Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 31-01-2013) 04-03-2013, n. 10170

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ordinanza del 10 ottobre 2012, depositata il 15 ottobre 2013, il Tribunale di Venezia quale giudice dell’appello ex art. 310 c.p.p., in accoglimento del gravame proposto dal PM, ha applicato la misura della custodia inframuraria in luogo di quella degli arresti domiciliari originariamente comminata dal Gip presso il Tribunale di Venezia a B.C.R.E., gravemente indiziato quanto alla detenzione per uso non personale di sostanza stupefacente del tipo marijuana.

2. B.C.R.E., per il tramite del difensore fiduciario, ricorre per Cassazione.

2.1 Lamenta l’illogicità manifesta della motivazione sottesa al provvedimento impugnato avuto riguardo per un verso all’affermato valore negativo ascritto alla confessione resa, non immediatamente completa avendo il ricorrente inizialmente omesso di indicare la disponibilità relativa a sostanza diversa e ulteriore rispetto a quella in prima battuta rinvenuta dalla PG, contegno questo cui ingiustamente in motivazione si ascrive rilievo essendo esclusivamente espressione del fondamentale diritto a non accusarsi.

2.2 Ancora lamenta l’illogicità della motivazione laddove, fermo il disvalore ascritto alla confessione originaria resa non in una ottica di effettiva resipiscenza, da comunque conto del comportamento successivamente tenuto dal ricorrente quanto alla indicazione del proprio fornitore, giungendo tuttavia a svilirne il rilievo nell’ottica della intensità del rischio di recidiva in ragione della tardività di tale scelta.

3. Il ricorso è inammissibile per le ragioni precisate di seguito.

4. La motivazione in contestazione si rivela immune da incongruenze logiche ed appare pienamente coerente alle emergenze istruttorie dalle quali viene tratta – secondo valutazioni che per la linearità che le contraddistingue rimangono estranee al controllo di legittimità – la presenza di un rischio di recidiva attribuito al ricorrente talmente elevato da imporre l’adozione della misura cautelare maggiormente afflittiva rispetto a quella degli arresti originariamente comminata.

L’argomentare del Giudice dell’appello cautelare si snoda attraverso l’indicazione di dati fattuali ben determinati in forza ai quali il ricorrente arrestato nel novembre 2011, è stato posto ai domiciliari e condannato a pena patteggiata per la detenzione a fine di spaccio di Kg 1 di marijuana; appena tornato in libertà, viene trovato per strada in possesso di altra sostanza della stessa natura mentre, a seguito di successiva perquisizione (non preceduta da una spontanea indicazione) viene trovata altra sostanza per 600 gr lordi circa presso la sua abitazione in uno alla strumentazione funzionale allo spaccio.

Da tali dati di partenza, del tutto coerentemente, il Tribunale ne trae la conseguenza della sostanziale contiguità del ricorrente al mercato illecito delle sostanze stupefacenti secondo spazi logici per il vero già marcati in forza del tenore del precedente citato; e, altrettanto coerentemente, a fronte del giudizio di pericolosità correlato alla non occasionalità della condotta e della rilevanza In sè del fatto ascritto, perviene alla conclusione della inadeguatezza degli arresti anche in ragione della insensibilità mostrata dal ricorrente quanto la capacita della misura in questione di incidere sulla propensione dello stesso verso siffatta attività delinquenziale così come inequivocabilmente emerso alla luce del rapporto di stretta continuità temporale tra esecuzione della pena afferente il precedente già definito e la condotta oggetto dell’odierno intervento cautelare.

Privo, infine, di manifesta illogicità si mostra il giudizio ascritto dal Tribunale in punto al rilievo ponderale da conferire alla confessione, nella specie resa dal ricorrente anche con indicazioni etero- accusatorie. Prescindendo dalla effettività della resipiscenza, qui messa in discussione dalla non immediatezza del riconoscimento dell’addebito siccome letta a fronte del progressivo cristallizzarsi dei profili di responsabilità, non pare dubbio che il peso da attribuire alla confessione nell’ottica afferente il giudizio di pericolosi dell’indagato nella specie trova un nitro di primaria rilevanza nella utilità degli elementi forniti per la responsabilità del correo all’uopo indicato nel riconoscere l’addebito: elementi, come puntualmente segnalato dal Giudice dell’appello cautelare, non ancora corroborati da adeguati riscontri nella relativa portata indiziaria cosi da rendere allo stato recessivo il profilo da ascrivere alla confessione rispetto agli altri elementi di segno contrario richiamati per valutare la pericolosi del ricorrente in funzione del rischio di reiterazione.

Di qui la inammissibilità del ricorso per la manifesta infondatezza del motivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. c.p.p..

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2013
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