T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, Sent., 25-01-2011, n. 193

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. La questione dedotta in giudizio è stata già approfonditamente affrontata con una recente sentenza della Sezione (TAR Lombardia – XXX, sez. III, 15 settembre 2010 n. 5988). Per tale motivo, il Collegio ritiene che il giudizio possa essere definito con sentenza in forma semplificata, emessa ai sensi dell’art. 74 c.p.a.
1.1. Il ricorrente ha impugnato il provvedimento del COMUNE DI XXX, con cui è stata rigettata la sua domanda volta ad ottenere l’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica ("ERP"), in forza dell’art. 3, comma 41 bis l.r. n. 1 del 2000 (introdotto dall’art. 1, lett. a, l.r. n. 7/2005), secondo cui possono presentare domanda di assegnazione di alloggi ERP solo coloro che abbiano risieduto o lavorato in Lombardia "da almeno cinque anni per il periodo immediatamente precedente alla data di presentazione della domanda".
1.2. All’udienza camerale del 18 ottobre 2007, in ragione del fatto che, nell’ambito di altro giudizio (RG 315/2006), questa stessa Sezione, con ordinanza 27 luglio 2007 n. 108, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 41 bis, della legge regionale n. 1 del 2000, per violazione di numerose norme costituzionali (art. 117, comma 3, cost., anche in relazione all’art. 47 cost.; art. 117, comma 2, lett. m), cost.; art. 3 cost.; art. 120 cost.; artt. 101, 102, 103, 104 e 111 cost.; art. 117, comma 1, cost., in relazione all’art. 48, poi 39, del trattato CEE), il Collegio sospendeva cautelarmene la determinazione impugnata.
1.3. Nelle more dell’udienza pubblica, la Corte costituzionale, con ordinanza n. 32 del 2008, dichiarava manifestamente inammissibili le censure sollevate in riferimento agli artt. 117 primo comma e 120 della Costituzione, e manifestamente infondate quelle che facevano riferimento agli artt. 3, 47, 117, comma 2, lett, m), 117 comma 3, 101, 102, 103, 104 e 111 cost. In particolare, la Consulta, osservava: – che, con riguardo alla censura di cui agli artt. 117, primo comma, e 120 della Costituzione, la questione doveva ritenersi inammissibile per carenza di motivazione in ordine al parametro di cui si deduce la violazione; – che, quanto alla lamentata violazione dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione anche in relazione all’art. 47 Cost., e dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., la questione doveva ritenersi manifestamente infondata, perché la materia di cui trattasi rientra nella competenza residuale delle Regioni e non investe, in ogni caso, la problematica della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni relative ai diritti civili e sociali da garantire su tutto il territorio nazionale; – che, in proposito, la Corte aveva avuto anche di recente modo di ribadire come "una specifica materia "edilizia residenziale pubblica" non compare tra quelle elencate nel secondo e terzo comma dell’art. 117 Cost.", così che esiste un terzo livello normativo che rientra nel quarto comma dell’art. 117 della Costituzione, il quale investe, appunto, la gestione del patrimonio immobiliare di edilizia residenziale pubblica e, conseguentemente, coinvolge la individuazione dei criteri di assegnazione degli alloggi dei ceti meno abbienti (da ultimo, sentenza n. 94 del 2007); – che anche la lamentata violazione da parte della norma censurata dell’art. 3 della Costituzione, in quanto introduttiva di un fattore discriminatorio irragionevole e ingiustificato per l’accesso all’E.R.P. rapportato alla durata della residenza o del lavoro in Lombardia, doveva ritenersi manifestamente infondata, in quanto, al riguardo, la Corte aveva avuto già modo di affermare che il requisito della residenza continuativa, ai fini dell’assegnazione, risulta non irragionevole (sentenza n. 432 del 2005) quando si pone in coerenza con le finalità che il legislatore intende perseguire (sentenza n. 493 del 1990), specie là dove le stesse realizzino un equilibrato bilanciamento tra i valori costituzionali in gioco (ordinanza n. 393 del 2007); – che, rispetto agli ulteriori profili di censura prospettati dall’odierno rimettente in riferimento agli artt. 101, 102, 103, 104 e 111 della Costituzione, non si era ravvisato, per effetto della norma contestata, alcuna compromissione dell’esercizio della funzione giurisdizionale, la quale opera su di un piano diverso rispetto a quello del potere legislativo, tanto più considerando che il giudicato evocato era riferito a normazione di rango secondario.
1.4. Con la sopra citata sentenza (TAR Lombardia – XXX, sez. III, 15 settembre 2010 n. 5988), la Sezione ha ritenuto non fondata: – sia la questione di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 1, l. r. n. 27 del 2009 (già art. 3, comma 41 bis, l. r. n. 1 del 2000), in riferimento agli artt. 120 e 117 comma 1 cost. (rispetto a tali parametri, difatti, la Consulta aveva dichiarato le censure soltanto manifestamente inammissibili per "carenza di motivazione in ordine al parametro di cui si deduce la violazione"; formula quest’ultima che non preclude la riproposizione della questione nel medesimo giudizio a quo, purché essa resti rilevante, oltre che non manifestamente infondata: cfr. Corte Cost. n. 135/1984): – sia la restante questione di legittimità costituzionale della distinta previsione di cui al comma 41 ter (oggi art. 28, comma 2, l. r. n. 27 del 2009; che non aveva formato oggetto del giudizio di costituzionalità); – sia l’eccezione di contrarietà della normativa regionale al diritto comunitario ed agli obblighi internazionali, ed in particolare a quelli contratti con l’adesione dell’Italia alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
1.5. Dalla reiterazione anche nel presente giudizio delle considerazioni svolte nel citato precedente (TAR Lombardia – XXX, sez. III, 15 settembre 2010 n. 5988, cui il Collegio rinvia), discende la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del comma 41 bis e ter dell’art. 3 della l. r. n. 1 del 2000 (oggi art. 28 comma 2 della l. r. n. 27 del 2009), previsione sulla base della quale è stato emanato il regolamento impugnato. Discende, altresì, facendo piana applicazione dei canoni elaborati dalla giurisprudenza comunitaria, come le disposizioni comunitarie e convenzionali non ostino ad una normativa regionale che, nel disciplinare i requisiti per l’accesso all’edilizia residenziale pubblica, stabilisca, come condizione per la presentazione di una domanda di assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica, l’avere il richiedente risieduto o prestato attività lavorativa nel territorio delle regione, per almeno cinque anni prima della proposizione della domanda.
2. In definitiva, la confutazione dei profili di contrasto tra la normativa di legge regionale e le norme costituzionali e comunitarie, miranti a far discendere la illegittimità derivata dell’atto amministrativo che ad essa aveva dato applicazione, comporta irrimediabilmente il rigetto integrale dei motivi di ricorso.
3. Con riguardo, poi, alla censura secondo cui il ricorrente non avrebbe mai abbandonato la sua residenza milanese (giacché i suoi frequenti spostamenti in Emilia Romagna, dovuti a motivi di lavoro, non avrebbero mai reciso il collegamento del ricorrente con la città), osserva il Collegio che il ricorrente non ha articolato alcuna prova per dimostrare che la situazione di fatto non corrisponda alle risultanze anagrafiche (alla cui stregua, il signor L. è stato cancellato dalle liste del Comune di XXX in data 4 febbraio 2003 per irreperibilità, per ritrasferirsi a XXX solo in data 11 febbraio 2005).
4. Da ultimo, il ricorrente non ha contestato la deduzione della difesa comunale secondo cui egli avrebbe occupato senza titolo l’alloggio ERP sito in via Cogne n. 4; circostanza quest’ultima, come è noto, di per sé ostativa all’assegnazione di alloggio ERP (cfr. art. 28, l.r. 27/2009; ma già la l.r. 5/2008.
5. Sussistono giusti motivi per compensare interamente le spese di lite tra le parti, attesa la novità della questione e la sua oggettiva complessità.
6. Il difensore della ricorrente, ammesso al beneficio del gratuito patrocinio con decreto n. 65/2007, ha prodotto istanza per la liquidazione del compenso per le prestazioni professionali rese nel giudizio. Al riguardo, il Collegio osserva che l’art. 116 del d.P.R. n. 115/2002, con rinvio al precedente art. 82, rimette all’Autorità Giudiziaria la liquidazione dell’onorario e delle spese al difensore nei limiti dei "valori medi delle tariffe professionali vigenti", tenuto conto dell’ "impegno professionale". L’art. 2, comma secondo, del d.l. n. 223/2006, convertito nella legge n. 248/2006, ha mantenuto fermo il riferimento alle tariffe professionali agli effetti della liquidazione di compensi per gratuito patrocinio.
Ciò posto, in relazione alla natura della controversia e all’impegno professionale richiesto ed applicato l’art. 130 del menzionato D.P.R. n. 115/2002, che dimezza i compensi spettanti ai difensori di soggetti ammessi al gratuito patrocinio, si configura congrua la liquidazione di euro 1.000,00 per onorari, euro 600,00 per diritti, oltre spese generali, I.V.A. e C.A.P. dovuti per legge.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
RIGETTA il ricorso;
COMPENSA interamente le spese di lite tra le parti;
LIQUIDA in favore dell’avv.to C. L. i corrispettivi per gratuito patrocinio indicati in motivazione.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in XXX nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2011 con l’intervento dei magistrati:
Domenico Giordano, Presidente
Stefano Celeste Cozzi, Referendario
Dario Simeoli, Referendario, Estensore

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