Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 31-01-2013) 04-03-2013, n. 10208

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
1. A.F.U. è indagato per essersi associato con altri soggetti al fine di commettere, operando nell’ambito del gruppo C. (galassia di società facenti capo al vertice assoluto del sodalizio C.G. ed al suo fratello C.) una serie indeterminata di delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale realizzati di regola mediante lo svuotamento dell’attivo delle aziende in difficoltà, fatto confluire all’interno di nuove società costituite ad hoc all’estero, non operative, con sedi fittizie e rappresentate da meri prestanome.
2. Al ricorrente veniva contestata solo la partecipazione associativa e non il concorso nella realizzazione dei reati fine; il giudice per le indagini preliminari di Padova emetteva misura cautelare di custodia in carcere, che veniva sostituita successivamente con quella degli arresti domiciliari. Il ricorrente proponeva istanza di riesame che il tribunale di Venezia respingeva.
3. A.F.U. propone oggi ricorso per cassazione per i seguenti tre motivi:
a. motivazione illogica, contraddittoria e lacunosa in relazione alla sussistenza della competenza territoriale del tribunale di Padova in ordine al delitto associativo; insussistenza del profilo di urgenza nel tutelare le esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p.;
sostiene il ricorrente che competente a giudicare sul reato a lui contestato sia il tribunale di Napoli e non quello di Padova. Nel caso di specie si erano sovrapposte le indagini della procura della Repubblica di Napoli e di Padova e la competenza della seconda era stata ritenuta solamente in forza del collegamento con i reati fine, essendo stato ritenuto reato più grave quello di bancarotta commesso in Padova. Poichè al ricorrente non sono stati contestati i reati fine, tale criterio – assume la difesa – non è utilizzabile nei suoi confronti e deve invece farsi riferimento alla commissione del solo reato associativo, che si deve ritenere commesso in Napoli, posto che ivi si è costituita l’associazione e si è delineato il programma associativo; inoltre, a Napoli si trovavano gli uffici del gruppo C. ove svolgevano la propria attività lavorativa i presunti sodali, tutti residenti nel predetto territorio.
b. In secondo luogo ritiene il ricorrente che non sussistesse l’urgenza di provvedere ai sensi dell’art. 274 c.p.p., non essendo sufficiente il pericolo di reiterazione dei reati ma essendo necessaria la sussistenza di ragioni particolarmente gravi e soprattutto un concreto ed effettivo pericolo per la collettività, arginabile solo con l’applicazione della misura.
c. Deduce, con il terzo motivo, motivazione illogica, contraddittoria e lacunosa in relazione alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per il reato associativo; secondo il ricorrente il tribunale avrebbe ritenuto la sussistenza del reato esclusivamente in considerazione di alcune ambigue ed inconsistenti intercettazioni che costituivano meri commenti intercorsi con il datore di lavoro, mentre è necessario che il soggetto agente conosca in modo specifico e dettagliato il programma criminoso e consapevolmente si adoperi per il raggiungimento degli scopi del sodalizio. Lamenta, poi, che il Tribunale abbia completamente omesso di valutare sia le dichiarazioni rese dall’indagato nel corso dell’interrogatorio di garanzia, sia le dichiarazioni di V. e C.G., i quali avevano escluso che l’ A. fosse a conoscenza della natura illecita delle operazioni da loro poste in essere. Afferma, ancora, che la disciplina di cui all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, si applica non solo alle dichiarazioni accusatorie, ma anche a quelle difensive, per cui la convergenza costituisce elemento favorevole al ricorrente che avrebbe dovuto essere adeguatamente apprezzato.
d. Con un ultimo motivo lamenta motivazione illogica, contraddittoria e lacunosa in relazione all’esistenza delle esigenze cautelari e sull’adeguatezza della misura cautelare prescelta, anche in relazione all’art. 275 c.p.p., comma 2 bis.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso è fondato; il tribunale, pur dando atto della inoperatività, con riguardo alla posizione di A. F.U., della disciplina di cui agli artt. 12 e 16 c.p.p., ha ritenuto che sussistesse comunque la competenza di Padova, essendo quello il luogo in cui per la prima volta si sarebbe manifestata l’operatività del sodalizio criminale.
2. Il Giudice di merito, dunque, ha adottato un criterio suppletivo per l’individuazione della competenza; ritenuti sussistenti elementi certi in ordine alla genesi del vincolo associativo, ma incerto il luogo di costituzione dell’associazione, ha fatto riferimento al luogo in cui il sodalizio criminoso si sarebbe per la prima volta manifestato all’esterno (cfr. sez. 2^, n. 26.285 del 03/06/2009).
Risulta, però, dalla comunicazione di notizia di reato del 21 novembre 2011 della Guardia di Finanza di Napoli, da cui sono stati desunti i gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente, che l’associazione criminale aveva la propria attività programmatica e direttiva in Napoli, centro direzionale, presso gli uffici del gruppo C.. D’altronde, la circostanza che l’attività associativa abbia interessato i vertici ed i dipendenti del gruppo, che svolgevano la propria attività presso gli uffici di Napoli e che erano ivi residenti, è indicativa del fatto che il sodalizio doveva ritenersi qui costituito ed operante, quanto meno a livello di coordinamento operativo centrale.
3. Sussistendo elementi sufficienti per individuare il luogo di commissione del reato associativo, il tribunale non avrebbe potuto fare ricorso al criterio suppletivo della manifestazione esterna dell’attività criminosa del sodalizio; ne consegue che il provvedimento impugnato deve essere annullato senza rinvio, con affermazione della competenza territoriale del tribunale di Napoli, a cui vanno trasmessi gli atti.
4. Si impone, a questo punto, la valutazione della efficacia della misura cautelare, che è ricollegata all’urgenza di provvedere, ai sensi dell’art. 291, ed ai tempestivi adempimenti di cui all’art. 27 c.p.p..
5. L’art. 291 c.p.p., comma 2, stabilisce che, quando sia richiesto di applicare una misura cautelare personale, il Giudice che, pur riconoscendosi incompetente, accerti l’urgenza di soddisfare un’esigenza cautelare, deve disporre la misura necessaria con lo stesso provvedimento con il quale si dichiara incompetente. Può ben dirsi allora che l’art. 291 c.p.p., comma 2, pone un limite al dettato normativo dell’art. 22 c.p.p., escludendo che il Giudice per le indagini preliminari possa rifiutare per ragioni di competenza l’applicazione di una misura cautelare urgente. E poichè l’art. 291 c.p.p., è applicabile in qualsiasi fase del procedimento, ne consegue che quand’anche il Giudice rilevi la propria incompetenza, dovrà pur sempre esaminare nel merito la richiesta di misura cautelare personale, perchè sarà legittimato a rigettarla solo quando la misura di cui sussistano i presupposti non risulti urgente.
6. L’incompetenza, per qualsiasi causa, del Giudice che ha adottato una misura cautelare può non essere ritenuta da costui, ma emergere a seguito delle impugnazioni, in quanto riconosciuta dal Giudice del riesame o dalla Corte di Cassazione. Quando ciò accade, la prima conseguenza è che l’efficacia del provvedimento – se non travolta – diventa comunque provvisoria (Cass., sez. 3^, 7 settembre 1999, D., 214519; Cass., sez. 1^, 30 novembre 1998, D., 212196; Cass., sez. 5^, 17 novembre 1998, M., 212160; Cass., sez. un., 20 luglio 1994, D., 198217; Cass., sez. un., 25 ottobre 1994, D., m. 199393).
7. Allora, in caso di incompetenza per territorio rilevata in sede di legittimità, si deve procedere ad un preliminare esame dell’ordinanza impugnata in ordine alla necessaria specificazione dei gravi indizi di colpevolezza e all’indicazione delle esigenze cautelari connesse con l’urgenza di adottare la misura; nel caso di riscontro positivo di questi requisiti, il provvedimento non va annullato anche ove fosse affetto da vizio di motivazione perchè alla Corte non è dato rilevare detto vizio a fronte dell’incompetenza per territorio del giudice della cautela, sempre che esso non sia di consistenza tale da travolgere anche il provvedimento impositivo della misura, a sua volta difettoso nella motivazione (così si esprime Sez. 2^, n. 26286 del 27/06/2007, Rossini, Rv. 237268).
8. Nel caso in esame vi è ampia specificazione dei requisiti di emissione della misura restrittiva; il tribunale ha motivato più che adeguatamente in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza alle pagine 21 e 22, indicando alcuni frammenti delle telefonate intercettate, assolutamente eloquenti; da tali elementi di prova, il Giudice del riesame ha ritenuto, nell’ambito delle proprie insindacabili attribuzioni di merito, che l’ A. fosse al corrente di ogni risvolto del "metodo C." e che venisse incaricato da C.G. di istruire i prestanome su come dovessero comportarsi in occasione della stipula dei delicati atti notarili cui prendevano parte. Inoltre, dal testo delle intercettazioni emerge in maniera inequivocabile come l’ A. si ritenesse parte di quei contesto associativo, utilizzando continuamente il pronome "noi" con riferimento proprio ai componenti del gruppo C.. Data la gravita e convergenza degli indizi accusatori è implicita la ritenuta inattendibilità delle dichiarazioni rese dall’imputato e dai coindagati V. e C.G..
9. Anche sulle esigenze cautelari e sull’adeguatezza della misura cautelare prescelta vi è motivazione adeguata; il tribunale ne parla alle pagine 28 e 29, tenendo conto anche della incensuratezza dell’indagato e facendo leva sulle modalità della condotta criminosa, connotate da una sistematicità ripetitiva dell’agire, caratterizzata da piena e dettagliata conoscenza del disegno criminoso avuto di mira dal sodalizio (il ricorrente viene ritenuto a piena e continuativa disposizione e pronto ad accorrere in ogni momento ed in qualsiasi località alle convocazioni provenienti dal vertice dell’associazione). In tale contesto e tenuto conto della gravita del reato contestato, è implicita la valutazione negativa circa la possibilità di concedere la sospensione condizionale della pena all’esito del giudizio ed emerge con evidenza la inadeguatezza di misure diverse e meno afflittive di quella attualmente in atto (arresti domiciliari).
10. Superato positivamente il vaglio preliminare circa l’indicazione dei presupposti "ordinari" della misura cautelare, occorre ora valutare, ai fini della permanenza (provvisoria) dell’efficacia della misura un ulteriore requisito: l’urgenza richiesta dall’art. 291 c.p.p.. E se è vero che difficilmente un’esigenza cautelare può risultare non urgente, non può tuttavia escludersi che una tale evenienza si dia; non è escluso, cioè, che si manifesti rilevante l’interrogativo circa l’effettiva urgenza di provvedere all’applicazione di una misura cautelare di cui pure sussistano i presupposti. Quando l’incompetenza è rilevata dal Giudice dell’impugnazione, il presupposto dell’urgenza deve essere direttamente verificato da tale Giudice, sulla base degli elementi che emergono dal provvedimento impugnato (v. Sez. 5^, n. 2242 del 12/12/2005 – dep. 19/01/2006, F., Rv. 233025). Spetta infatti al giudice di legittimità, che abbia dichiarato l’incompetenza del giudice che ha adottato la misura cautelare, valutare la sussistenza del presupposto dell’urgenza, desumibile dalla motivazione del provvedimento impugnato (v. Sez. 5^, n. 2242 del 12/12/2005 – dep. 19/01/2006, F., Rv. 233025). E’ dunque pacifico che il giudice che rilevi l’incompetenza territoriale di quello che ha emesso il provvedimento deve estendere il suo controllo anche alle ragioni di urgenza che legittimano l’intervento cautelare del giudice incompetente (in argomento, v. Sez. 2^, n. 2076 del 18/12/2009, N., Rv. 246258).
11. Ebbene, tornando al caso di specie, si osserva che l’urgenza emerge in modo inequivocabile dal contesto della motivazione; il tribunale ha motivato in modo espresso l’urgenza solo con riferimento ad alcuni coindagati (evidentemente solo per quelli per i quali era stata ritenuta incompetente l’autorità giudiziaria di Padova), ma con giudizio estensibile anche all’attuale ricorrente, dato che faceva leva proprio sulle caratteristiche dell’associazione (si veda l’ultima pagina dell’ordinanza, ove si fa esplicito riferimento alla ponderosità, articolazione e ramificazione del sodalizio criminoso).
12. Consegue a quanto esposto che il provvedimento impugnato deve essere annullato, in quanto erroneo in punto di competenza; tale annullamento non travolge l’ordinanza genetica, pur emessa da Giudice incompetente, in quanto l’urgenza, ritenuta da questa Corte sulla base delle stesse motivazioni adottate dal Giudice del merito, consente alla misura di esplicare provvisoriamente i suoi effetti, fino al decorso dei termini previsti dall’art. 27 c.p.p..
P.Q.M.
Ritenuta l’incompetenza del tribunale di Padova, annulla senza rinvio il provvedimento impugnato; dichiara la competenza del tribunale di Napoli e ritenuta l’urgenza, che determina l’efficacia provvisoria della misura emessa dal Gip, dispone trasmettersi gli atti alla Procura della Repubblica presso il tribunale di Napoli per il corso ulteriore.
Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2013.
Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2013

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