Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 31-01-2013) 19-02-2013, n. 7975

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con sentenza in data 13 gennaio 2012, la Corte di appello di Firenze, 1^ sezione penale, in parziale riforma della sentenza del Tribunale in sede sezione distaccata di Empoli appellata da H.M., riduceva la pena, previa esclusione della contestata recidiva, a due anni un mese di reclusione ed Euro 450 di multa; confermava nel resto la sentenza con la quale l’ H. era stata dichiarata colpevole di rapina impropria di Euro 1.100,00 in danno di G.M. e di lesioni volontarie in danno di T.S..

La Corte territoriale confermava il giudizio di responsabilità sulla scorta della testimonianza del T. che, insospettito dello strano comportamento della donna (la quale entrata nel negozio di parrucchiera, se ne allontanava senza nulla dire dopo una breve sosta vicino al banco di ingresso), aveva controllato il contenuto del cassetto e, avvedutosi della sparizione delle banconote, aveva inseguito e raggiunto la donna, la quale aderiva parzialmente alle richieste di chiarimento (aprendo la borsa e togliendosi due volte lo stesso stivale) per poi rifugiarsi in macchina con la quale si dava alla fuga (urtando alla gamba T.) senza attendere l’arrivo della polizia.

Contro tale decisione ha proposto tempestivo ricorso l’imputata, a mezzo del difensore, che ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi:

– errata qualificazione giuridica del fatto come rapina impropria anzichè furto, perchè la condotta violenta si è consumata a distanza di tempo dalla sottrazione;

– contraddittorietà e mancanza di motivazione in ordine alla prova del fatto contestato, con violazione dei criteri di cui all’art. 192 c.p.p., comma 2 perchè l’unico elemento indiziario è costituito dalla presenza dell’imputata all’interno dell’esercizio commerciale;

– erronea qualificazione del fatto in ordine al delitto di lesioni personali non essendo provata la volontarietà delle stesse, riconducibili a condotta colposa, quindi non perseguibile per difetto di querela.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso è infondato, perchè per costante giurisprudenza di questa Corte il concetto di immediatezza ha natura relativa.

Va ribadito che in tema di rapina impropria, il requisito dell’immediatezza della violenza o della minaccia non deve essere inteso in senso rigorosamente letterale, e cioè nel senso che la violenza o la minaccia debbano seguire, senza alcun intervallo di tempo, alla sottrazione, ma va riferito alla nozione di "flagranza" o "quasi flagranza" (Cass. Sez. 2, 9.11.2007 n. 43337; Cass. Sez. 6, 16.10.2009 n. 39924) essendo sufficiente che tra le due diverse attività intercorra un arco temporale tale da non interrompere il nesso di contestualità dell’azione complessiva posta in essere al fine di impedire al derubato di rientrare in possesso della refurtiva o di assicurare al colpevole l’impunità (Cass. Sez. 2, 9.4.2009 n. 30127).

2. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato, perchè i giudici di merito oltre all’elemento probatorio costituito dalla presenza della donna nell’esercizio commerciale hanno tenuto conto di altri indizi, individuati nell’ingiustificato suo allontanamento dopo essersi trattenuta in prossimità del banco d’ingresso dove si trovava custodito il danaro; della sparizione di questo; della condotta successiva della donna che, raggiunta, solo apparentemente aderiva alle richieste di chiarimenti, essendosi sfilata per due volte lo stesso stivale, per poi rifiutarsi di attendere l’arrivo della polizia.

3. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi in ordine al terzo motivo di ricorso. L’intenzionalità dell’urto nella fase di allontanamento alla guida dell’autoveicolo è stata desunta dalla descrizione di tale fase da parte della persona offesa. In assenza di critica specifica a tale ricostruzione, le conclusioni cui sono pervenuti i giudizi di merito non sono suscettibili di censura in questa sede.

4. Il ricorso deve essere rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2013

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