Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 31-01-2013) 05-03-2013, n. 10250

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con sentenza in data 3 aprile 2012, la Corte di Assise di appello di Catanzaro, 2A sezione penale, in parziale riforma della sentenza della Corte di Assise di Cosenza appellata da C.B. e D. N.O.F., assolveva quest’ultimo dai reati a lui ascritti (capi 1 e 2) per non aver commesso il fatto; escluse le circostanze aggravanti contestate rideterminava la pena inflitta a C.B. in anni ventitre di reclusione e lo condannava alla rifusione delle spese del grado in favore della parte civile.

Revocava l’ordine di pubblicazione della sentenza di condanna.

Confermava nel resto la sentenza impugnata, con la quale C. era stato dichiarato colpevole di concorso nel delitto di omicidio volontario di G.G. (capo 1) e di porto e detenzione illegali di arma da fuoco impiegata per commettere l’omicidio (capo 2), nonchè di incendio doloso (capo 3), danneggiamento (capo 3 ter) dei locali dell’esercizio pubblico (OMISSIS), e porto e detenzione illegali di arma da fuoco (capo 3 bis). La Corte territoriale confermava il giudizio di responsabilità di C. in ordine al concorso nei delitti di cui ai capi 1) e 2) sulla scorta delle dichiarazioni di D.N. (che aveva riferito di avere, su incarico di Ch.Ca., accompagnato a (OMISSIS) in macchina C., al quale aveva visto consegnare una pistola, per poi proseguire, ignaro dell’effettivo scopo dell’"imbasciata", assieme ad altra persona fino a (OMISSIS) con il compito di creare un diversivo ove si fosse imbattuto nei Carabinieri, nel mentre C. raggiungeva il medesimo centro con altra autovettura e di avere appreso in giorno successivo dal capo cosca Ch. che autore dell’azione omicidiaria era stato C., il quale ammetteva di esserne l’autore), dichiarazioni riscontrate da circostanze obiettive di svolgimento dei fatti; dai riferimenti di D. (appartenete al gruppo Ch.) e S. (appartenente al gruppo Le Piane); dall’intercettazione fra i fratelli B.M. e B.F. (in occasione della quale indicavano il loro "amico" come autore dell’omicidio);

dall’interessamento di Ch. alle sorti processuali; dalle descrizioni rese dalla moglie della vittima in ordine alle caratteristiche fisiche dello sparatore; dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia B.F. in ordine alla causale, riconducibile alla spartizione del traffico di sostanze stupefacenti, e di Cr.Ca. (che riferiva di aver saputo, in particolare da C.L., che autore del delitto era stato il fratello); dalla conversazione, oggetto di intercettazione audiovideo ambientale in carcere, tra l’imputato e sua madre, la cui corretta interpretazione (in conseguenza della visione diretta del filmato in camera di consiglio) convinceva del significato sostanzialmente confessorio di essa. Intercettazione utilizzabile, perchè regolarmente autorizzata dal GIP in aderenza alla richiesta del pubblico ministero. Quanto all’altro episodio, relativo all’attentato all’esercizio pubblico di Ce. (capi 3, 3 bis e 3 ter) gli elementi a carico, molteplici e convergenti, erano costituiti dalle dichiarazioni di D.N., dal risultato dello stub; dal rinvenimento nell’androne dello stabile abitato da C. di una cartuccia cal. 7,65 avente caratteristiche analoghe di cartuccia rinvenuta nel bar; dal ritrovamento nel magazzino di due caschi integrali analoghi a quelli impiegati dagli autori dell’attentato;

dalle dichiarazioni di Cr.Ca. in ordine a quanto appreso dal C.L. che aveva attribuito il fatto al fratello; dal risultato sostanzialmente confessorio della già ricordata conversazione tra l’imputato e la madre, oggetto di intercettazione ambientale in carcere. In ordine al trattamento sanzionatorio, rammentato che l’aggravante di agevolazione mafiosa di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 per i delitti sub 1) e 2) era stata già esclusa dal primo giudice, escludeva la ricorrenza delle aggravanti della connessione teleologia (contestata solo per il generico fine di mantenere il controllo del traffico delle sostanze stupefacenti), della premeditazione, dei motivi abietti e futili. Escludeva altresì l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento delle attenuanti generiche.

Per D.N., osservava che gli elementi a suo carico erano costituiti esclusivamente dalle sue dichiarazioni, dalle quali risultava tuttavia l’insussistenza della consapevolezza dello scopo dell’incarico affidato a C.. Contro tale decisione hanno proposto tempestivi ricorsi:

1) il Procuratore Generale della Repubblica che ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi:

– mancanza, contraddittorietà della motivazione nonchè inosservanza dell’art. 110 c.p., e art. 43 c.p., comma 1 e art. 192 c.p.p., in relazione ai delitti di cui ai capi 1) e 1 bis) ascritti a D. N. perchè (premessa articolata ricostruzione della situazione della malavita cosentina in riferimento al traffico delle sostanze stupefacenti e dato atto che venti giorni prima dell’omicidio A.F. era stato arrestato perchè trovato in possesso di un consistente carico di droga) dall’istruttoria dibattimentale era risultato che l’imputato, partecipe del gruppo facente capo a Ch., aveva avvertito più volte G.G. di finirla di rifornirsi di sostanza stupefacente da canali autonomi, da ultimo in conseguenza dell’arresto di A.; che l’imputato aveva ammesso di aver partecipato alla riunione in casa Ch.

tenutasi il giorno prima dell’omicidio e in occasione della quale si era parlato di droga e di essere a conoscenza che vi doveva essere una punizione per G. per violazione delle regole imposte;

che suo compito, dopo aver visto che a C. era stata data una pistola, era quello di distogliere l’attenzione delle forze dell’ordine, compito puntualmente adempiuto perchè fu fermato dai Carabinieri e condotto in caserma per controlli alle ore 18,40, dove si trovava ancore alle 19,40 circa quando giunse la notizia dell’omicidio di G.. Sul ruolo del D.N. erano state acquisite anche le dichiarazioni del collaboratore Gi.

M., sicchè l’assunto secondo il quale l’imputato non era a conoscenza della decisione di uccidere era in contrasto con le prove logiche, tecniche e dichiarative acquisite;

– mancanza, contraddittorietà della motivazione e inosservanza dell’art. 61 c.p., n. 1 in relazione alla ritenuta insussistenza dei motivi abietti, tutte le prove concordando nel senso che il movente dell’omicidio era costituito dalla necessità di eliminare un concorrente nella gestione del traffico di sostanze stupefacenti, finalità condivisa anche da C.B.;

– mancanza, contraddittorietà della motivazione e inosservanza dell’art. 577 c.p., comma 1, n. 3 in ordine all’aggravante della premeditazione, perchè anche C.B. aveva partecipato alla riunione in cui si era deliberato l’omicidio e comunque la premeditazione del mandante C.C. in quanto nota all’esecutore designato ( C.B.) si estendeva a quest’ultimo;

– mancanza, contraddittorietà della motivazione e inosservanza dell’art. 61 c.p., n. 2, art. 635 c.p., comma 2, n. 1 e L. n. 203 del 1991, art. 7 per avere la sentenza impugnata omesso di indicare il motivo per il quale non sussiste l’aggravante della connessione teleologia tra il delitto di porto e detenzione illegale di arma di cui al capo 1 bis) e il delitto di omicidio di cui al capo 1) nonchè tra il delitto di cui al capo 3 bis) e quello di cui al capo 3).

Analoga omissione è rilevabile in ordine alla ritenuta insussistenza dell’aggravante di cui alla citata Legge, art. 7 contestata a C. in relazione ai capi 3 ter) e 3 bis) della rubrica sotto il profilo del metodo mafioso nonchè della medesima aggravante sotto il profilo della finalità agevolatrice dell’associazione criminale della consorteria mafiosa facente capo a Ruà-Perna-Chirillo in riferimento al reato contestato al capo 1 bis), associazione la cui esistenza è attestata da altra sentenza definitiva e per la quale C.B. agiva, tanto da percepire uno stipendio e l’assistenza legale, per come risultante da colloqui oggetto di intercettazione ambientale tra C.C. e C.F. e dalle dichiarazioni di D.;

2) l’imputato C.B., a mezzo dei difensori avv. Nicola Rendace e avv. Filippo Cinnante, che, con separati ricorsi, ne hanno chiesto l’annullamento per i seguenti motivi:

– violazione dell’art. 192 c.p.p. e contraddittorietà-manifesta illogicità della motivazione in ordine alla valutazione in termini di chiamata in correità nonchè di attendibilità e costanza delle dichiarazioni di D.N.O.; alla valutazione in termini di confessione stragiudiziale della conversazione intercettata presso la Casa Circondariale di Lecce, in ragione del valore attribuito in sede di appello ad un termine ("chi") pronunciato dal ricorrente, tanto più che la percezione di alcune parole è stata diversamente ricostruita dal perito rispetto alla ricostruzione effettuata dal CT del pubblico ministero, senza tenere conto del significato complessivo della conversazione stessa e di altra del 7.9.2009 in cui C. ha sempre ribadito la sua innocenza; in ordine ai valore di riscontri attribuito alle dichiarazioni di Cr.Ca., alle conversazioni oggetto di intercettazione fra B.F. e B. M. nonchè fra C.C. e i suoi familiari, alle dichiarazioni della moglie della vittima e del Brig. P..

– quanto alle imputazioni relative all’incendio del bar (OMISSIS), perchè nessun elemento utile è desumibile dalle dichiarazioni della persona offesa; le dichiarazioni di D.N.O. sono de relato e non sono riscontrate, il risultato della perizia del prof. Ba.Al. (stub) essendo stato travisato;

– mancanza assoluta di motivazione e violazione dell’art. 62 bis c.p. in ordine al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.

Motivi della decisione

1. Ricorso del Procuratore Generale.

1.1. Il primo motivo di ricorso è infondato.

La sentenza impugnata ha rammentato che, anche all’esito delle numerose contestazioni da parte del PM in riferimento alle dichiarazioni rese nel corso delle indagini, D.N. ha confermato di ignorare quale fosse lo scopo dell’"imbasciata" di cui era stato incaricato C.B., pur avendo consapevolezza delle questioni che contrapponevano Ch. e gli altri associati a G.; di sapere solo che C. era armato e che l’azione che doveva compiere necessitava di un diversivo per distogliere l’attenzione della pattuglia dei Carabinieri in servizio nel centro della città. Le dichiarazioni de relato di Gi.Ma. e Cr.Ca. nulla aggiungono alle ammissioni dell’imputato, perchè confermano quello che D.N. ha costantemente narrato e cioè che era stato incaricato, nel periodo antecedente al delitto, di diffidare G. dal perseverare nell’autonoma attività di approvvigionamento e spaccio di sostanze stupefacenti e, per il giorno dell’omicidio, di mettere in atto un diversivo in coincidenza temporale con l’azione del C.. La Corte distrettuale non ha trascurato di considerare quanto acquisito al processo per effetto delle contestazioni nel corso del suo esame dibattimentale ed ha rimarcato che neanche attraverso esse è stato possibile desumere l’ammissione della propria consapevole partecipazione al delitto".

Del resto anche la sentenza di primo grado aveva dovuto dare atto che "I verbale di interrogatorio, acquisiti dalla Corte attraverso il meccanismo delle contestazioni mosse nel corso del suo esame, lasciavano diversi spiragli per modificare la prima versione. Si prestavano, su alcuni passaggi, ad interpretazioni…..alternative".

Il Collegio condivide il canone ermeneutico secondo il quale la confessione può essere posta a base del giudizio di colpevolezza dell’imputato nelle ipotesi nelle quali il giudice ne abbia favorevolmente apprezzato la veridicità, la genuinità e l’attendibilità, fornendo ragione dei motivi per i quali debba respingersi ogni sospetto di intendimento autocalunniatorio o di intervenuta costrizione sul soggetto. Quando tale indagine, ovviamente estesa al controllo su tutte le emergenze processuali, nel caso di intervenuta ritrattazione, non conduca a smentire le originarie ammissioni di colpevolezza, dovrà allora innegabilmente riconoscersi alla confessione il valore probatorio idoneo alla formazione del convincimento della responsabilità dell’imputato, anche se costui, dopo aver reso confessione del delitto di omicidio alla polizia giudiziaria, al pubblico ministero ed al giudice per le indagini preliminari, abbia ritrattato in dibattimento le precedenti dichiarazioni (ex plurimis Cass. Sez. 1, 4.3-8.4.2008 n. 16623).

Va ribadito altresì che in tema di valutazione della prova, la confessione, pur soggetta, come tutte le prove orali, alla verifica di attendibilità, non subisce le limitazioni di cui ai commi terzo e quarto dell’art. 192 c.p.p., e non ha quindi bisogno di riscontri esterni. Ne consegue che, pur in presenza di un’unica fonte dichiarativa, possono subire epiloghi valutativi differenziati le narrazioni "contra se" rispetto a quelle "contra alios", così da rendere i risultati negativi eventualmente conseguiti per queste ultime non automaticamente trasferibili quanto alla valutazione delle prime (Cass. Sez. 2, 3.5-10.6.2005 n. 21998). Ma nel caso in esame sia la sentenza di primo grado che quella di appello concordano nell’escludere che anche nella fase delle indagini D.N. abbia reso confessione della sua responsabilità. Ed in effetti anche nel ricorso del P.G., che riporta i passaggi fondamentali del verbale dell’esame dibattimentale con le contestazioni, deve darsi atto che in occasione degli interrogatori resi nella fase delle indagini egli aveva negato ripetutamente la consapevolezza dello scopo dell’incarico affidato a C. e si era limitato in un unico passaggio a riconoscere di avere "intuito" quale fosse stata la deliberazione assunta dai vertici dell’associazione, senza suo coinvolgimento perchè assunta "in disparte". Sia la sentenza di primo grado che il ricorso del Procuratore Generale desumono in via logica l’esistenza di tale consapevolezza, senza mai attribuire valore confessorio alle dichiarazioni rese nel corso delle indagini e senza quindi addebitargli alcuna ritrattazione in sede di esame dibattimentale, che si era risolto solo in precisazione delle sue ammissioni, in funzione degli spazi interpretativi diversi cui si prestavano le iniziali dichiarazioni.

Non è in conseguenza censurabile in questa sede la diversa lettura degli elementi di natura indiziaria formulata dalla Corte catanzarese, nel senso di non ritenere raggiunta la prova della consapevolezza dello scopo dell’"imbasciata" assegnata al solo C..

Il ricorso sollecita pertanto una valutazione alternativa del medesimo materiale probatorio già esaminato dalla Corte territoriale con motivazione che, in quanto non manifestamente illogica, non può essere oggetto di esame in questa sede.

1.2. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.

Ribadito che sussiste la circostanza aggravante dei futili motivi (art. 61 c.p., n. 1) allorchè la spinta al delitto di omicidio ha origine da un reato (nella specie cessione di sostanza stupefacente) e si configura come espressione di un sentimento spregevole e ignobile, consistente nella determinazione ad uccidere per affermare l’ineludibilità del soddisfacimento del prezzo di un turpe contratto. (Cass. Sez. 1, 9.12.2001-23.2.2002 n. 12473); e che in tema di circostanze aggravanti comuni, per motivo abietto s’intende quello che è espressione di un sentimento spregevole (nella specie si è ritenuta sussistente l’aggravante con riferimento alla determinazione ad uccidere pur di conseguire il prezzo di una partita di stupefacente: Cass. Sez. 1, 22.6.2011 n. 30291), si osserva che la sentenza impugnata (dopo avere individuato nelle dichiarazioni di D. N. la fonte principale di accusa in ordine alla responsabilità di C.B., attendibili perchè riscontrate sia da D. che da S. nonchè dalle intercettazioni ambientali di conversazioni di Ch. dimostrative dell’interessamento di quest’ultimo per assicurare congrua difesa processuale in favore di C.) non è contraddittoria nella parte in cui esclude che questi fosse consapevole del movente dell’omicidio della cui esecuzione era stato incaricato, perchè nè i predetti dichiaranti nè il Ch. vengono indicati dalla Corte distrettuale come portatori di informazioni utili a definire C. come consapevole della causale del delitto. Le circostanze che questi fosse intraneo all’associazione criminale e che percepisse uno stipendio, cedono a fronte del fatto che lo stesso D.N. ha escluso la partecipazione sia sua sia di C. alla deliberazione assunta la sera precedente e quindi alla causale della deliberazione stessa.

Nè D.N. nè altri collaboratori hanno indicato C. come persona consapevole del mancato rispetto da parte di G. delle regole di spartizione del mercato della droga: tanto non risulta dal pur articolato e documentato ricorso del P.G., sicchè non è censurabile la giustificazione addotta dalla Corte distrettuale che ha escluso il profilo soggettivo "non risultando che C. condividesse e che nemmeno fosse informato del motivo preciso per cui era stata decretata l’uccisione di G.G., in ottemperanza alle strategie criminali condivise da "alte sfere" del gruppo….".

1.3.Il terzo motivo di ricorso è anch’esso infondato.

Premesso che in materia di valutazione delle circostanze aggravanti o attenuanti (art. 118 c.p.), la premeditazione (che attiene all’intensità del dolo sotto il profilo del perdurare nel tempo, all’interno del soggetto, di una risoluzione criminosa irrevocabile) può essere estesa al coimputato – che non abbia partecipato all’originaria deliberazione volitiva – solo qualora costui ne abbia acquisito piena consapevolezza precedentemente al suo contributo all’evento ed a tale distanza di tempo da consentire che la maturazione del proposito criminoso prevalga sui motivi inibitori (Cass. Sez. 5, 26.6.1997 n. 8346) e che nel caso di concorso di persone nel reato di omicidio, l’aggravante della premeditazione si estende al correo che ne abbia effettiva conoscenza e che aderisca così al progetto criminoso (Cass. Sez. 2, 16.3.2005 n. 21996; Cass. Sez. 1, 10.10.2007 n. 40237; Cass. Sez. 5, 6.2.2010 n. 4977), nel caso in esame all’esito dell’istruttoria dibattimentale, per come risulta dalla sentenza impugnata ed anche dal ricorso, le dichiarazioni rese da D.N. (per come spiegato al par. 1.1.) sono nel senso di escludere che C. fosse consapevole della deliberazione omicidiaria in un momento antecedente a quello della consegna dell’arma.

Va ribadito che elementi costitutivi della circostanza aggravante della premeditazione sono un apprezzabile intervallo temporale tra l’insorgenza del proposito criminoso e l’attuazione di esso, tale da consentire una ponderata riflessione circa l’opportunità del recesso (elemento di natura cronologica) e la ferma risoluzione criminosa perdurante senza soluzioni di continuità nell’animo dell’agente fino alla commissione del crimine (elemento di natura ideologica: Cass. S.U. 18.12.2008-9.1.2009 n. 337).

1.4.Il quarto motivo di ricorso è fondato:

– per la parte che attiene all’esclusione dell’aggravante della connessione teleologia anche in riferimento ai delitti (capi 1 bis e 3 bis) di porto e detenzione illegali dell’arma impiegata per commettere l’omicidio di cui al capo 1) e l’incendio di cui al capo 3), perchè in motivazione la sentenza impugnata spiega soltanto le ragioni per le quali esclude detta aggravante per come contestata per il capo 1) (finalità di mantenere il controllo del traffico di stupefacente), senza nulla aggiungere in ordine alle ragioni per le quali si è ritenuto di escluderla anche per il delitto di cui alla L. n. 497 del 1974, artt. 10, 12 e 14;

– per la parte che attiene all’esclusione dell’aggravante del metodo mafioso ex L. n. 203 del 1991, art. 7 (per l’esclusione di quella della finalità di agevolare l’associazione mafiosa non vi è ricorso del PG) contestata in relazione ai capi 3 bis) e 3 ter), perchè per la prima non è estensibile l’argomento utilizzato in relazione alla seconda (che peraltro la Corte di Assise di appello erroneamente afferma essere stata esclusa dalla sentenza di primo grado).

L’aggravante del metodo mafioso è infatti distinta ed autonoma rispetto a quella della finalità agevolativa, in quanto prescinde dalla consapevolezza dell’esistenza di un’ associazione per delinquere di stampo mafioso e del dolo specifico di agevolarne il funzionamento e gli scopi, essendo al contrario sufficiente il consapevole uso di schemi compertamentali riconducibili alla metodologia mafiosa (cfr. per tutte Cass Sez. 1, 15.2,2012 n. 5881);

– per la parte che attiene all’esclusione dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 in relazione al capo 1 bis) della rubrica perchè la sentenza impugnata, dopo avere erroneamente affermato che la prima Corte aveva "espressamente statuito l’esclusione dell’aggravante" in esame, si limita in via residuale ("Del resto…"), a sostenere l’assenza di certezza della piena consapevolezza di C., al momento in cui gli veniva commissionato l’incarico omicidiario, della finalità agevolativa del gruppo criminale mafioso. Ed invero la sentenza di primo grado l’ha espressamente ritenuta sussistente in relazione al capo 2) (recte 1 bis). Non l’ha ritenuta applicabile per il delitto di cui al capo 1) sol perchè espressamente la citata Legge, art. 7 non lo consente per i delitti per i quali è inflitta la pena dell’ergastolo. Va ribadito che la circostanza aggravante prevista dalla D.L. 13 maggio 1991, n. 152., art. 7, convertito in L. 12 luglio 1991, n. 203 (aver agito avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p. o al fine di agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso) è applicabile anche ai delitti astrattamente punibili con la pena edittale dell’ergastolo e pertanto può essere validamente contestata anche con riferimento ad essi, ma opera in concreto solo se, di fatto, viene inflitta una pena detentiva diversa dall’ergastolo, mentre, se non esclusa all’esito del giudizio di cognizione, esplica comunque la sua efficacia a fini diversi da quelli di determinazione della pena. (cfr. Cass. SU n. 337 del 2009, sopra citata). Ma per questo profilo, in difetto di ricorso del P.G., la conferma del principio ermeneutico è priva di effetti in relazione al delitto di omicidio sub 1). Quanto alla motivazione residuale sopra ricordata ("Del resto…") se ne deve rilevare la natura meramente assertiva sicchè sul punto la motivazione è mancante e va, se del caso, integrata. Per i punti suddetti (esclusi quelli relativi al delitto di danneggiamento-capo 3 ter, in quanto estinto per prescrizione, v.

oltre par. 5) si impone pertanto l’annullamento con rinvio ad altra sezione della Corte di Assise di appello di Catanzaro che, nella piena libertà di valutazione propria del giudice di merito, procederà a nuovo giudizio attenendosi ai principi di diritto enunciati (al paragrafo che precede) e a colmare le rilevate carenze motivazionali.

2. Ricorso dell’avv. Filippo Cinnante, nell’interesse di C. B..

2.1. Il primo motivo di ricorso:

2.1.1. è infondato per la parte in cui attribuisce ai giudici del gravame di essere incorso in un "macroscopico errore" per avere valutato le dichiarazioni di D.N. in termini di "chiamata in correità", perchè la sentenza impugnata (pag. 17) espressamente e coerentemente la definisce come "chiamata in reità";

– è inammissibile allorchè denuncia omessa motivazione per non avere la sentenza impugnata spiegato le ragioni per le quali il dichiarante, tenuto all’oscuro del progetto omicidiario, sarebbe stato reso partecipe dello svolgimento dei fatti dopo il verificarsi del delitto, perchè a sostegno della validità della critica invoca una regola di esperienza di tipo empirico secondo la quale un simile comportamento violerebbe le abitudini degli ambienti criminali, in tal modo sollecitando una valutazione che attiene al merito e che quindi non è consentita in questa sede; 2.1.2. è infondato per la parte in cui afferma, oltretutto genericamente, che le dichiarazioni de relato rese da D.N. sull’autore dell’omicidio sarebbero prive di riscontri, perchè la sentenza impugnata li ha indicati e sono costituiti non solo dal contenuto dell’intercettazione del colloquio tra i fratelli B.M. e B.F., ma anche dagli espliciti riferimenti (ancorchè anch’essi de relato) di Cr.Ca., da argomenti di natura logica (desunti dalle dichiarazioni di D. e S. nonchè dalle intercettazioni ambientali dimostrative dell’interessamento di Ch., favorevole per le sorti processuali di (OMISSIS) – cioè C.B. – e contrario per quelle di D.N.) ed infine dalla confessione stragiudiziale resa nel corso della conversazione in carcere tra C.B. e la madre, conversazione oggetto di intercettazione ambientale (audio e video ripresa), sulla quale si tornerà più avanti. Rimanendo in tema di riscontri, la critica difensiva (in merito all’indicato utilizzo da parte degli autori dell’omicidio di un’ autovettura Audi 30 di colore bianco) si appunta sulla parte della motivazione che, al fine di giustificare il convincimento della marginalità e irrilevanza di tale elemento, ha spiegato che la diversa indicazione della teste L.P.I. (moglie della vittima, la quale aveva descritto il veicolo come FIAT Uno di color bianco) in dibattimento non era stata confermata sicchè non poteva escludersi l’errore da parte della teste. Il ricorso afferma che tale circostanza "non è assolutamente rispondente al vero, poichè, su contestazione della difesa in aiuto alla memoria, la L.P. ebbe a confermare quanto già dichiarato nell’immediatezza dei fatti…." e denuncia quindi contraddittorietà tra il risultato probatorio e la motivazione della sentenza, ma in maniera generica, perchè non rispondente ai requisiti di specificità imposti dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), non essendo stato riportato l’intero passaggio del verbale nel quale tali dichiarazioni sarebbero riportate e non essendo indicate neppure l’udienza in cui avvenne la verbalizzazione e la sua affiliazione. Ed invero è onere del ricorrente, che lamenti l’omessa o travisata valutazione dei risultati delle intercettazioni effettuate, indicare l’atto asseritamente affetto dal vizio denunciato, curando che esso sia effettivamente acquisito al fascicolo trasmesso al giudice di legittimità o anche provvedendo a produrlo in copia nel giudizio di cassazione (Cass. Sez. 2, 20.3.2012 n. 25315). Ed infatti rispetta il principio di autosufficienza il ricorso in cassazione che, denunciando il vizio di travisamento di una prova testimoniale, dopo aver indicato la citazione saliente della prova operata dai giudici di merito, riporti, inserendola nel corpo del ricorso, la riproduzione xerografica dello stralcio della trascrizione della testimonianza medesima, in modo da consentire l’effettivo apprezzamento del vizio dedotto (Cass. Sez. 1, 4.5.2012 n. 25834;

conf. Cass. Sez. 5, 22.1.2010 n. 11910);

2.1.3. è infondato in conseguenza in relazione alla successiva argomentazione difensiva, per la quale l’indicazione di Audi 80 anche da parte di Cr. sarebbe da ricondurre ad una sorta di "circolarità della prova" derivante dalla lettura dei quotidiani locali, anche perchè generica (mancando l’indicazione della prova, cioè l’acquisizione agli atti del processo di tali notizie di stampa) e comunque in fatto;

2.1.4. è inammissibile per la parte in cui il ricorso, facendo riferimento a quanto riferito dal Brig. P.A., sollecita una valutazione alternativa rispetto a quella formulata dalla sentenza impugnata in relazione al dichiarato fine di D. N. di creare un diversivo per distrarre le forze dell’ordine. La Corte distrettuale ha dato conto del fatto che Pe. ha riferito della normalità del controllo operato, ma questo in linea con lo scopo dichiarato da D.N. della sua presenza nel centro di (OMISSIS), nel tardo pomeriggio, perchè egli sapeva che, come sempre accadeva, sarebbe stato controllato e quindi portato in caserma per l’identificazione. L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostenere il suo convincimento o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula infatti dai poteri della Corte di cassazione quello della "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice del merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Cass. S.U. 30.4/2.7.97 n. 6402, ric. Dessimone e altri; Cass. S.U. 24.9-10.12.2003 n. 47289, ric. Petrella);

2.1.5. è infondato in relazione alla critica mossa alla valorizzazione come riscontro della conversazione tra i fratelli B.F. e B.M., perchè la sentenza ha spiegato che i dialoganti si riferivano al delitto di omicidio per cui è processo e il termine "amico" per indicarne l’autore era inequivocabilmente da ricondurre a C.B. in ragione della riscontrata frequentazione. Si tratta di valutazione inserita in un contesto motivazionale che analizza una pluralità di riscontri, tutti convergenti nel loro apporto utile a convalidare le dichiarazioni del chiamante in reità;

2.1.6. è inammissibile per la parte in cui, al fine di criticare la parte della motivazione che valorizza come riscontro le intercettazioni effettuate durante la detenzione di C., fra questi e sua madre, denuncia "distonia fra quanto ritenuto dai giudici e quanto invece risulta dai verbali di trascrizione delle prefate intercettazioni" in quanto "dalla semplice lettura dell’elaborato degli ingegneri Gu. e Co., contrariamente a quanto asserito, si deduce che non è assolutamente il C. a far riferimento nominativo a fatti delittuosi, bensì, al più la mamma….". Ed invero la sentenza ha spiegato, dopo aver riportato la trascrizione effettuata dai consulenti Gu. e Co., di ritenere condivisibile quella effettuata da M. con l’attribuzione al fonema "chi" pronunciato da C. (escluso il punto interrogativo) il significato di "chissu" cioè "questo" (da riferire al delitto per il quale era in carcere), valutazione motivatamente espressa all’esito della visione e dell’ascolto diretto del DVD (pag. 21 della sentenza "(ma la Corte ne ha ricevuto conferma, attingendo in camera di consiglio – per maggiore scrupolo – direttamente al DVD)"): il riferimento ai fatti delittuosi, ha spiegato la Corte distrettuale, ha origine dalle parole di C. ("E…io quattro vote mi signo muvuto. Mi signo muvuto quattro vote….quattro disgrazie) dopo le quali interloquisce la madre con un’unica parola (" Ci.") alla quale la sentenza attribuisce il riferimento all’attentato incendiario di cui ai capi 3), 3 bis) e 3 ter), con successivo immediato intervento di C. ("chi") interpretato come "chissu", cioè questo, che la sentenza (anche per il gesto che accompagna la parola, visionato in camera di consiglio dalla Corte di Assise di appello: "dito indice puntato verso il bancone") attribuisce all’omicidio per cui è processo;

quindi nuova interlocuzione della madre ("chir’ atru V… e puveriddu ancora… n’ atri due e basta"), cioè l’omicidio tentato di V.; chiusura finale di C. ("che ne sacciu A me mi mannavano… e iu ci ive. ‘E capito?"). Le argomentate valutazioni della sentenza impugnata, in quanto non manifestamente illogiche non si prestano alle critiche difensive e, in ragione dei limiti imposti dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), non sono censurabili in questa sede. La valorizzazione attribuita a tale brano lascia intendere che, per implicito, si sono ritenute ininfluenti le altre conversazioni (anch’esse oggetto di intercettazione) in occasione delle quali C., dialogando con la madre, ha insistentemente proclamato la sua innocenza. Va ribadito che la sentenza di merito non è tenuta a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento, dimostrando che ogni fatto decisivo è stato tenuto presente, sì da potersi considerare implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis Cass. Sez. 4, 13.5.2011 n. 26660);

2.1.7. è inammissibile per la parte in cui, al fine di criticare la sentenza impugnata là dove ha giustificato il convincimento della conferma di responsabilità in ordine all’incendio del bar (OMISSIS), denuncia travisamento della prova in riferimento al risultato della consulenza balistica effettuata dal prof. Ba.Al.

sull’assunto che non sarebbe stato affermato (contrariamente a quanto affermato in sentenza) il rinvenimento sul C. di particelle ternarie inequivocabilmente derivanti da pregresso uso di armi da fuoco, perchè anche in questo caso la deduzione è generica in difetto di specifica indicazione dell’atto processuale che si assume esser stato travisato (cfr. Cass. Sez. 1, 4.5.2012 n. 25834; conf.

Cass. Sez. 5, 22.1.2010 n. 11910);

2.2. Il secondo motivo di ricorso, che denuncia mancanza assoluta di motivazione e violazione dell’art. 62 bis c.p., è infondato. La Corte territoriale ha escluso la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento delle attenuanti generiche per due ordini di motivi:

il primo "assenza di elementi per riconoscerne l’esistenza" con evidente riferimento al dato normativo che consente al giudice di "prendere in considerazione altre circostanze diverse" rispetto a quelle specificamente indicate dall’art. 62 c.p., idonee a giustificare una diminuzione della pena; nè il ricorrente spiega quali fossero le motivate ragioni poste a fondamento dell’appello per tale profilo; il secondo, "il numero e la gravità degli episodi in cui il C. risulta coinvolto, con spregiudicato e disinvolto utilizzo di armi da fuoco, senza alcuna parvenza di resipiscenza", con altrettanto evidente riferimento agli episodi delittuosi per cui è processo.

3. Ricorso dell’avv. Nicola Rendace, nell’interesse di C.B.:

3.1. è infondato per la parte in cui addebita alla sentenza impugnata di avere erroneamente attribuito alla conversazione tra il ricorrente e la madre, oggetto di intercettazione ambientale, il valore di confessione stragiudiziale, perchè la Corte distrettuale ha proceduto alla individuazione delle circostanze di natura fattuale che l’hanno convinta non solo della spontaneità ma anche della univocità e chiarezza delle ammissioni di C., in tal modo adeguandosi ai principi di diritto invocati dal ricorrente, in particolare anche a quello secondo il quale la confessione stragiudiziale dell’imputato assume valore probatorio secondo le regole del mezzo di prova che la immette nel processo, e quanto alla prova dichiarativa occorre distinguere il caso in cui sia riferita dal testimone,con applicazione della regola di valutazione propria delle prove testimoniali, da quello in cui sia riferita dal chiamante in reità o correità, con applicazione della regola della necessità di riscontri esterni. (Cass. Sez. 1, 2.2.2011 n. 17240). Nel caso in esame si tratta di dichiarazioni provenienti dallo stesso imputato, in un contesto nel quale la spontaneità è assicurata, trattandosi di colloquio con la madre;

3.2. è inammissibile per la parte in cui propone una valutazione alternativa di tale colloquio, con conseguente sollecitazione di un nuovo giudizio che, attenendo al merito, non è consentito in questa sede, tanto più che si addebita alla sentenza impugnata di aver travisato la trascrizione effettuata dal perito nominato dalla Corte di Assise, in riferimento alla frase pronunciata da C. di significato ammissivo degli incarichi delittuosi (le "disgrazie") dei quali era incaricato e che eseguiva ("ca loro mi ci mannavanu e iu ci ia"), con l’assunto che il perito avrebbe qualificato come incomprensibili molte delle parole pronunciate, in tal modo rendendo indecifrabile il significato della frase stessa. Addebito che tuttavia è mosso in maniera generica, perchè non si allega il testo della perizia nè se ne indica l’affoliazione nel fascicolo processuale trasmesso a questa Corte, in modo da consentire la necessaria verifica sugli atti "specificamente indicati", in ossequio al dettato normativo dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) (si rinvia anche alle argomentazioni sopra svolte al paragrafo 2.1.6.);

3.3. è infondato per la parte in cui addebita alla sentenza impugnata di avere erroneamente valutato tale confessione stragiudiziale come prova della responsabilità in quanto asseverata dalle dichiarazioni di D.N., perchè il processo logico- espositivo della motivazione è esattamente il contrario: la confessione stragiudiziale è presa in considerazione quale forte elemento di conforto della chiamata in reità. Sottolinea la Corte distrettuale che si tratta di elemento probatorio determinante, "persino da sè bastevole per giungere a un giudizio di condanna", valutazione condivisibile in quanto la confessione stragiudiziale può essere assunta a fonte del libero convincimento del giudice quando, valutata in sè, nonchè nel contesto dei fatti e nel raffronto con gli altri elementi di giudizio, sia possibile verificarne la genuinità e la spontaneità in relazione al fatto contestato (Cass. Sez. 6, 15.06.2012 n. 23777), genuinità e spontaneità che i giudici di merito hanno giustificato con motivazione immune da vizi logici rilevabili in questa sede;

3.4. è infondato per la parte in cui critica la sentenza impugnata in relazione alla valutazione di attendibilità delle dichiarazioni accusatorie di D.N.O.F., per le ragioni già indicate sopra ai paragrafi 2.1.1., 2.1.2. e 2.1.5., con la specificazione che la sentenza impugnata ha precisato che il dichiarante ha ammesso di essere stato a conoscenza che C. (fornito di una pistola) doveva fare un’"imbasciata" e, per parte sua, di avere avuto incarico di creare un diversivo per distogliere dal normale servizio di vigilanza la pattuglia dei Carabinieri di servizio nel centro di (OMISSIS), sicchè non è ravvisabile la denunciata contraddizione con la parte della motivazione che ha ritenuto insussistenti sufficienti elementi probatori a carico del D.N. come concorrente nei delitti di cui ai capi 1) e 1 bis);

con l’ulteriore specificazione che delle dichiarazioni di F. la sentenza impugnata non fa alcun cenno e che la valutazione di inattendibilità (anzi falsità) delle stesse è stata già compiuta dal primo giudice, con motivazione che con il ricorso viene definita apodittica ed irragionevole, ma senza spiegarne in maniera specifica le ragioni e senza comunque spiegare se con l’appello la questione era stata devoluta alla Corte catanzarese. In difetto essa risulta ormai preclusa;

3.5. è ancora infondato per la parte in cui addebita alla sentenza impugnata di non avere correttamente valutato il materiale probatorio acquisito in riferimento ai delitti di cui ai capi 3), 3 bis) e 3 ter), perchè al fine di svilire la portata dimostrativa degli elementi probatori presi in considerazione dalla Corte distrettuale procede ad una disamina riduttiva e parziale degli stessi trascurandone la concordanza; nulla osserva poi in ordine al valore probatorio attribuito dai giudici di merito alla perizia eseguita dal prof. Ba.Al. sullo stub eseguito a carico del ricorrente a distanza di poche ore dal fatto; sul valore confessorio della conversazione, in carcere, con la madre (oggetto di intercettazione ambientale) reitera le critiche già disattese sopra al par. 3.3., al quale quindi si rinvia.

4. Deve tuttavia rilevarsi che in relazione ai delitti di cui ai capi 3) e 3 ter) è maturata la prescrizione. Ed invero per il delitto di cui all’art. 423 c.p., (per il quale nessuna circostanza aggravante risulta contestata, anche perchè in relazione a tale capo il P.G. non ha proposto ricorso) la prescrizione ordinaria, a norma del vigente art. 157 c.p., applicabile in quanto più favorevole) è di sette anni (corrispondente al massimo edittale) che, aumentata di un quarto ex art. 161 c.p., comma 2, è pari a 8 anni e 9 mesi. Anche a tener conto dei periodi di sospensione per rinvio delle udienze (dal 21.12.2009 al 4.1.2010), esso (in quanto commesso il (OMISSIS)) era già prescritto al momento della pronuncia della sentenza di primo grado.

Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi per il delitto di danneggiamento aggravato di cui al capo 3 ter), perchè anche a tener conto dell’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7 (ancora da computare per effetto del ricorso del P.G.) la pena edittale massima è di quattro anni di reclusione (tre anni aumentati di un terzo a norma del cit. D.L., art. 7, per l’effetto mitigatorio della disciplina dettata dall’art. 63 c.p., comma 4, per la maggior gravità dell’aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 635 c.p., comma 2). Secondo la formulazione dell’art. 157 c.p., attualmente vigente il termine ordinario di prescrizione è di sei anni che (essendo il danneggiamento aggravato dalla finalità agevolativa dell’associazione mafiosa, cioè reato compreso fra quelli indicati nell’art. 51 c.p., comma 3 bis) comincia a decorrere nuovamente dall’ultimo atto interattivo (art. 160 c.p., comma 3 e art. 161 c.p., comma 2). Tuttavia risulta dalla sentenza di primo grado che l’ordinanza applicativa della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di C.B. (primo atto interruttivo) è stata emessa il 19.10.2007, quando ormai erano decorsi sei anni dal momento consumativo ((OMISSIS)) e quindi il reato era già prescritto. Segue l’eliminazione delle pene inflitte in aumento per la continuazione, quantificate dalla sentenza impugnata in sei mesi di reclusione per ciascuno dei reati in esame e quindi in complessivi mesi dodici.

5. I ricorsi nell’interesse di C.B. debbono in conseguenza essere rigettati per il resto, con condanna del ricorrente alla rifusione in favore della parte civile Comune di Cosenza delle spese sostenute nel presente grado di giudizio, liquidate come in dispositivo.

6. La condanna di C.B. per il delitto di omicidio (art. 575 c.p.) di cui al capo 1) della rubrica diviene in conseguenza irrevocabile e la relativa pena di ventuno anni di reclusione, per come quantificata dalla sentenza impugnata, deve essere eseguita, secondo quanto disposto dall’art. 624 c.p.p..

P.Q.M.

In accoglimento del ricorso del Procuratore Generale, annulla la sentenza impugnata nei confronti di C.B. limitatamente alle aggravanti di cui all’art. 61 c.p., n. 2) e D.L. n. 152 del 1991, art. 7 in relazione ai reati di cui ai capi 1 bis) e 3 bis) con rinvio ad altra sezione della Corte di Assise di appello di Catanzaro per nuovo giudizio sui punti.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di C. B. in ordine ai delitti di cui ai capi 3) e 3 ter) perchè estinti per prescrizione ed elimina la relativa pena, in aumento, di mesi dodici di reclusione.

Rigetta il ricorso del Procuratore Generale nei confronti di D. N.O. ed i ricorsi proposti in favore di C.B..

Condanna il C. alla rifusione in favore della parte civile Comune di Cosenza delle spese del grado che liquida in complessivi Euro 2.800,00.

Visto l’art. 624 c.p.p., comma 2, dichiara irrevocabile la sentenza nei confronti di C.B. relativamente alla condanna alla pena base di anni ventuno di reclusione per il delitto di cui al capo 1) della rubrica.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2013
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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