Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 31-01-2013) 04-03-2013, n. 10189

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Svolgimento del processo
1. V.S. e V.A. sono stati condannati dal Tribunale di Milano per reati di bancarotta – commessi nella loro qualità di amministratore unico (fino al (OMISSIS)) e poi amministratore di fatto il primo e quale amministratore di fatto per tutto il periodo il secondo – alla pena di anni due di reclusione ( V.S.) e alla pena di anni tre di reclusione ( V. A.).
2. Ad entrambi sono state concesse le attenuanti generiche, con giudizio di prevalenza per V.S. e con giudizio di equivalenza per V.A..
3. La Corte d’appello di Milano ha confermato integralmente la sentenza di primo grado.
4. Con un unico ricorso del difensore avvocato Traini, i ricorrenti lamentano:
a. manifesta carenza ed illogicità della motivazione con riferimento all’ipotesi di dissipazione del patrimonio R. S.r.l. per effetto del finanziamento a N. F. S.r.l.; il tribunale non avrebbe tenuto conto della reale finalità dell’operazione che aveva una giustificazione imprenditoriale e non invece una volontà di dissipazione del patrimonio sociale. Contesta, pertanto, la sussistenza del dolo, anche in considerazione del fatto che nei primi mesi del 1996 la società finanziata non si trovava affatto in uno stato di crisi, bensì di forte espansione.
b. Manifesta carenza ed illogicità della motivazione con riferimento all’ipotesi di dissipazione del patrimonio sociale per effetto della cessione del credito vantato nei confronti della F. S.r.l.;
sostiene la difesa che la cessione di credito andava a coprire una fattura di importo equivalente per l’attività di consulenza svolta da quest’ultima società in favore della R. S.r.l..
c. Manifesta carenza ed illogicità della motivazione con riferimento all’ipotesi di dissipazione del patrimonio sociale per effetto del rilascio di garanzie a N. F. S.r.l. e l’E. S.r.l.; sotto questo profilo la difesa ritiene che i giudici di merito siano incorsi in un errore, non tenendo conto che l’erosione del patrimonio di R. S.r.l. non si era verificata in quanto bloccata sul nascere per effetto dell’azione revocatoria promossa dalla curatela fallimentare.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso è infondato; la Corte d’appello di Milano, con valutazione insindacabile in questa sede di legittimità, in quanto supportata da idonea, congrua e logica motivazione, ha ritenuto innanzitutto che già dai primi mesi del 1996 la società finanziata era entrata in una crisi finanziaria irreversibile, tanto da necessitare ingente aumento di capitale sottoscritto anche dalla R. S.r.l., in conversione dell’originario finanziamento. In secondo luogo ha rilevato come già dal dicembre 1995 anche la società finanziante R. S.r.l. si trovasse in una situazione di crisi finanziaria, tanto da essere in debito per le rate del mutuo Cariplo; situazione che rendeva privo di giustificazioni il finanziamento per 1.000.000 di Euro alla N. F. S.r.l., sia per le precarie condizioni della concedente, che per la crisi di liquidità della finanziata. Sulla base di tali considerazioni il tribunale e la Corte d’appello hanno ritenuto, con valutazione discrezionale non censurabile in cassazione, non solo la piena consapevolezza in capo agli imputati (che ricoprivano cariche amministrative) della crisi strutturale della N. F. S.r.l., ma altresì la volontà di assorbire la liquidità residua della R. S.r.l., ottenuta mediante il mutuo concesso dalla Cariplo a fronte della concessione di garanzia ipotecaria dell’immobile di proprietà.
Le censure svolte del primo motivo di ricorso altro non sono che un tentativo di affermare una diversa ed alternativa ricostruzione dei fatti, operazione che manifestamente non è consentita in questa sede di legittimità, a fronte della suddetta congruità e logicità della motivazione.
2. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato; esso si basa principalmente sull’accertamento di fatto relativo alla sussistenza o meno dell’attività di consulenza a fronte della quale sarebbe stata emessa la fattura contestata (poi oggetto di pagamento mediante la cessione del credito IVA). La Corte d’appello di Milano ha ritenuto, in forza delle dichiarazioni emesse dalla curatrice del fallimento, che la mancanza di documentazione attinente al conferimento del mandato a F. S.r.l. ed alla natura ed entità dei costi sostenuti da quest’ultima, unitamente al fatto che la consulenza era priva di data certa e non era stata preceduta da lettera di incarico formale, fossero indici della inesistenza dell’operazione sottostante alla fattura emessa, che doveva ritenersi costruita solo per giustificare la cessione del credito. In forza di tali ragionamenti riteneva che l’operazione avesse ingiustificatamente depauperato il patrimonio della fallita. In merito alla responsabilità soggettiva per tale operazione, la Corte allegava puntuale motivazione agli ultimi due capoversi della pagina sei della sentenza impugnata.
Ancora una volta, dunque, si tratta di questioni di fatto adeguatamente motivate e pertanto incensurabili in questa sede.
3. Il terzo motivo di ricorso è palesemente infondato nel merito, essendovi adeguata e logica motivazione alle pagine sette ed otto della sentenza, ma soprattutto è viziato alla fonte da un erronea interpretazione di diritto, laddove ritiene che il favorevole espletamento dell’azione revocatoria impedisca la configurazione dell’illecito distrattivo, laddove, invece, è insegnamento costante di questa Corte che il recupero del bene distratto a seguito di azione revocatoria non spiega alcun rilievo sulla sussistenza dell’elemento materiale del reato di bancarotta, il quale – perfezionato al momento del distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore – viene a giuridica esistenza con la dichiarazione di fallimento, mentre il recupero della "res" rappresenta solo un "posterius" – equiparabile alla restituzione della refurtiva dopo la consumazione del furto (Sez. 5^, n. 3963S del 23/09/2010, C., Rv. 248658); si deve, poi, ricordare, con riferimento all’elemento oggettivo del reato, che deve considerarsi depauperamento non solo un esborso ingiustificato di danaro o una ingiustificata cessione di altri beni, ma anche l’altrettanto ingiustificata assunzione di obbligazioni debitorie, quali derivanti dalla concessione di garanzie a favore di terzi (Cass. n. 1062 del 9 gennaio 2013).
4. Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato, con le conseguenti statuizioni in punto spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2013.
Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2013

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