armarsi di un oggetto micidiale. Il dato dell’intervenuto rinvenimento sul luogo del delitto di un solo coccio sporco di sangue non lasciava ombra di dubbio sulla riconducibilità delle ferite a quel pezzo di vetro, tra l’altro indicato dallo stesso imputato come l’arma del delitto. Sul punto non sono dunque ravvisabili le carenze di ordine istruttorio lamentate dalla difesa profilandosi del tutto superflua, sia l’indagine dattiloscopica sul frammento di vetro in questione (che l’imputato ammise di aver afferrato ed usatocene l’indagine biologica.

La condotta tenuta dall’imputato, una volta esclusa la ricorrenza della legittima difesa, andava però maggiormente scandagliata, poichè non poteva essere esclusa l’Ipotesi di una condotta trasmodata oltre le intenzioni, considerato che il motivo della contesa fu occasionale, i due si trovarono entrambi presso i genitori che cercarono in un primo tempo di operare come pacieri, separandoli, che dopo aver inferto le lesioni l’imputato troncò la sua azione per adoperarsi nel soccorso del fratello, che fu lui ad avere chiamato il 113, sollecitando l’intervento di un’autoambulanza , manifestando subito la volontà di costituirsi. Detti profili avrebbero dovuto portare a non trascurare l’eventualità che l’azione aggressiva dell’imputato, rivolta verso il fratello, fosse mirata sicuramente a colpirlo duramente nella sua incolumità fisica, ma senza volontà omicidiaria, laddove l’evento tanto infausto poteva essere stato frutto di una perdita di controllo. Che con detta ipotesi ci si dovesse confrontare lo avevano suggerito gli stessi consulenti medico legali che avevano prospettato una lettura alternativa dei dati obiettivi rilevati sul corpo della vittima ed avevano prospettato due dinamiche possibili, l’una di tipo volontario e l’altra di tipo preterintenzionale, concludendo per l’insussistenza di dati medico legali inequivoci, dirimenti e discriminanti tra le due ipotesi. In sostanza se la natura volontaria era suggerita dalle reiterate ferite a livello precardiale, di cui una penetrante, dall’altro la tipologia del mezzo, le plurime lesioni non penetranti, le lesioni di difesa passiva davano ragione di una dinamica di tipo preterintenzionale, ipotesi che era stata affacciata come subordinata dallo stesso Procuratore Generale appellante. La netta e decisa scelta di campo operata dai giudici a quibus non è stata adeguatamente motivata, non essendo stata neppure presa in considerazione l’ipotesi alternativa, più favorevole all’imputato.

E’ noto che l’omicidio preterintenzionale, secondo la nozione fornitane dall’art. 584 c.p., si configura allorquando l’azione aggressiva dell’autore del reato sia diretta soltanto a percuotere la vittima o a causarle lesioni, così che la morte costituisca un evento non voluto, ancorchè legato da nesso causale alla condotta dell’agente. Sul terreno dell’accertamento concreto, quando la lesione produttiva dell’evento letale sia stata recata per mezzo di un’arma, l’accertamento del fine perseguito dall’agente deve essere attuato tenendo conto del tipo dell’arma, della reiterazione e direzione dei colpi, della distanza di sparo, della parte vitale del corpo presa di mira e di quella concretamente attinta(Sez. 5, 26.5.2011, n. 36135). Il criterio distintivo tra l’omicidio volontario e l’omicidio preterintenzionale risiede nell’elemento psicologico, nel senso che nell’ipotesi della preterintenzione la volontà dell’agente è diretta a percuotere o a ferire la vittima, con esclusione assoluta di ogni previsione dell’evento morte, mentre nell’omicidio volontario la volontà dell’agente è costituita dall’"animus necandi", ossia dal dolo intenzionale, nelle gradazioni del dolo diretto o eventuale, il cui accertamento è rimesso alla valutazione rigorosa di elementi oggettivi desunti dalle concrete modalità della condotta, quali il tipo e la micidialità dell’arma, la reiterazione e la direzione dei colpi, la parte vitale del corpo presa di mira e quella concretamente attinta (Sez. 1 4.7.20007, n. 35369). Al descritto criterio la Corte d’Appello non si è attenuta, cosicchè la valutazione espressa si espone alle censure avanzate. La sentenza deve quindi essere annullata, con rinvio per nuovo giudizio avanti la corte d’assise d’appello di Venezia, cui va rimessa la decisione anche sulle spese di patrocinio della parte civile anche nella sede di legittimità.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della corte d’assise d’Appello di Venezia, cui rimette la decisione sulle spese di patrocinio della parte civile in questa sede.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 7 marzo 2013

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