Cass. civ. Sez. III, Sent., 03-08-2012, n. 13950

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Svolgimento del processo
.1 – Con sentenza in data 10 – 24 settembre 2003 il Tribunale di Palermo, accogliendo la domanda proposta da B.G., dichiarò risolti i contratti di edizione stipulati tra costui e la A. L. E. S.r.l. (successivamente Fallimento D.I.E. S.r.l.) – G. M. e M. E. S.p.A. in data 28 maggio 1992 e 3 maggio 1993 e condannò le società convenute al pagamento di Euro 20.658,27 a titolo di risarcimento danni.
.2 – Con sentenza in data 25 maggio 2007 – 18 novembre 2008 la Corte d’Appello di Palermo, in parziale accoglimento del gravame della M., ridusse ad Euro 15.000,00 la somma dovuta dalle predette società al B..
La Corte territoriale osservò per quanto interessa: l’eccezione di difetto di titolarità passiva del rapporto controverso era stata inammissibilmente sollevata dalla M. in appello (art. 345 c.p.c.) ed era, comunque, infondata; il contratto di edizione tra B. e la M. aveva per oggetto la creazione e la consegna all’editore di un saggio di architettura con il corrispondente diritto dell’editore all’utilizzazione dell’opera e di quello dell’autore al compenso proporzionato al numero di copie vendute; la mancata indicazione dei numero minimo di esemplari per ogni edizione, prescritta dall’art. 122 L. n. 633 del 1941, comportava la nullità del contratto; la M. non aveva ottemperato all’obbligo di rendiconto per ogni edizione; l’editore non ha il potere di sindacare la bontà e il valore intrinseci dell’opera, ma solo la sua rispondenza alla finalità del contratto;
la svendita sottoprezzo, ove l’opera non abbia trovato smercio, è consentita solo dopo l’interpello dell’autore; la casa editrice era risultata inadempiente ai propri obblighi.
.3 – Avverso la suddetta sentenza la M. E. S.p.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, illustrati con successiva memoria. Il B. ha resistito con controricorso, mentre il Fallimento D.I.E. S.r.l. non ha espletato attività difensiva.
Motivi della decisione
.1 – Al ricorso è applicabile – ratione temporis – la normativa introdotta dal D.Lgs. 15 febbraio 2006, n. 40, recante modifiche al codice di procedura civile in materia di ricorso per cassazione.
Secondo l’art. 366-bis c.p.c. – introdotto dall’art. 6 del decreto suddetto – i motivi di ricorso debbono essere formulati, a pena di inammissibilità, nel modo lì descritto e, in particolare, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., nn. 1), 2), 3) e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.
.2 – Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per, ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360, per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.
Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella del 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e "virtuoso" nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico- giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.
In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.
Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).
.3.1 – Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., comma 2 e dell’art. 81 c.p.c. Si assume che la M. E. S.p.A. aveva scelto di rimanere contumace in primo grado poichè nell’atto di citazione vi erano riferimenti solo nei confronti della A. L. E. S.r.l. tanto che lo stesso Tribunale aveva omesso qualsiasi riferimento alla M. e aveva poi provveduto alla illegittima correzione della sentenza. Aggiunge che in appello si era lamentata non già della propria titolarità passiva del rapporto dedotto ma della vera e propria legitimatio ad causam.
.3.2 – La censura rende indispensabile l’esame degli atti e l’interpretazione dell’atto di citazione di primo grado e dell’atto di appello.
Dalla lettura della sentenza impugnata si rileva che l’attuale ricorrente, come appunto rilevato dalla Corte territoriale, aveva posto in discussione la propria titolarità passiva del rapporto e non la titolarità del potere – dovere di subire il giudizio in ordine al rapporto sostanziale controverso.
Giova ribadire, al riguardo (Cass. Sez. 3, n. 2091 del 2012) che al giudice è consentito accertare d’ufficio la sussistenza, in capo alle parti, del potere di promuovere il giudizio o di resistervi, ossia la "legitimatio ad causam" attiva e passiva, ma non di rilevare d’ufficio l’effettiva titolarità dell’obbligazione dedotta in giudizio.
Inoltre la ricorrente non considera che la Corte d’Appello, pur ritenendo inammissibile l’eccezione, l’ha poi in concreto esaminata e rigettata (vedi pag. 5).
Infine, il quesito finale chiede una verifica della negata correttezza della statuizione impugnata anzichè postulare l’enunciazione di un principio fondato sulle norme indicate, decisivo per la controversia ma di applicabilità generalizzata.
.4.1 – Il secondo motivo adduce violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. sul rilievo che il B. non aveva mai posto a fondamento della responsabilità della M. E. la circostanza (stretta dipendenza dal Gruppo M. E.di A.L.E.) affermata dalla sentenza impugnata in violazione del dovere di decidere iuxta alligata e probata.
.4.2 – Il B. ribatte di avere sempre asserito che le due società editrici sono giuridicamente ed economicamente collegate tra loro, come provato, fra l’altro, da un versamento effettuato dalla M. a favore della ALE. La Corte d’Appello ha spiegato di ritenere provata la stretta dipendenza dal G. M. e dalla M. E. S.p.A. dalla corrispondenza intercorsa con la A. L. S.r.l. e dalla identità delle rispettive sedi.
Anche questo motivo si conclude con un quesito che chiede una valutazione anzichè postulare l’enunciazione di un principio.
.5.1 – Il terzo motivo adduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2359 c.c. e del principio di diritto secondo cui il collegamento economico fra le società del medesimo gruppo non comporta il venir meno dell’autonomia delle singole società, dotate di distinta personalità giuridica.
.5.2 – La censura, nei termini sopra prospettati, si appalesa nuova, in quanto non risulta dal testo della sentenza impugnata e la ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non ha indicato in quale proprio atto l’abbia sollevata e non ne ha riferito il testo in modo da consentire alla Corte, che non ha accesso diretto agli atti, di compiere le necessarie verifiche e valutazioni.
Peraltro dal testo della sentenza impugnata si inferisce la sussistenza di un rapporto diretto tra il B. e la M. E. S.p.A. Il quesito finale presenta le medesime caratteristiche negative evidenziate a proposito dei precedenti.
.6.1 – Il quarto motivo prospetta motivazione contraddittoria circa l’affermazione di responsabilità in capo alla M. E., quale soggetto giuridico distinto da A.L.E. per l’inadempimento di quest’ultima.
.6.2 – A dimostrazione della infondatezza della censura valgono le considerazioni precedenti.
Il motivo in esame non è assistito dal momento di sintesi imposto dall’art. 366-bis c.p.c..
.7 – Pertanto il ricorso è rigettato. Le spese del giudizio di cassazione seguono il criterio della soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 25 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2012

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