Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 31-01-2013) 04-03-2013, n. 10206

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. A.R.R. propone ricorso straordinario ai sensi dell’art. 625 bis c.p.p., contro la sentenza della Corte di cassazione del 28/02/2012, n. 11.749; secondo il ricorrente la Corte avrebbe mostrato una incompleta percezione delle risultanze processuali con riferimento al fatto che l’imputato non era l’unico responsabile delle società e che ad un certo punto aveva abbandonato la discoteca; come risulterebbe dall’allegato uno, la discoteca era stata ceduta il 22/07/2005, in pieno periodo di contestazione dell’associazione e dell’art. 74; vi sarebbe poi un errore di percezione laddove la Corte afferma che vi era la documentata presenza ad una cessione di droga nella discoteca, quando invece deve escludersi la presenza dell’imputato in tale circostanza.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile per ragioni formali e sostanziali.

Quanto al primo profilo, rileva la Corte che non risulta conferita apposita procura speciale a proporre ricorso ex art. 625 bis c.p.p.;

procura da ritenersi imprescindibile, trattandosi di impugnazione di carattere straordinario e quindi di stretta interpretazione, riservata ex art. 625 bis c.p.p., comma 2, esclusivamente al condannato. Resta quindi preclusa l’applicabilità del disposto dell’art. 571 c.p.p., comma 3, relativo al difensore dell’imputato (cfr. ex multis. Sez. 4^ ord. n. 34923/2002). Nel caso di specie al difensore non risulta conferito, in calce al ricorso de quo, alcun mandato alle liti ai fini della rappresentanza e della difesa dell’ A. nel relativo procedimento e nel ricorso non vi è alcun cenno all’esistenza di procura speciale, che peraltro non è stata rinvenuta nemmeno a seguito di esame del fascicolo processuale presso la Cancelleria della Corte.

2. Sotto l’aspetto sostanziale, il ricorso è in ogni caso inammissibile per manifesta infondatezza. Deve premettersi che, sulla base del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr. S.U. n. 16103 del 2002; S.U. n. 37505 del 2011) in materia di ricorso ex art. 625 bis c.p.p., l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità e deducibile con detto mezzo straordinario di impugnazione deve consistere in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso di guisa da influenzare il processo formativo della decisione, a cagione di ciò rimasto viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali; donde la pronunzia diversa da quella che altrimenti sarebbe stata adottata. Sicchè – va ancora sottolineato – qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo non è configurabile un errore di fatto bensì di giudizio, come tale escluso dal suddetto rimedio straordinario. Nè i criteri di interpretazione dei fatti, dibattuti nel giudizio di legittimità e oggetto di valutazione anche implicita, possono essere riproposti sotto forma di errori di fatto (cfr. sez. 4^, n. 13918 del 05/07/2011, Tempesta, Rv. 252456).

3. Ciò posto, rileva il Collegio che, diversamente dall’assunto del ricorrente, gli elementi di fatto, rilevanti ai fini delle pronunzie adottate dai Giudici di merito e ritenuti decisivi dalla Prima Sezione per addivenire al rigetto del ricorso proposto dall’ A., risultano compiutamente esaminati nel loro complesso, contenendo sostanzialmente il ricorso proposto ex art. 625 bis c.p.p., una critica al contenuto valutativo della decisione che il ricorrente intenderebbe contestare mediante l’inammissibile prospettazione di una rilettura, a sè favorevole, delle risultanze istruttorie; va poi notato che il ricorrente non argomenta, se non con una formula di stile, sui motivi per cui anche se fossero fondate le sue doglianze, ne dovrebbe conseguire una decisione diversa.

4. Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale sent. n. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento, a favore della cassa delle arrende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma il 31 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2013

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