Cass. civ. Sez. III, Sent., 03-08-2012, n. 13951

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Svolgimento del processo
.1 – Con sentenza in data 22 giugno 2004 il Tribunale di Roma accolse l’opposizione proposta da C.G. al decreto ingiuntivo per L. 23.400.000 intimatole da C. C. C. S.r.l. a titolo di penale per il parziale inadempimento del contratto di somministrazione inter partes e, ridotta la penale, condannò l’opposta a restituire Euro 13.587,21, pari alla differenza tra la somma versata dall’ingiunta a seguito della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo e la minor somma da essa dovuta.
.2 – Con sentenza in data 7 novembre – 4 dicembre 2008 la Corte d’Appello di Roma respinse l’appello della società soccombente.
La Corte territoriale osservò per quanto interessa: l’eccezione di nullità della sentenza era infondata, non essendovi dubbi sulla revoca del provvedimento monitorio; l’abusivo riempimento del contratto risultava provato; difettava l’interesse dell’appellante a rilevare l’incoerenza della sentenza di primo grado in ordine alla riduzione della clausola penale; la domanda di restituzione delle somme versate era ammissibile.
.3 – Avverso la suddetta sentenza C. C. C. S.r.l. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.
La C. ha resistito con controricorso e presentato brevi osservazioni sulle conclusioni del pubblico ministero.
Motivi della decisione
.1 Al ricorso è applicabile – ratione temporis – la normativa introdotta dal D.Lgs. 15 febbraio 2006, n. 40, recante modifiche al codice di procedura civile in materia di ricorso per cassazione.
Secondo l’art. 366-bis c.p.c. – introdotto dall’art. 6 del decreto suddetto – i motivi di ricorso debbono essere formulati, a pena di inammissibilità, nel modo lì descritto e, in particolare, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., nn. 1), 2), 3) e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. .2 – Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che, per ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360, per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.
Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella del 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e "virtuoso" nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico- giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.
In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.
Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).
.3.1 – Il primo motivo denuncia violazione di norme di diritto ed errata motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., commi 3, 4 e 5 in relazione all’art. 653 c.p.c. Sostanzialmente viene riproposto il primo motivo di appello con il quale era stata denunciata la nullità della sentenza di primo grado per omessa revoca, stante l’accoglimento dell’opposizione, del decreto ingiuntivo opposto. Ci si duole eh la Corte d’Appello abbia affermato, disattendendo l’art. 653 c.p.c., comma 2, che non sussistevano dubbi sulla revoca, sia pure implicita, del provvedimento monitorio.
.3.2 – La censura non coglie nel segno. Premesso che oggetto di esame da parte della Corte è soltanto la sentenza di secondo grado, è agevole rilevare che, ove fosse stata sussistente l’addotta nullità della sentenza del Tribunale, la Corte d’Appello, non ricorrendo alcuna delle ipotesi che a norma degli artt. 353 e 354 c.p.c. – impongono la rimessione della causa in primo grado, avrebbe comunque dovuto decidere nel merito.
In concreto la Corte territoriale ha interpretato la sentenza di primo grado ritenendo implicita la revoca del decreto ingiuntivo. Il quesito finale prescinde dalla menzionata situazione concreta e, quindi, pecca di astrattezza.
.4.1 – Il secondo motivo adduce violazione di norme di diritto ed errata e insufficiente motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., commi 3 e 5 in relazione all’art. 2722 c.c..
Il tema trattato è la ritenuta dalla sentenza impugnata ammissibilità della prova testimoniale esperita in primo grado.
.4.2 – Giova premettere che, come ricordato nelle osservazioni sulle conclusioni del pubblico ministero ex art. 379 c.p.c., u.c. e riferito a pag. 4 del controricorso, la C. fin dall’atto di opposizione al decreto ingiuntivo intimatole aveva proposto querela di falso adducendo la contraffazione a mezzo abusivo riempimento del contratto senza autorizzazione delle clausole.
La Corte territoriale ha deciso in conformità dell’orientamento espresso da questa stessa Sezione (Cass. Sez. 3, n. 5245 del 2006), secondo cui l’art. 2722 c.c., nel vietare la prova per testimoni avente ad oggetto patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, si riferisce alla contrarietà (anteriore o contemporanea) tra ciò che si sostiene essere stato pattuito e ciò che risulta documentato. Esso, pertanto, non è applicabile al patto di riempimento del foglio firmato in bianco, poichè in tal caso il documento non contiene per definizione alcuna dichiarazione al momento della conclusione del patto, sicchè è ontologicamente esclusa la stessa possibilità di un contrasto tra quanto pattuito e quanto risulta dal documento, il quale, al momento della pattuizione, reca null’altro che un’insignificante sottoscrizione, destinata a conferire rilievo ad una dichiarazione che ancora non esiste, e che proprio l’attuazione (conforme o meno al mandato) del patto farà venire in essere, in una fattispecie a formazione progressiva.
Il quesito finale pecca di astrattezza e manca il momento di sintesi relativo al vizio di motivazione.
.5.1 – Il terzo motivo lamenta violazione di norme di diritto ed errata motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., commi 3 e 5 in relazione all’art. 1362 c.c..
La censura attiene all’asserita omessa considerazione di alcuni elementi probatori con riferimento alla ritenuta prova dell’abusivo riempimento delle clausole lasciate in bianco.
.5.2 – Questa doglianza implica necessariamente esame degli atti e apprezzamenti di fatto, attività inibite in sede di legittimità.
Il quesito finale pecca di assoluta genericità e astrattezza e manca il momento di sintesi prescritto dall’art. 366-bis con riferimento al vizio di motivazione.
.6.1 – Il quarto motivo denuncia violazione di norme di diritto, errata e omessa motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., commi 3 e 5 in relazione all’art. 1384 c.c.. Parte ricorrente si duole della statuizione della Corte d’Appello che ha ritenuto inammissibile la doglianza relativa all’eccessiva riduzione della penale con l’asseritamente errata motivazione che la ricorrente non aveva eccepito
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 25 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2012

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