Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 03-08-2012, n. 13959

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Svolgimento del processo

Con sentenza del 17/9-1/10/2009 la Corte d’Appello di Messina confermava la sentenza del giudice di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta da M.P. nei confronti dell’INPS per il riconoscimento del diritto all’assegno d’invalidità.

La Corte territoriale motivava il rigetto conformandosi alle conclusioni della consulenza tecnica espletata, dopo aver respinto la richiesta di rinnovo della medesima formulata dall’appellante in ragione del dedotto aggravamento delle patologie di cui era affetto, che assumeva non documentato.

Avverso la sentenza propone ricorso per Cassazione il M., formulando un unico motivo d’impugnazione.

L’INPS resiste con controricorso.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo di censura il ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione della L. 12 giugno 1984, n. 222, art. 1, comma 1, artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 149 disp. att. c.p.c., oltre a omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Osserva che in appello era stato dedotto l’aggravamento delle patologie che lo affliggevano e richiesta nuova consulenza tecnica.

Rileva che detto aggravamento era stato documentato. Richiama al riguardo una relazione di controdeduzioni alla ctu svolta in primo grado, facente riferimento a due certificazioni, una datata (OMISSIS), entrambe concernenti visite effettuate dal M. presso l’unità cardiologica del Policlinico Universitario di (OMISSIS), le quali attesterebbero due diversi stadi, di cui il secondo più grave, di cardiopatia ischemica ipertensiva.

Lamenta che la Corte ha omesso di valutare le suddette prove senza motivare al riguardo, mancando nella sentenza l’esposizione delle ragioni che hanno indotto il giudice del merito a non tener conto della documentazione menzionata e a conformarsi alla consulenza tecnica d’ufficio espletata, senza disporre rinnovazione della medesima al fine di valutare il dedotto aggravamento.

Il motivo è privo di autosufficienza, non consentendo alla Corte di apprezzare la fondatezza delle censure, ed è pertanto infondato.

Occorre premettere, richiamando un principio più volte enunciato nella giurisprudenza della Corte, che "nelle controversie relative a prestazioni previdenziali od assistenziali fondate sull’invalidità del richiedente, il ricorrente, che abbia censurato la decisione del giudice d’appello per violazione dell’art. 149 disp. att. c.p.c., ha l’onere di dimostrare di aver dedotto e comprovato, con adeguata documentazione, l’esistenza degli aggravamenti delle malattie e le nuove infermità sopravvenute al giudizio di primo grado, nonchè la determinante rilevanza delle nuove patologie in modo da rendere palese che la positiva valutazione dei fatti dedotti avrebbe comportato con certezza la declaratoria del diritto alla prestazione richiesta in giudizio con la decorrenza auspicata" (Cass. 21251/2010).

Ciò posto, si evidenzia che nella specie la deduzione dell’aggravamento della patologia affliggente il ricorrente è generica e i documenti di riferimento sono richiamati in modo insufficiente, stante la mancata esplicitazione del loro contenuto e l’omessa indicazione della loro collocazione nel fascicolo di parte.

Va richiamato al riguardo il principio, più volte enunciato da questa Corte (si veda Cass. 17369/2004; Cass. 13845/2007), secondo cui la parte che addebita alla consulenza tecnica d’ufficio lacune di accertamento o errori di valutazione oppure si duole di erronei apprezzamenti contenuti in essa (e nella sentenza che l’ha recepita) ha l’onere di trascriverne integralmente nel ricorso per cassazione i passaggi salienti e non condivisi e di riportare, poi, il contenuto specifico delle critiche a essi sollevate. Ciò assume rilevanza al fine di evidenziare gli errori commessi dal giudice del merito nel limitarsi a recepire la c.t.u. e nel trascurare completamente le critiche a essa formulate, sì da consentire alla Corte di legittimità di apprezzarne la decisi vita direttamente in base al ricorso.

Ebbene, nella specie, il ricorrente non ha riportato il contenuto delle critiche mosse alla consulenza in raffronto con i passi della medesima in contrasto con esse, nè ha enunciato in maniera sufficientemente specifica, mediante indicazione dei dati e parametri utilizzati ai fini della classificazione delle patologie, il contenuto delle certificazioni richiamate, così sottraendosi all’osservanza del principio di autosufficienza del ricorso (in proposito, in linea con un orientamento uniforme sul punto, così si esprime Cass. Sez. 6, ord. 17915/2010: "Il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative").

D’altra parte, a fronte del principio consolidato in forza del quale spetta al giudice di merito scegliere le risultanze probatorie ritenute decisive (tra cui la consulenza tecnica, la quale può legittimamente costituire fonte oggetti va di prova qualora sia stata disposta anche per accertare elementi rilevabili soltanto con l’ausilio di un perito), deve reputarsi che la consulenza tecnica di parte costituisca semplice allegazione difensiva a contenuto tecnico, priva di autonomo valore probatorio, rispetto alla quale il giudice non è tenuto a motivare il proprio dissenso (Cass. 14.11.2002 n. 16030; Cass. 6753/2003; Cass. 2707/2004; Cass. 7078/2006"; Cass n. 13845 del 13/06/2007).

Le svolte argomentazioni, fondanti il rigetto del ricorso, assumono rilievo assorbente rispetto al punto di doglianza relativo al vizio di motivazione.

Al rigetto del ricorso consegue, secondo il criterio della soccombenza, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 40,00 per esborsi e in Euro 2.000,00 per onorari, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2012

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