Cass. civ. Sez. III, Sent., 03-08-2012, n. 13935

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Svolgimento del processo
p.1. L’Avvocato P.A. ha proposto ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, contro il XXXX e nei confronti della Regione Campania e di D. G. avverso la sentenza del 16 marzo 2009, con la quale il Tribunale di Napoli ha dichiarato cessata la materia del contendere e compensato le spese sulla controversia di opposizione all’esecuzione ai sensi degli artt. 615, 617 e 619 c.p.c. introdotta dal detto istituto creditorio.
p.2. Al ricorso nessuno degli intimati ha resistito.
Motivi della decisione
p.1. Il Collegio rileva che la struttura del ricorso non rispetta il requisito di ammissibilità di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3, relativo alla esposizione sommaria dei fatti di causa.
Essa, infatti, si articola come segue:
a) nella prima pagina, dopo l’intestazione, recante l’indicazione delle parti e l’indicazione della sentenza impugnata, contiene l’indicazione "Fatto" seguita dall’enunciazione che "con atto di opposizione agli atti esecutivi ed all’esecuzione che qui di seguito si trascrive";
b) quindi riproduce in copia fotostatica un ricorso in opposizione indirizzato al Tribunale di Napoli dal San Paolo-XXXX s.p.a. per sette pagine, ivi compresa la sottoscrizione del difensore che lo redasse;
c) nell’ottava pagina enuncia, senz’altra precisazione, che "il XXXX proponeva opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi chiedendo" nelle due pagine successive riproduce nuovamente ed inspiegabilmente le ultime due pagine del predetto ricorso;
d) nella pagina undici, indicata come pagina tre, enuncia quanto segue: "si costituiva il ricorrente ed il sig. D.G. contestando la domanda nel merito e chiedendo il rigetto. In via preliminare si eccepiva la tardività della opposizione ex art. 617 c.p.c. per il decorso del termine perentorio di cui alla norma citata configurandosi la proposta opposizione quale contestazione afferente il quomodo executionis, confermandosi la qualità di creditore surrogante dell’Avv. P., legittimato ad agire in executivis in danno del Sanpaolo XXXX, per effetto delle regolare e valida surroga ex art. 1201 c.c., notificata unitamente all’atto d precetto. Il Tribunale, sulla contumacia della Regione Campania, pronunciava la impugnata sentenza con la quale veniva dichiarata cessata la materia del contendere con compensazione delle spese del giudizio".
p.1.1. Ora siffatta modalità di assolvimento del requisito dell’esposizione sommaria è assolutamente inidonea allo scopo.
Lo è: aa) sia perchè pretende di assolvervi riproducendo un atto del giudizio di merito e tra l’altro lo riproduce inspiegabilmente in parte una seconda volta, costringendo la Corte a procedere alla sua lettura al di là di quanto sarebbe necessario ai fini dello scrutinio del motivo di ricorso; bb) sia perchè la lettura delle scarne enunciazioni della pagina successiva a detta riproduzione non consente in alcun modo di comprendere pienamente il fatto processuale, atteso che omette di indicare pur sommariamente la ragione individuata dal Tribunale per motivare la cessazione della materia del contendere.
Sotto il primo aspetto si osserva che anche recentemente le Sezioni Unite di questa Corte hanno ribadito che "In tema di ricorso per cassazione, ai fini del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3, la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali è, per un verso, del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si è articolata; per altro verso, è inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non occorre sia informata), la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso". (Cass. sez. un. n. 5698 del 2012).
Nella specie è vero che l’atto riprodotto è solo uno, ma il resto della pretesa esposizione, presentandosi del tutto carente nel senso su indicato, pur valutato in combinazione con la riproduzione dell’unico atto risulta del tutto insufficiente a fornire l’esposizione del fatto in modo adeguato.
p.2. Il Collegio ritiene, inoltre, che, se si superasse la ragione di inammissibilità innanzi indicata, se ne dovrebbe rinvenire un’altra, in quanto il ricorso propone indicandoli espressamente come "motivi" la "Violazione e falsa applicazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 112, 615 e 617 c.p.c. e art. 1201 c.c.)", così sembrando proporre più motivi, ciascuno correlato ad una delle norme di cui denuncia la violazione, ma poi procede ad un’illustrazione promiscua, che viene conclusa dopo venticinque pagine con tre distinti quesiti, i quali non risultano in alcun modo raccordati con i motivi individuati in riferimento alle dette norme.
p.2.1. Ora, la giurisprudenza di questa Corte ha precisato che "La previsione di cui all’art. 366-bis cod. proc. civ., là dove esige che l’esposizione del motivo si debba concludere con il quesito di diritto, non significa che il quesito debba topograficamente essere inserito alla fine della esposizione di ciascun motivo, essendo consentita la elencazione finale o conclusiva di tutti i quesiti, purchè, in tal caso, ciascuno di essi sia espressamente riferito al motivo, con richiamo numerico od alla rubrica delle violazioni addotte, oppure il collegamento al motivo sia inequivocabilmente evidenziato dalla esistenza di un rapporto di pertinenza esclusiva, in modo tale che esso sia agevolmente individuabile, senza necessità di una particolare analisi critica" (Cass. (ord.) n. 5073 del 2008).
p.3. In via ulteriormente gradata i tre quesiti si presentano del tutto astratti e, come tali inidonei ad assolvere al requisito di cui all’art. 366-bis c.p.c..
Sono, infatti, del seguente tenore: "Dica la Corte se la censura circa l’operato dell’Ufficiale Giudiziario integra una opposizione agli atti esecutivi e se la stessa per come proposta dall’intimata Bando di Napoli sia tardiva e come tale inammissibile". "Dica la Corte se la dichiarazione di surroga sottoscritta dal creditore in data 18.09.2006, senza la relativa autentica, e notificata unitamente all’atto di precetto il 22.09.2006 sia valida ed efficace". "Dica la Corte se la dichiarazione di surroga sottoscritta dal creditore in data 18.09.2006, senza la relativa autentica, e notificata unitamente all’atto di precetto il 22.09.2006, consente al creditore surrogante di agire in via esecutiva per ottenere l’adempimento di quanto portato dal titolo esecutivo".
Tali quesiti sono inidonei ad assolvere il requisito di cui all’art. 366-bis c.p.c., perchè – in disparte la stessa loro difficile intelligibilità, sotto il profilo della prospettazione di un comprensibile interrogativo in ture – si risolvono in interrogativi del tutto astratti, cioè privi di riferimenti alla vicenda oggetto del giudizio di merito ed alla decisione qui impugnata.
p.3.1. Ora, l’art. 366-bis c.p.c., quando esigeva che il quesito di diritto dovesse concludere il motivo imponeva che la sua formulazione non si presentasse come la prospettazione di un interrogativo giuridico del tutto sganciato dalla vicenda oggetto del procedimento, bensì evidenziasse la sua pertinenza ad essa. Invero, se il quesito doveva concludere l’illustrazione del motivo ed il motivo si risolve in una critica alla decisione impugnata e, quindi, al modo in cui la vicenda dedotta in giudizio è stata decisa sul punto oggetto dell’impugnazione e criticato dal motivo, appare evidente che il quesito, per concludere l’illustrazione del motivo, doveva necessariamente contenere un riferimento riassuntivo ad esso e, quindi, al suo oggetto, cioè al punto della decisione impugnata da cui il motivo dissentiva, sì che ne risultasse evidenziato – ancorchè succintamente – perchè l’interrogativo giuridico astratto era giustificato in relazione alla controversia per come decisa dalla sentenza impugnata. Un quesito che non presenta questa contenuto è, pertanto, un non-quesito (si veda, in termini, fra le tante, Cass. sez. un. n. 26020 del 2008; nonchè n. 6420 del 2008).
E’ da avvertire che l’utilizzo del criterio del raggiungimento dello scopo per valutare se la formulazione del quesito sia idonea all’assolvimento della sua funzione appare perfettamente giustificata dalla soggezione di tale formulazione, costituente requisito di contenuto-forma del ricorso per cassazione, alla disciplina delle nullità e, quindi, alla regola dell’art. 156 c.p.c., comma 2, per cui all’assolvimento del requisito non poteva bastare la formulazione di un quesito quale che esso fosse, eventualmente anche privo di pertinenza con il motivo, ma occorreva una formulazione idonea sul piano funzionale, sul quale emergeva appunto il carattere della conclusività. Da tanto l’esigenza che il quesito rispettasse i criteri innanzi indicati.
Per altro verso, la previsione della necessità del quesito come contenuto del ricorso a pena di inammissibilità escludeva che si potesse utilizzare il criterio di cui all’art. 156 c.p.c., comma 3 posto che quando il legislatore qualifica una nullità di un certo atto come determinativa della sua inammissibilità deve ritenersi che abbia voluto escludere che il giudice possa apprezzare l’idoneità dell’atto al raggiungimento dello scopo sulla base di contenuti desunti aliunde rispetto all’atto: il che escludeva che il quesito potesse integrarsi con elementi desunti dal residuo contenuto del ricorso, atteso che l’inammissibilità era parametrata al quesito come parte dell’atto complesso rappresentante il ricorso, ivi compresa l’illustrazione del motivo (si veda, in termini, già Cass. (ord.) n. 16002 del 2007; (ord.) n. 15628 del 2009, a proposito del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6).
E’, altresì, da avvertire, che l’intervenuta abrogazione dell’art. 366-bis c.p.c. non può determinare – in presenza di una manifestazione di volontà del legislatore che ha mantenuto ultrattiva la norma per i ricorsi proposti dopo il 4 luglio 2009 contro provvedimenti pubblicati prima ed ha escluso la retroattività dell’abrogazione per i ricorsi proposti antecedentemente e non ancora decisi – l’adozione di un criterio interpretativo della stessa norma distinto da quello che la Corte di Cassazione, quale giudice della nomofilachia anche applicata al processo di cassazione, aveva ritenuto di adottare anche con numerosi arresti delle Sezioni Unite.
L’adozione di un criterio di lettura dei quesiti di diritto ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c. dopo il 4 luglio 2009 in senso diverso da quanto si era fatto dalla giurisprudenza della Corte anteriormente si risolverebbe, infatti, in una patente violazione dell’art. 12 preleggi, comma 1, posto che si tratterebbe di criterio contrario all’intenzione del legislatore, il quale, quando abroga una norma, tanto più processuale, e la lascia ultrattiva o comunque non assegna effetti retroattivi all’abrogazione, manifesta non solo una voluntas nel senso di preservare l’efficacia della norma per la fattispecie compiutesi anteriormente all’abrogazione e di assicurarne l’efficacia regolatrice rispetto a quelle per cui prevede l’ultrattività, ma anche una implicita voluntas che l’esegesi della norma abrogata continui a dispiegarsi nel senso in cui antecedentemente è stata compiuta. Per cui l’interprete e, quindi, anche la Corte di Cassazione ai sensi dell’art. 65 dell’Ordinamento Giudiziario, debbono conformarsi a tale doppia voluntas e ciò ancorchè, in ipotesi, l’eco dei lavori preparatori della legge abrogativa riveli che l’abrogazione possa essere stata motivata anche e proprio dall’esegesi che la norma sia stata data. Invero, anche l’adozione di un criterio esegetico che tenga conto della ragione in mente legislatoris dell’abrogazione impone di considerare che l’esclusione dell1 abrogazione in via retroattiva ed anzi la previsione di una certa ultrattività per determinate fattispecie sempre in mente legislatoris significhino voluntas di permanenza dell’esegesi affermatasi, perchè il contrario interesse non è stato ritenuto degno di tutela.
p.4. Sempre in via ancora gradata se si procedesse alla lettura della congiunta illustrazione dei motivi si dovrebbe rilevare che in essa si prescinde totalmente dalla motivazione con cui la sentenza impugnata ha dichiarato cessata la materia del contendere, sicchè essi si palesano inammissibili perchè il motivo di ricorso per cassazione, come qualsiasi motivo di impugnazione di una decisione, deve argomentare criticamente riguardo alla sua motivazione e, dunque, vi si deve riferire (in termini, ex multis, Cass. n. 359 del 2005, seguita da numerose conformi).
p.5. Il ricorso è, conclusivamente, dichiarato inammissibile.
Non è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 4 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2012

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