Cass. civ. Sez. III, Sent., 03-08-2012, n. 13945

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Svolgimento del processo

1.- Con la decisione ora impugnata, pubblicata il 31 dicembre 2005, la Corte d’Appello di Cagliari ha accolto l’appello proposto da M.G.G. nei confronti di C.G., avverso la sentenza del Tribunale di Cagliari del 10 novembre 2003.

Il Tribunale era stato adito con atto di citazione del 1 febbraio 2000, col quale C.G. aveva intimato a M.G. sfratto per morosità e contestualmente lo aveva convenuto per la convalida, deducendo che deteneva l’immobile ad uso garage meglio specificato in atto, sulla base di un contratto verbale di locazione concluso il 1 luglio 1992, ma che non pagava i canoni dal 1 luglio 1993.

Nel giudizio di primo grado si era costituito il convenuto ed aveva contestato la domanda, deducendo, in particolare, che non era stato stipulato alcun contratto di locazione.

1.2.- Il Tribunale decideva nei seguenti termini: "1. accerta che il contratto con il quale C.G. ha concesso a M. G. l’utilizzo del garage sito in (OMISSIS) …omissis… ha natura di comodato precario;

2. dichiara cessato il contratto alla data del 1 febbraio 2000 per recesso del comodante;

3. condanna il convenuto all’immediato rilascio dell’immobile a favore dell”attore;

4. condanna il convenuto al pagamento delle spese di giudizio…omissis…".

2.- Proposto appello da parte del M. e costituitosi il C., la Corte d’Appello di Cagliari ha accolto il gravame; ha dichiarato la nullità della sentenza di primo grado, per avere il primo giudice deciso ultra petita; quindi, pronunciando sulle domande formulate in primo grado dal C., ha rigettato la domanda di risoluzione e quelle di condanna del M. al pagamento della somma richiesta a titolo di canoni di locazione e di condanna al rilascio dell’immobile; ha compensato le spese del primo grado e condannato l’appellato al pagamento delle spese del secondo grado.

3.- Avverso la sentenza della Corte d’Appello, C.G. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Resiste con controricorso M.G.G., che, a sua volta, propone ricorso incidentale, affidato ad un motivo, articolato in duplice censura.

Il C. ha notificato controricorso a ricorso incidentale.

Il Collegio ha raccomandato la motivazione semplificata.

Motivi della decisione

Preliminarmente i ricorsi, principale ed incidentale, vanno riuniti.

1.- Col primo motivo del ricorso principale si denuncia violazione e/o errata applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., al fine di censurare la dichiarazione di nullità della sentenza di primo grado, che la Corte d’Appello ha ritenuto perchè, secondo il giudice di secondo grado, il Tribunale avrebbe "inammissibilmente sostituito la domanda di risoluzione del contratto di locazione con quella di cessazione di un contratto di comodato mai proposta, violando il principio della corrispondenza tra domanda e pronuncia", in quanto "non può fondatamente sostenersi che si tratti di una semplice qualificazione giuridica della domanda proposta dal C. perchè le due azioni hanno presupposti diversi sia in ordine al petitum che alla causa petendi".

Sostiene il ricorrente che dette affermazioni sarebbero contrarie all’interpretazione che la Corte di Cassazione da dell’art. 112 cod. proc. civ., in base alla quale questa norma non sarebbe ostativa a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, nonchè in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi, ed, in genere, all’applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall’istante.

La conseguenza, nel caso di specie, sarebbe che il Tribunale, avendo rilevato che il convenuto deteneva il garage col consenso del proprietario ed avendo rilevato la mancanza di prova di un contratto di locazione e l’impossibilità di configurare un diritto reale di godimento in mancanza di forma scritta, avrebbe dato ai fatti una ricostruzione diversa da quella prospettata dalle parti ed avrebbe correttamente qualificato gli stessi come costitutivi di un comodato gratuito senza termine di durata, applicando la norma dell’art. 1810 cod. civ. "tenuto conto del contenuto sostanziale della pretesa desumibile dalla situazione dedotta in giudizio". Pertanto, il Tribunale non avrebbe mutato nè il bene della vita richiesto – rilascio del bene conseguente allo scioglimento del vincolo contrattuale (petitum); nè i fatti posti a base della domanda – detenzione dell’immobile da parte del convenuto e volontà dell’attore di farla cessare (causa petendi); invece, avrebbe dato una diversa interpretazione e qualificazione giuridica del fatto posto a base della domanda di risoluzione del contratto, senza farne derivare conseguenze diverse dall’originaria pretesa, quindi senza violare il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato. Il ricorrente richiama, a riscontro del proprio ragionamento, il precedente costituito da Cass. 18 aprile 2006 n. 8932.

1.2.- Col secondo motivo del ricorso principale, con cui è denunciata insufficiente motivazione circa un fatto controverso, viene sostanzialmente riproposta la censura di cui sopra, con riguardo al vizio di motivazione. I motivi non sono meritevoli di accoglimento.

2.- Avuto riguardo alle censure poste con i motivi di ricorso, alle ragioni della decisione di primo grado ed alla dichiarazione di nullità di questa, effettuata in secondo grado, va fatta applicazione del principio per il quale il vizio di ultrapetizione ricorre quando il giudice del merito, interferendo nel potere dispositivo delle parti ed alterando gli elementi obiettivi dell’azione (causa petendi e petitum), sostituisca i fatti costitutivi della pretesa, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (petitum immediato), attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (petitum mediato) oppure rilevi d’ufficio un’eccezione che essendo diretta ad invalidare l’avversa pretesa può essere proposta soltanto dalla parte interessata. Tale vizio, pertanto, non ricorre quando il giudice di merito nell’esercizio del suo potere di interpretare l’atto di citazione dia alla domanda una qualificazione giuridica diversa prima facie attribuibile in base al tenore di alcune espressioni adoperate nell’atto introduttivo del processo (così Cass. n. 6476/97, nonchè, di recente cfr. Cass. n. 455/11).

3.- Orbene, nel caso di specie, risulta dagli atti e non è contestato che C.G. esperì un’intimazione di sfratto per morosità, ai sensi dell’art. 658 cod. proc. civ., fondata sulla esistenza di un contratto di locazione e sul preteso inadempimento da parte del conduttore, M.G., in mora nel pagamento dei canoni; che, quindi, costituitosi l’intimato ed opposte eccezioni, il giudice negò il provvedimento di rilascio e dispose il mutamento del rito, ai sensi dell’art. 667 cod. proc. civ.; che allora l’attore richiese che, previo accertamento dell’esistenza del contratto di locazione, ne fosse dichiarata la risoluzione per grave inadempimento del conduttore, con condanna di questi al pagamento dei canoni scaduti ed a scadere ed al rilascio dell’immobile.

Risulta altresì, e non è contestato, che il convenuto, dopo il mutamento del rito, chiese che fosse accertata e dichiarata l’inesistenza del contratto di locazione, con conseguente rigetto della domanda dell’attore.

3.1.- Il giudice di primo grado ha ritenuto che non fosse stato stipulato tra le parti un contratto di locazione; quindi, ha qualificato il rapporto come fondato su un contratto di comodato senza termine di durata ed ha perciò reputato sussistente il diritto di recesso ad nutum del concedente ai sensi dell’art. 1810 cod. civ.;

da ciò ha fatto conseguire l’affermazione dell’obbligo restitutorio in capo al comodatario e la sua condanna al rilascio dell’immobile, considerando come venuto meno il titolo della detenzione con la notificazione dell’atto di citazione; nel presupposto dell’esistenza di un contratto di comodato, ha respinto le domande di risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore e di condanna al pagamento di somme a titolo di canoni di locazione.

4.- Nello statuire nel senso appena detto, il Tribunale ha correttamente operato fintantochè, avuto riguardo alle domande proposte dall’attore, ha escluso che sussistesse un contratto di locazione e ne ha rigettato le pretese di risoluzione per inadempimento e di condanna al pagamento dei canoni. Inoltre, non ha violato il disposto dell’art. 112 cod. proc. civ. quando ha diversamente qualificato il contratto intercorso tra le parti come di comodato immobiliare senza determinazione di durata: tuttavia, avrebbe dovuto limitare lo scopo di tale diversa qualificazione al rigetto della domanda attrice; in particolare, il diniego della sussistenza di un contratto di locazione ben avrebbe potuto essere fondato (anche) sul fatto che l’unico contratto configurabile tra le parti – secondo quel giudicante – dovesse invece essere qualificato come di comodato.

La pronuncia è risultata invece viziata per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. laddove ha sostituito alla causa petendi della domanda di rilascio dell’immobile, che l’attore aveva fondato sulla risoluzione del contratto di locazione (alla quale la condanna al rilascio sarebbe stata consequenziale), la diversa causa petendi del recesso del concedente dal contratto di comodato, e quindi la richiesta di restituzione dell’immobile ex art. 1810 cod. civ., che l’attore non aveva mai formulato.

Così decidendo, il giudicante, non si è limitato a dare al contratto una diversa qualificazione giuridica, ma ha accordato all’attore il rilascio del bene immobile in contestazione sulla base di fatti costitutivi (causa petendi) della pretesa di rilascio che l’attore non aveva mai dedotto in giudizio. Pertanto, se è vero che, così come dedotto dal ricorrente, non risulta modificato il petitum, nè immediato nè mediato, essendo stato ordinato il rilascio del bene immobile in contestazione, è pur indubitabile che la condanna al rilascio sia stata fondata su fatti costitutivi (richiesta di restituzione del bene oggetto di comodato senza determinazione di termine) diversi da quelli dedotti a fondamento della relativa domanda (risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore all’obbligazione di pagamento dei canoni e conseguente condanna al rilascio).

E’ perciò corretta la sentenza impugnata, laddove ha posto a fondamento della dichiarazione di nullità della prima pronuncia l’inammissibile sostituzione della domanda di risoluzione del contratto di locazione con quella di cessazione di un contratto di comodato mai proposta.

3.2.- Scorretto è, invece, il richiamo che la sentenza di primo grado risulta aver fatto al precedente di questa Corte del 5 marzo 1986 n. 1415, così come non pertinente è il richiamo che è fatto in ricorso all’altro precedente di questa Corte del 18 aprile 2006 n. 8932.

Infatti, sia nell’uno che nell’altro, la questione era diversa da quella oggetto del presente giudizio: essa riguardava i limiti dell’attività interpretativa della domanda e dell’individuazione della sua ampiezza e del suo contenuto, integrante un tipico accertamento di fatto riservato al giudice del merito (cfr., tra le tante, Cass. n. 6066/01, n. 21208/05). Nel primo dei citati precedenti, la Corte ha affermato che il giudice, nel valutare la portata delle richieste e delle conclusioni formulate dalle parti, deve considerare il loro contenuto in relazione alle premesse in fatto, ai motivi esposti ed al fine in concreto perseguito, con la conseguenza che – ancorchè reputi una qualificazione diversa da quella prospettata – deve accogliere la domanda quando dall’esame dei fatti costitutivi e delle ragioni esposte emerga la fondatezza della pretesa; per come emerge dalla motivazione della seconda pronuncia, nel secondo ha fatto applicazione dello stesso principio laddove ha ritenuto che la Corte territoriale avesse interpretato la condotta processuale delle parti in modo che la domanda di rilascio era risultata fondata (anche) sulla qualificazione del rapporto come di detenzione non titolata (e non soltanto come di locazione). Ne segue che sia nell’uno che nell’altro caso si è esclusa la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. perchè si è accertato che il giudice di merito, nell’interpretare la domanda, ne avesse individuato la causa petendi in termini tali da poter porre a fondamento dell’accoglimento della pretesa dell’attore proprio i fatti costitutivi dallo stesso dedotti, pur se diversamente qualificati.

Nel caso di specie, al contrario, il giudice di primo grado ha posto a fondamento dell’accoglimento della domanda di rilascio fatti costitutivi diversi da quelli dedotti; tanto è vero che non si è posta la questione dell’interpretazione della domanda introduttiva e dell’individuazione dei limiti e del contenuto della stessa, ma quella della pronuncia su una domanda mai proposta.

4.- In conclusione, va ribadito il principio di diritto per il quale il giudice ha il potere – dovere di qualificare giuridicamente l’azione e di attribuire al rapporto dedotto in giudizio un nomen juris diverso da quello indicato dalle parti, purchè non sostituisca la domanda proposta con una diversa, modificandone i fatti costitutivi o fondandosi su una realtà fattuale non dedotta nè allegata in giudizio tra le parti (cfr. Cass. n. 15925/07, nonchè già Cass. n. 10316/02, n. 17610/04, n. 10922/05, n. 8519/06);

pertanto, incorre nel vizio di ultrapetizione la decisione che, in presenza di una domanda di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore e di conseguente condanna di questi al rilascio dell’immobile locato, accolga la domanda di rilascio ritenendo stipulato tra le parti un contratto di comodato senza determinazione di durata, poichè pone a fondamento della decisione un fatto estraneo alla materia del contendere, quale è la richiesta di restituzione del bene dato in comodato, ai sensi dell’art. 1810 cod. civ., introducendo nel processo un titolo (causa petendi) diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della sua domanda.

Il ricorso principale va perciò rigettato.

5.- Il ricorso incidentale è stato proposto soltanto per l’ipotesi in cui si fosse ritenuta errata la sentenza di secondo grado. Esso va qualificato come ricorso incidentale condizionato e, come tale, resta assorbito dal rigetto del ricorso principale.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale; dichiara assorbito l’incidentale condizionato. Condanna il ricorrente principale C.G. al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida, in favore del resistente M.G. G., nella somma complessiva di Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, il 25 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2012

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