Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 03-08-2012, n. 13965

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
Con ricorso al Tribunale di Catania, C.S., premesso di essere stato alle dipendenze dell’Istituto di Vigilanza Privata XXX s.r.l. con la qualifica di guardia particolare giurata dal 1985 al 13 gennaio 2001; che con lettere raccomandate del 12 e 13 gennaio 2001, la società gli aveva comunicato la risoluzione del rapporto di lavoro al sensi dell’art. 91 del CCNL di categoria per essersi più volte addormentato in servizio; che egli aveva ritualmente impugnato il licenziamento; che la società occupava più di quindici dipendenti; che il recesso aveva tratto origine dalla contestazione disciplinare ricevuta in data 8 gennaio 2001, con la quale gli era stata contestata la violazione dell’art. 58/C, settimo capoverso del c.c.n.l., nonchè del Regolamento di servizio e disciplina delle Guardie Particolari Giurate.
In diritto lamentava l’inefficacia dell’atto di recesso in quanto intimato in periodo di malattia; la nullità dello stesso per violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, commi 1 e 5, considerato che la contestazione disciplinare era stata ricevuta il giorno 8 gennaio, mentre il licenziamento era stato adottato già il successivo 12 gennaio; la mancata contestazione della recidiva invece espressamente richiamata nella lettera di licenziamento, peraltro in concreto insussistente per non essere mai state adottate in precedenza sanzioni per analoghi comportamenti; l’insussistenza dell’addebito, atteso che nella notte tra il 3 ed il 4 gennaio 2001 egli non si era addormentato, ma in realtà era stato colto da malore; infine la sproporzione della sanzione rispetto al fatto contestato.
Ciò posto, chiedeva, previa declaratoria della illegittimità del licenziamento, la reintegra nel posto di lavoro e la corresponsione di una indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello dell’effettiva reintegrazione, oltre interessi e rivalutazione monetaria.
Si costituiva la società contestando le avverse pretese, deducendo che nessuna rilevanza aveva il richiamo alla contestazione del 4 gennaio 2001, essendo il recesso in tronco basato sull’art. 91 del c.c.n.l. di categoria del 21 febbraio 1995, per essere stato trovato il ricorrente più volte addormentato durante il servizio, e che l’art. 91 non richiedeva la reiterazione di sanzioni disciplinari, e dunque la necessità di contestazione della recidiva, ma solo la reiterazione della condotta; negava che nell’ultimo episodio fosse emerso che il ricorrente avesse subito un malore.
Il Tribunale, espletata l’istruttoria, all’udienza del 24 aprile 2006 accoglieva la domanda.
Proponeva appello la società datrice di lavoro; resisteva il C..
Con sentenza depositata il 29 dicembre 2009, la Corte d’appello di Catania dichiarava la nullità della sentenza di primo grado e nel merito dichiarava l’illegittimità del licenziamento intimato al C. il 12 gennaio 2001, ordinandone la reintegra nel suo posto di lavoro con le statuizioni di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18. Osservava la Corte di merito che la sentenza, risultando del tutto priva di motivazione doveva ritenersi nulla; che ciò non comportava alcun obbligo di rimessione al primo giudice; che nel merito risultava che il licenziamento in questione, di natura disciplinare, era stato proceduto da contestazione pervenuta al lavoratore l’8 gennaio 2001, mentre la lettera di licenziamento era datata 12 gennaio, precedentemente dunque al termine di difesa di cinque giorni di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 7 e precedentemente anche al pervenimento alla società delle giustificazioni del lavoratore (13 gennaio 2001).
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso l’Istituto di Vigilanza Privata XXX s.r.l., affidato a quattro motivi, poi illustrati con memoria. Resiste il C. con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 91 del C.C.N.L. Istituti di Vigilanza Privata del 21 dicembre 1995 e dell’art. 2119 c.c., segnatamente nella parte in cui prevede il licenziamento per giusta causa, con perdita dell’indennità di preavviso, in ipotesi di "recidività nell’addormentarsi in servizio", in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.
Precisa la ricorrente che "con il presente motivo si intende preliminarmente censurare l’errata applicazione al caso di specie dell’art. 91 del c.c.n.l., prevedente la sanzione del licenziamento per giusta causa nei confronti del lavoratore che abbia commesso "la mancanza della recidività dell’addormentarsi in servizio" (pag. 7 ricorso), da intendersi come plurime commissioni delle infrazioni e non già come reiterazione di infrazioni già oggetto di sanzione disciplinare.
Il motivo è inammissibile per non avere la ricorrente allegato il testo integrale del c.c.n.l., invocato, nè indicatane la sua esatta ubicazione all’interno dei fascicoli di causa (Cass. sez. un. 23 settembre 2010 n. 2007; Cass. sez. un. 3 novembre 2011 n. 22726), impedendo così alla Corte di esaminare le censure esposte.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, nella parte in cui dispone che i provvedimenti disciplinari più gravi del rapporto verbale non possono essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa. Lamentava che nella specie il lavoratore aveva fornito i suoi chiarimenti circa l’episodio contestatogli, sicchè legittimamente l’Istituto, ritenendoli infondati, aveva provveduto ad intimare il licenziamento senza attendere il termine di cinque giorni. Il motivo è infondato.
Ed invero la ricorrente, in contrasto col principio dell’autosufficienza di cui all’art. 366 c.p.c., non chiarisce in qual modo e quando, il lavoratore avrebbe presentato le sue giustificazioni, laddove la Corte d’appello ha accertato che il licenziamento venne adottato dopo quattro giorni dalla contestazione e che la lettera di giustificazioni del C. pervenne ritualmente alla società il quinto giorno (13 gennaio) dalla contestazione, allorquando il licenziamento era già stato adottato (12 gennaio).
In sostanza la Corte territoriale ha accertato che il licenziamento intervenne prima dei cinque giorni previsti dalla L. n. 300 del 1970, art. 7, senza che prima fosse pervenuta alcuna giustificazione da parte del lavoratore.
Ne consegue che se è pur vero che il termine di cinque giorni è finalizzato a consentire le giustificazioni del dipendente incolpato, con la conseguenza che la sanzione può essere adottata anche prima, laddove tali giustificazioni, senza riserve di ulteriori specificazioni o di richiesta di audizione personale siano precedentemente pervenute al datore di lavoro (ex plurimis, Cass. sez. un. n. 3965 del 1994; Cass. n. 5057 del 1997; Cass. sez. un. n. 6900 del 2003; Cass. n. 13486 del 2005; Cass. n. 1884 del 2012), nella specie ciò non risulta accaduto, e la società non chiarisce quando ed in qual modo le giustificazioni del lavoratore sarebbero state precedentemente svolte.
3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nonchè la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c..
Lamenta in particolare che la Corte di merito aveva erroneamente ritenuto non provata la sussistenza della recidiva, basandosi sulla deposizione dei testimoni escussi, rilevando che solo uno degli undici testi ascoltati, aveva riferito che in precedenza il C. era stato oggetto di rimprovero verbale. Il motivo è inammissibile poichè, respinta la censura inerente il rispetto della procedura a garanzia della difesa del lavoratore incolpato di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 7, e divenuto così definitivo l’accertamento della nullità del recesso, la doglianza in esame difetta di interesse.
4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 91 e ss. c.p.c., per avere la Corte d’appello posto interamente a suo carico le spese del doppio grado del giudizio, laddove la complessità della vicenda e le valide ragioni poste a fondamento del comportamento della società, avrebbero imposto la compensazione delle stesse.
Il motivo è infondato.
La soccombenza totale in entrambi i gradi del giudizio, giustifica ampiamente la condanna alle spese della ricorrente.
Giova al riguardo rimarcare che il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese per giusti motivi, pur nel regime anteriore a quello introdotto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), deve comunque trovare un supporto motivazionale, che nella specie non risulta ravvisabile nè nella complessità della vicenda, nè nelle ragioni sottese alla linea difensiva della società, come detto correttamente respinte dai giudici di merito.
A ciò va aggiunto che l’apprezzamento dei giusti motivi circa l’opportunità della compensazione totale o parziale delle spese rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito (ex plurimis, Cass. 1 ottobre 2002 n. 14095; Cass. 28 novembre 2003 n. 18236), sottratta al sindacato di legittimità.
5. Il ricorso deve pertanto rigettarsi.
Le spese di causa seguono la soccombenza e, liquidate come da dispositivo, vanno distratte nei confronti dei difensori del C., dichiaratisi antecipanti.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 40,00 per esborsi, Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a., da distrarsi.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 30 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *