Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 31-01-2013) 12-02-2013, n. 6815

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 24/6/2010, la Corte di appello di L’Aquila, in parziale riforma della sentenza del 17/3/2009 del Tribunale di Teramo, assolveva, tra l’altro, P.M.V. dal reato di lesioni aggravate di cui al capo 2) per non avere commesso il fatto, rideterminando la pena residua per il reato di cui al capo 1), qualificato il fatto come furto aggravato ai sensi degli artt. 110 e 624 c.p., art. 625 c.p., n. 4, concesse le attenuanti generiche ritenute equivalenti all’aggravante, in mesi otto di reclusione ed Euro 250,00 di multa; assolveva R.P.F.A. dal reato di cui al capo 1) – prima parte, per non avere commesso il fatto, rideterminando la pena per i residui reati di cui ai capi 1) seconda parte e 3) in anni uno, mesi tre di reclusione ed Euro 400,00 di multa.

1.1. La Corte territoriale respingeva le censure mosse con gli atti d’appello proposti dagli imputati ed in particolare quella relative alla violazione del diritto di difesa per l’acquisizione dei verbali di sommarie informazioni testimoniali e di individuazione fotografica di K.K. in assenza delle condizioni di legge nonchè quella relativa alla responsabilità degli imputati con esclusione dei reati sopra indicati, per i quali veniva pronunciata sentenza di assoluzione.

2. Avverso tale sentenza propongono ricorso gli imputati per mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, sollevando i seguenti motivi di gravame:

– R.P.F.A.;

2.1. violazione di legge e segnatamente dell’art. 512 c.p.p., in relazione all’acquisizione delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, la cui irreperibilità era prevedibile.

2.2. vizio di motivazione per travisamento del fatto in relazione alle dichiarazioni della persona offesa ed alla previsione che la responsabilità dell’imputato deve essere provata al di là di ogni ragionevole dubbio.

P.M.:

2.3. violazione di legge e segnatamente dell’art. 512 c.p.p., in relazione all’acquisizione delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, la cui irreperibilità era prevedibile.

2.4. violazione di legge per avere ritenuto, in relazione al reato di cui al capo 1), la circostanza aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 4 e non il furto semplice.

2.5. vizio di motivazione per travisamento del fatto in relazione alla valutazione delle dichiarazioni della persona offesa, alla circostanza che si trattava di merce illecitamente posseduta ed a quella che per il fatto non è stata presentata querela.

Motivi della decisione

3. I ricorsi devono essere entrambi rigettati, in quanto basati su motivi infondati.

3.1. Quanto al primo motivo, proposto da entrambi gli imputati, relativo alla presunta violazione del diritto di difesa in conseguenza dell’acquisizione nel corso del dibattimento delle dichiarazioni rese dalla persona offesa K.K., dalla lettura della sentenza impugnata emerge che i verbali contenenti le dichiarazioni rese dalla persona offesa alla polizia giudiziaria sono stati acquisiti nel contraddittorio e sull’accordo delle parti.

Ciò elide alla radice qualsiasi questione attinente alla asserita lettura dei suddetti atti nel corso del dibattimento, ai sensi dell’art. 512 c.p.p., per impossibilità di ripetizione delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari in conseguenza della successiva irreperibilità della persona offesa.

Difatti, in base all’art. 493 c.p.p., comma 3 le parti possono concordare l’acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero nonchè della documentazione relativa all’attività di investigazione difensiva. In tal senso questa Corte di legittimità ha affermato che gli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero ed acquisiti, sull’accordo delle parti, al fascicolo per il dibattimento, possono essere legittimamente utilizzati ai fini della decisione, non ostandovi neppure i divieti di lettura di cui all’art. 514 c.p.p., salvo che detti atti siano affetti da inutilizzabilità cosiddetta patologica, quale è solo quella derivante da una loro assunzione contra legem (sez. 3 n. 35372 del 23/5/2007, Rv. 237412); il che, nel caso di specie, di certo non è, e comunque nulla risulta eccepito sul punto nei motivi di ricorso.

3.2. Quanto al secondo motivo di ricorso proposto da R. P.F.A., trattasi della riproposizione della medesima questione già sollevata con i motivi di appello e rispetto alla quale la Corte territoriale ha reso esaustiva motivazione. Ed al riguardo deve rilevarsi che nel ricorso per cassazione contro la sentenza di appello non possono essere riproposte questioni che avevano formato oggetto dei motivi di appello sui quali la Corte si è già pronunciata in maniera esaustiva, senza errori logico – giuridici. Con particolare riferimento al giudizio di attendibilità della persona offesa, dalla lettura della sentenza della Corte territoriale non emergono, nella valutazione delle prove, evidenti illogicità, risultando, invece, l’esistenza di un logico apparato argomentativo sulla base del quale si è pervenuti alla conferma della sentenza di primo grado con riferimento alla responsabilità dell’imputato in ordine ai fatti ascrittigli.

3.3. In relazione al secondo motivo proposto da P.M., attinente alla ritenuta configurazione della circostanza aggravante della destrezza di cui all’art. 625 c.p., n. 4, dalla ricostruzione del fatto contenuta nella sentenza impugnata emergono con tutta evidenza gli elementi di fatto in forza dei quali la Corte territoriale ha ritenuto di ravvisare la circostanza aggravante in argomento in relazione ad una condotta, originariamente qualificata come rapina, ritenuta integrare il delitto di furto. Ed al riguardo questa Corte ha stabilito che, ai fini della configurabilità dell’aggravante della destrezza non è richiesto l’uso di una eccezionale abilità, essendo sufficiente che si approfitti di una qualunque situazione oggettiva e soggettiva favorevole ad eludere la normale vigilanza dell’uomo medio (sez. 5 n. 16276 del 16/3/2010, Rv.

247262). Nel caso di specie ciò risulta essere avvenuto, in quanto i correi hanno avvicinato la persona offesa, chiedendole prima di acquistare dei ed e poi si sono impossessati della borsa detenuta dalla stessa, dandosi, quindi, alla fuga a bordo di un ciclomotore.

3.4. Anche l’ultimo motivo di ricorso proposto dal P. risulta infondato, in quanto a nulla rileva la circostanza che gli oggetti sottratti non potessero essere detenuti legittimamente dalla persona offesa; ciò che rileva, ai fini dell’integrazione del delitto di furto è, da un punto di vista oggettivo, è la sottrazione della cosa mobile altrui e da un punto di vista soggettivo, il fine di trarne profitto; elementi di questi di certo ricorrenti nella fattispecie in esame, in quanto dall’impossessamento dei supporti magnetici illecitamente riprodotti poteva comunque derivare per l’agente una qualche utilità, anche di carattere economico. Attesa quindi la corretta qualificazione giuridica del fatto, così come operata dalla Corte d’Appello, con particolare riferimento all’aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 4, ne deriva l’infondatezza anche dell’eccezione di improcedibilità per mancanza della querela, essendo il reato perseguibile d’ufficio.

4. Al rigetto dei ricorsi consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2013

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