T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, Sent., 25-01-2011, n. 183

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il provvedimento in epigrafe il Questore di Lodi ha revocato il permesso di soggiorno rilasciato al Sig. E.E. a seguito di sanatoria per emersione dal lavoro irregolare ai sensi della L. 195 del 2002.

Nel provvedimento si afferma che lo straniero non avrebbe potuto trovarsi in Italia nei tre mesi precedenti alla data del 20 giugno 2002, così come prevede il citato decreto ai fini del rilascio della sanatoria, essendo il medesimo entrato nel Paese solo in data 10 settembre 2002.

Avverso tale atto ha proposto ricorso l’interessato denunciando la violazione degli art. 21 nonies della L. 241 del 1990 e 5 del D.Lgs 286 del 1998, nonchè il vizio di eccesso di potere per illogicità della motivazione, erroneità dei presupposti, ingiustizia manifesta, contraddittorietà con precedente provvedimento, disparità di trattamento.

Lamenta il ricorrente che la Questura avrebbe esercitato il potere di revoca senza specificare l’interesse pubblico specifico che lo giustificherebbe e senza tener in alcun conto della sua consolidata condizione di radicamento sociale e lavorativo nel Paese.

Il ricorso è infondato.

Occorre innanzitutto osservare che il provvedimento impugnato, nonostante il nomen juris, deve essere qualificato come atto di annullamento d’ufficio e non di revoca in quanto esso non è diretto a privare di effetti con decorrenza ex tunc un precedente atto in ragione di nuove valutazioni di interesse pubblico, ma si fonda sulla rilevata illegittimità della regolarizzazione della posizione del ricorrente in quanto ottenuta attraverso una falsa rappresentazione della situazione di fatto.

Chiarito ciò risultano errate le premesse giuridiche da cui muove il ricorrente laddove lamenta che un legittimo affidamento sulla regolarità della situazione di fatto venutasi a creare per effetto del provvedimento illegittimo potrebbe maturare anche nei casi in cui il beneficiario sia in mala fede.

Infatti, il principio dell’affidamento, quale limite all’esercizio della potestà di autotutela, è finalizzato alla protezione di coloro che in buona fede hanno confidato su un provvedimento amministrativo che abbia prodotti effetti favorevoli consolidatisi nel tempo. L’ordinamento, invece, non tutela l’interesse di quegli stessi soggetti che abbiano posto in essere la situazione di erronea valutazione della realtà sulla base della quale la p.a. ha emanato l’atto illegittimo che intende annullare (TAR Puglia, Lecce, 24/11/2007 n. 3982; Cons. St. V sez. 1/7/02 n. 3599).

Occorre poi tener presente che nell’ambito della disciplina della immigrazione degli stranieri gli istituti riconducibili alla cd "autotutela" assumono un connotato del tutto peculiare.

Infatti, a mente del D.Lgs 286/98, la permanenza dello straniero sul territorio nazionale è permanentemente condizionata alla sussistenza dei requisiti che ne hanno consentito l’ingresso, il cui venir meno costituisce non solo motivo del mancato rinnovo del permesso di soggiorno, ma anche una ragione di per sé sufficiente a giustificare la revoca dello stesso, la quale, in tal caso, si configura come provvedimento di carattere vincolato.

Nel caso di specie, in particolare, una volta stabilito che non sussistevano le eccezionali circostanze al ricorrere delle quali il D.L. 195 del 2002 consentiva la sanatoria per emersione dal lavoro irregolare ai cittadini extracomunitari che potessero dimostrare di aver lavorato in Italia nei tre mesi precedenti alla sua entrata in vigore, vengono meno le condizioni poste dall’art. 5 del D.Lgs 268 del 1998 per giustificare la permanenza del Sig. E. nel Paese.

A tal fine, infatti, non è sufficiente l’affermazione di un radicamento lavorativo e sociale in quanto, come è noto, a tali condizioni deve accompagnarsi anche il rispetto delle quote di ingresso (eccezionalmente derogabile nelle ipotesi di sanatoria) che, nella specie, non ricorre, non essendo mai stato rilasciato dalla Autorità competente il nulla osta all’ingresso in Italia previsto dal testo unico sull’immigrazione.

Il ricorso deve, quindi essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza ma devono essere liquidate in misura contenuta stante la costituzione meramente formale dell’Avvocatura.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna il ricorrente alla refusione delle spese di lite che liquida in Euro 300.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2011 con l’intervento dei magistrati:

Domenico Giordano, Presidente

Stefano Celeste Cozzi, Referendario

Raffaello Gisondi, Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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