Cass. civ. Sez. III, Sent., 03-08-2012, n. 13954

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Svolgimento del processo
1. B.d.R.O.A., G.C. e D.M. agirono (con atto del 2002): a) nei confronti di A. srl, per il risarcimento del danno (pari a circa un milione e mezzo di Euro a favore della prima e a circa 500 mila Euro, complessivi, a favore degli altri due), conseguente alla sottrazione di beni mobili, di elevato valore artistico ed economico, in parte di proprietà della B. e del fratello, in parte di proprietà degli altri attori; b) nei confronti di A. srl, di Immobiliare F. srl e di A.A., per ottenere, a garanzia dell’accertando credito, la dichiarazione di inefficacia, ex art. 2901 cod. civ., dell’atto di compravendita (del 30 settembre 2002 intercorso tra i convenuti) dell’immobile storico, dove i suddetti beni si trovavano prima che l’attrice fosse sfrattata, in esito a procedure giudiziarie, dopo il fallimento della società, della quale era amministratore unico il fratello, proprietaria dell’immobile;
immobile costituito da un complesso immobiliare storico, nell’ambito del quale vi era, tra l’altro, una parte in uso all’attrice e una parte in uso alla famiglia, dove era stata ospitata dopo lo sfratto.
Il Tribunale di Milano, preliminarmente, respinse le istanze istruttorie per tardività, essendo state proposte dopo la scadenza dei termini ex art. 184-bis cod. proc. civ. Aggiunse che l’attrice aveva ammesso di non essere in grado di provare la data in cui era entrata in possesso della documentazione, della quale aveva chiesto tardivamente la produzione. Rigettò le domande risarcitorie per essere rimaste indimostrate nell’an e nel quantum e rigettò fazione revocatoria per l’accertata inesistenza dei credito presupposto.
2. La Corte di appello di Milano, decidendo sull’appello proposto solo dalla B.d.R., in causa nella quale si costituirono i tre originari convenuti:
dichiarò inammissibile la copiosa produzione documentale, ex art. 345 cod. proc. civ., distinguendo tra i documenti prodotti in primo grado, già dichiarati inammissibili dal primo giudice, e quelli prodotti in appello (all’udienza di precisazione delle conclusioni);
mise in evidenza l’ininfluenza degli stessi ai fini della decisione;
dichiarò inammissibile la prova per testi, già avanzata in primo grado e già dichiarata inammissibile;
rigettò la domanda di danni;
dichiarò assorbito il motivo di appello concernente il rigetto della domanda di revocatoria (sentenza del 4 agosto 2009).
3. Avverso la suddetta sentenza, B.d.R. propone ricorso per cassazione con unico motivo, articolato in tre profili ed esplicato da memoria, e produce ulteriore documentazione. In esito alla discussione nella Pubblica Udienza, deposita memorie di replica alle conclusioni di rigetto del Pubblico Ministero.
Resistono, con unico controricorso, Immobiliare F. srl e A. A..
A. srl non si difende.
Motivi della decisione
1. Preliminarmente, deve dichiararsi inammissibile la produzione, con il ricorso, di documenti volti a provare la domanda di risarcimento dei danni. Tanto, in applicazione della costante giurisprudenza di legittimità, secondo la quale Nel giudizio innanzi alla Corte di Cassazione, a norma dell’art. 372 cod. proc. civ., non è consentito il deposito di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi del processo, salvo che non riguardino l’ammissibilità del ricorso e del controricorso ovvero la nullità della sentenza impugnata (in termini generali, Cass. 5 aprite 2004, n. 6656).
2. Ai fini che ancora rilevano, la corte di merito ha così motivato.
Preliminarmente ha messo in evidenza che nei motivi di appello la B. aveva fatto riferimento a documenti non ammessi (per esempio, il verbale di rilascio di alcuni locali del palazzo del 13 luglio 2000). Quindi, ha ricostruito la vicenda concernente il complesso immobiliare, facendo esclusivo riferimento ai documenti utilizzabili, mettendo in evidenza:
– i passaggi di proprietà del complesso immobiliare (in capo a società diverse dalla A. sino agli inizi del 2002) all’epoca dell’esecuzione del rilascio della parte di immobile in uso alla attrice (30 maggio 2000) e della parte in uso alla famiglia e al fratello (15 febbraio 2001) dove la stessa attrice era stata ospitata successivamente;
– la concessione da parte dell’ufficiale giudiziario di tempi per rimuovere i beni presenti negli immobili suddetti, e nella parte di immobile del fallimento della T. A. sas e del socio accomandatario B. (ottobre 1999) previa redazione di inventali; tempi non rispettati dai B.;
– l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione e del giudice fallimentare all’A. (nel frattempo divenuta proprietaria) a trasportare (fatto avvenuto nel luglio 2002) i beni non ritirati dai B. in un deposito;
– lo stato di sequestro penale di tali beni sino al 10 agosto 2002, per effetto del provvedimento emesso nell’ambito di un processo penale nei confronti degli amministratori dell’A., poi assolti, per essere stato il trasporto autorizzato dai giudici.
Nella parte centrale della motivazione, la Corte ha messo in evidenza:
– la genericità della domanda di danni, riferita alla sottrazione di tutti i beni mobili contenuti nelle parti dell’immobile in argomento, senza specificazione di quali la B. era proprietaria, nonostante i provvedimenti dei giudici facessero riferimento anche a beni del fallimento Trade e del fratello;
– la mancanza di prova in ordine a quali beni, facenti parte degli inventari redatti al momento del rilascio, mancavano al momento del dissequestro, a suo favore, dei beni portati dall’A. nel deposito;
– la mancata prova di quali beni, facenti parte degli inventari, erano ancora presenti quando l’A., a distanza di molto tempo, divenne proprietaria dell’immobile;
– la mancanza di un titolo di responsabilità in capo all’A.. Infine, dopo aver riconosciuto che la consulenza era stata disposta, nel giudizio di primo grado, in supplenza alla carenza probatoria dell’attrice, ha messo in risalto le conclusioni della stessa, nel senso della impossibilità di individuare i beni mancanti tra quelli facenti parte degli inventari.
3. Con l’unico motivo di ricorso – nella rubrica – si deduce erronea, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.
Nella parte esplicativa dello stesso motivo si articolano tre profili di censura.
3.1. I primo profilo concerne la produzione documentale, dichiarata inammissibile in appello, anche in riferimento alla ritenuta tardività della produzione di parte della documentazione in primo grado; profilo che è ripreso nella parte finale del secondo profilo, rispetto alle prove testimoniali. Concerne, inoltre, documenti prodotti con il ricorso per cassazione, della cui inammissibilità si è detto.
La parte esplicativa si limita a ribadire che di quella documentazione – spesso richiamata genericamente – l’attrice era venuta in possesso in tempi successivi e diversi e che si tratta di prove utili e necessarie ai fini della decisione; peraltro, senza che la censura sia diretta partitamente alla decisione che concerne i mezzi istruttori in primo grado e in appello.
3.1.1. Il profilo, generico e formulato senza il rispetto dell’art. 366 c.p.c., n. 6, applicabile ratione temporis, è pure inammissibile per la ragione che pretese violazioni processuali sono denunciate come vizio di motivazione. Vizi, quindi, che si sarebbero dovuto far valere attraverso motivi di ricorso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4. Infatti, la questione processuale può porsi in riferimento: ad un’erronea interpretazione della norma processuale in astratto; alla sua omessa applicazione alla vicenda processuale cui doveva essere applicata; alla erronea sussunzione di un fatto processuale sotto di essa pur esattamente interpretata in astratto; ad una ricostruzione del fatto processuale erronea e, quindi, al conseguente errore di sussunzione di esso sotto la norma processuale. Ma, ognuna di queste ipotesi non è riconducibile all’art. 360 c.p.c., n. 5, perchè questo attiene alla ricostruzione della c.d. quaestio facti e perchè la Corte di cassazione è giudice del fatto processuale nella sua interezza e non con le limitazioni indicate nel n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. (in motivazione, Cass. 23 febbraio 2009, n. 4329).
D’altra parte, la giurisprudenza di legittimità è consolidata nell’escludere un autonomo rilievo all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 in riferimento alla violazione della giurisdizione e, quindi, di una norma del procedimento (da ultimo Cass. 20 novembre 2007, n. 24009) e si è più volte pronunciata univocamente nel senso di escludere la deducibilità della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. come vizio di motivazione (Cass. 17 gennaio 2003, n. 604).
3.2. Il secondo profilo riguarda il rigetto della domanda di danni.
3.2.1. Preliminarmente, va precisato che sono del tutto irrilevanti le censure mosse alla consulenza tecnica espletata in primo grado.
Infatti, le conclusioni cui è pervenuto il consulente non sono state determinanti al fine della decisione della corte di merito. Ad esse si fa riferimento solo per trovare conferma del fatto che non si è arrivati a determinare quali erano i beni sottratti e, soprattutto, dopo aver preliminarmente riconosciuto che la consulenza era stata disposta in primo grado in supplenza dell’onere probatorio gravante sull’attrice.
3.2.2. Inoltre, sono inammissibili le censure relative alle argomentazioni giuridiche della sentenza in riferimento all’obbligo della custodia in capo al proprietario dell’immobile.
Costituisce principio consolidato quello secondo cui Il vizio di motivazione denunciabile come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, può concernere esclusivamente l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, non anche l’interpretazione e l’applicazione delle norme giuridiche. (Sez. Un. 10 gennaio 2003, n. 261). Infatti, ove il giudice del merito abbia correttamente deciso le questioni di diritto sottoposte al suo esame, sia pure senza fornire alcuna motivazione, o fornendo una motivazione inadeguata, illogica o contraddittoria, la Corte di legittimità, ben può, nell’esercizio de potere correttivo attribuitole dall’art. 384 c.p.c., comma 2, sostituire, integrare o emendare la motivazione della sentenza impugnata.
3.2.3. Per il resto, il motivo – con l’obiettivo di ritenere provata l’individuazione dei beni sottratti, la proprietà in capo alla attrice e l’obbligo di custodia dell’A. – si snoda attraverso: a) dati di fatto nuovi rispetto alla sentenza impugnata (trasporto dei mobili anche presso la casa della sorella dell’amministratore dell’A.; accessi del 2 agosto 2002, quando i beni del deposito erano sequestrati, e dell’ottobre 2002); b) il richiamo generico di atti del processo penale, di atti di Polizia Giudiziaria, senza l’indicazione relativa alla loro presenza nel fascicolo (art. 366 c.p.c., n. 6); senza che il richiamo (quando esiste) al fascicolo si accompagni alla specificazione se si tratta o meno di documenti ritualmente ammessi (in alcuni casi risulta evidente il richiamo a documenti non ammessi, vedi pag. 21, it doc. 3, verbale di rilascio del 13 luglio 2000, espressamente escluso dalla Corte di merito).
In particolare, quanto alla mancata individuazione, da parte dell’attrice, dei beni che sarebbero stati sottratti, ritenuta dal giudice di merito, la ricorrente sostiene che i beni sottratti sarebbero quelli individuati dalla Polizia giudiziaria, ma non specifica in quali documenti e se rientranti tra quelli ammessi (pag.
17).
3.2.3.1. In presenza dei suddetti motivi generici di doglianza, resta non efficacemente censurata l’argomentazione della sentenza impugnata secondo la quale, all’esito dell’istruttoria, non sarebbero determinati i beni per la cui sparizione si chiede il danno.
La mancata caducazione di tale statuizione, logicamente preliminare, assorbe ogni censura – peraltro generica e per certi versi inesistente sotto il profilo motivazionale – relativa all’accertamento del se di tali beni fosse proprietaria l’attrice, il fratello o facessero parte del fallimento della società Trade; del se l’A. aveva o meno un obbligo di custodia.
Consegue il rigetto del profilo in argomento.
3.3. Il profilo di censura concernente la statuizione della sentenza relativa all’azione revocatoria, resta preliminarmente assorbito dal mancato accertamento del credito presupposto, conseguente alle suddette pronunce di inammissibilità e rigetto dei primi due profili esaminati.
4. In conclusione, il ricorso deve rigettarsi. Le spese seguono la soccombenza in favore dei controricorrenti, che si sono difesi congiuntamente.
Non avendo l’A. srl svolto attività difensiva, non sussistono le condizioni per la pronuncia in ordine alle spese processuali.
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e condanna B.d.R.O.A. a pagamento, in favore dei controricorrenti, per la congiunta difesa, delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 12.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 25 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2012

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