Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 31-01-2013) 12-02-2013, n. 6806

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 11/4/2011, la Corte d’Appello di Milano confermava la sentenza del Tribunale di Milano del 6/7/2010 con la quale R.A.L. era stato condannato alla pena di anni nove e mesi sei di reclusione ed Euro 5.300,00 di multa per i reati di cui all’art. 9 c.p., comma 3, art. 110 c.p., art. 112 c.p., n. 1, art. 628 c.p., comma 3, n. 1; b) art. 9 c.p., comma 3, art. 61 c.p., n. 2, artt. 81 cpv. e 110 c.p., art. 112 c.p., n. 1, L. n. 497 del 1974, artt. 10, 12 e 14, L. n. 110 del 1975, art. 23; c) art. 9, comma 3, art. 110 c.p., art. 112 c.p., n. 1, art. 648 c.p..

1.1. La Corte di Appello di Milano respingeva le censure mosse con l’atto d’appello in punto di responsabilità dell’imputato in ordine ai reati allo stesso ascritti ed in punto di trattamento sanzionatorio con riferimento alla mancata concessione delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza o di equivalenza sulle contestate aggravanti ed all’applicazione della pena nel minimo edittale con un minimo aumento per la continuazione.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato, a mezzo del proprio difensore di fiducia, sollevando i seguenti motivi di gravame:

2.1. violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione all’art. 111 Cost., art. 24 Cost., comma 2 e art. 27 Cost. e art. 512 c.p.p..

Eccepisce al riguardo che un’utenza telefonica ed il relativo traffico sono state attribuite all’attuale imputato sulla base delle sole dichiarazioni rese dal coimputato B., giudicato separatamente in Germania ed in relazione al quale il giudice di primo grado aveva revocato l’ordinanza di ammissione; ciò in violazione del principio del contraddittorio nella formazione della prova, principio che si assume violato anche in relazione all’acquisizione, ai sensi dell’art. 512 c.p.p., delle dichiarazioni rese da G.C., anch’egli coimputato e giudicato separatamente in Germania. Eccepisce a questo riguardo l’incostituzionalità dell’art. 512 c.p.p., nella parte in cui preve l’acquisizione ed utilizzabilità delle dichiarazioni rese dal chiamante in correità resosi irreperibile, in quanto in contrasto con i principi del contraddittorio nella formazione della prova e del giusto processo di cui all’artt. 111 Cost., art. 24 Cost., comma 2 e art. 27 Cost., comma 2.

2.2. erronea applicazione di legge nonchè vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e), in relazione agli artt. 238 bis, 187, 192 e 530 c.p.p., per l’inattendibilità intrinseca della chiamata in correità di G.C., che sarebbe anche priva di riscontri esterni individualizzanti.

2.3. erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione agli artt. 62 bis e 69 c.p., per non essere state concesse le attenuanti generiche con giudizio di prevalenza o di equivalenza rispetto alle contestate aggravanti.

2.4. erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione agli artt. 133 ed 81 c.p., per essere eccessiva la pena base e quella applicata in aumento per la continuazione.

Con motivi nuovi depositati in cancelleria il 30/8/2012, eccepiva ancora:

2.5. violazione dell’art. 62 c.p., art. 195 c.p., comma 4, art. 350 c.p.p., commi 5 e 6 in relazione all’inutilizzabilità delle dichiarazioni de relato del teste S.T. rese in dibattimento nella parte in cui riferisce quanto appreso dal coimputato B., giudicato separatamente in Germania.

2.6. Violazione dell’art. 64 c.p.p., in relazione all’inutilizzabilità dei verbali di interrogatorio etero accusatori resi dal coimputato G.C. nel procedimento celebratosi all’estero in mancanza degli avvertimento di cui all’art. 64 c.p.p., comma 3, acquisiti in dibattimento ai sensi dell’art. 512 c.p.p..

Motivi della decisione

3. Tutto ciò sopra posto, il ricorso merita parziale accoglimento non in ragione dei motivi addotti, ma in forza dei poteri conferiti a questa Corte dall’art. 609 c.p.p., comma 2 che impone di decidere sulle questione rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del procedimento. E segnatamente i reati di cui al capo b), con esclusione del porto dell’arma da guerra di cui alla L. n. 497 del 1974, art. 12, ed il reato di cui al capo c) sono estinti per essere decorso il termine massimo di prescrizione di cui all’art. 157 c.p., e ss.. Deve al riguardo preliminarmente evidenziarsi che nel caso di specie, pur essendo i reati stati commessi in epoca antecedente all’entrata in vigore della L. n. 251 del 2005, trova applicazione la suddetta nuova normativa, che prevede termini di prescrizione più brevi rispetto a quelli previsti dalle disposizioni previgenti;

difatti per il caso di specie non vale la disposizione transitoria di cui alla L. n. 251 del 2005, art. 10, comma 3, che esclude dall’applicazione delle nuove disposizioni, quando i termini di prescrizione risultano più brevi, tra l’altro, i processi pendenti all’entrata in vigore della suddetta legge, nella lettura che di detta norma è stata data dalle sezioni unite di questa Corte; in tal senso si è, appunto, affermato che ai fini dell’applicazione delle disposizioni transitorie di cui alla L. n. 251 del 2005, art. 10, comma 3, tenuto conto dell’intervento della Corte Costituzionale (sent. n. 393 del 2006) dichiarativo della parziale illegittimità costituzionale della norma in argomento, la pendenza del grado di appello, che rileva per escludere la retroattività delle norme sopravvenute più favorevoli, ha inizio con la pronuncia della sentenza di condanna di primo grado, che deve ritenersi intervenuta con la lettura del dispositivo (Sez. U. n. 47008 del 29/10/2009, Rv.

244810; sez. 6 n. 8983 del 16/12/2009, Rv. 246406). Nel caso di specie viceversa la sentenza di primo grado è stata emessa in epoca successiva all’entrata in vigore della L. n. 251 del 2005 e pertanto nulla osta all’applicazione delle norme più favorevoli ivi previste.

Deve ancora evidenziarsi che nel caso di specie si è proceduto in relazione a reati commessi dal cittadino italiano all’estero ai sensi dell’art. 9 c.p., comma 3 in seguito alla richiesta di procedere avanzata dal Ministro della Giustizia in data 8.1.2003.

Trova, quindi, applicazione, l’art. 158 c.p., comma 2 nella parte in cui prevede che nei reati punibili a querela, istanza o richiesta, il termine della prescrizione decorre dal giorno del commesso reato. Non si versa, infatti, nell’ipotesi della condizione obbiettiva di punibilità disciplinata, invece, ad avviso della dottrina prevalente, dalla prima parte della disposizione in argomento, che prevede, invece, la decorrenza della prescrizione dal verificarsi della condizione di punibilità. Non sfugge al Collegio che l’avverbio "nondimeno" prevede la possibilità che le due fattispecie ora citate non si escludano vicendevolmente, facendosi riferimento ad una terza ipotesi che è quella del reato condizionato, che sia altresì perseguibile a querela; in tale ipotesi, evidentemente, la prescrizione non potrà che decorrere dal verificarsi della condizione di punibilità. Viceversa nel caso di specie, costituendo la richiesta del Ministro della giustizia una condizione di procedibilità, ritiene il Collegio che il termine di prescrizione debba necessariamente decorrere dalla data del commesso reato.

Fatta questa premessa, il Collegio rileva che, essendo tutti i reati stati commessi in data 1/3/2002, il reato di detenzione di armi comuni da sparo di cui alla L. n. 497 del 1974, artt. 10 e 14, punito con la pena detentiva massima di anni cinque e mesi quattro di reclusione, è prescritto fin dal 1/8/2009; il reato di porto di armi comuni da sparo, di cui alla L. n. 497 del 1974, artt. 12 e 14, punito con la pena detentiva massima di anni sei e mesi otto di reclusione, è prescritto fin dal 1/9/2010; il reato di detenzione e porto di armi clandestine, di cui alla L. n. 110 del 1975, art. 23, punito con la pena detentiva massima di anni otto di reclusione, è prescritto fin dal 1/3/2012; il reato di detenzione di arma da guerra, di cui alla L. n. 497 del 1974, art. 10, punito con la pena detentiva massima di anni otto di reclusione, è prescritto fin dal 1/3/2012, residuando soltanto il reato di porto di arma da guerra, di cui alla L. n. 497 del 1974, art. 12, punito con la pena detentiva massima di anni dieci di reclusione, il cui termine massimo di prescrizione non risulta ancora decorso alla data odierna. Quanto al reato di ricettazione di cui al capo c), punito con la pena detentiva massima di anni otto di reclusione, lo stesso è prescritto fin dal 1/3/2012.

Ciò posto, non risultando il ricorso manifestamente infondato, il verificatosi effetto estintivo dei suddetti reati impone il parziale annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, ricorrendo l’ipotesi di cui all’art. 620 c.p.p., comma 1, lett. a).

Deve essere quindi rideterminata la pena irrogata in relazione ai residui reati che sono quelli di cui al capo a) e quello di cui al capo b), limitatamente al porto dell’arma da guerra di cui alla L. n. 497 del 1974, art. 12; di conseguenza dalla pena finale irrogata dai giudici di merito e calcolata complessivamente in anni nove e mesi sei di reclusione ed Euro 5.300,00 di multa vanno detratti i singoli aumenti per la continuazione, in relazione ai reati prescritti, così come determinati dal giudice di primo grado: segnatamente mesi quattro di reclusione ed Euro 400,00 di multa per il porto della pistola Beretta clandestina di cui al capo b); mesi quattro di reclusione ed Euro 400,00 di multa per la detenzione della medesima arma; mesi quattro di reclusione ed Euro 400,00 di multa per la detenzione dell’arma da guerra; mesi dodici di reclusione ed Euro 1.200,00 di multa per il porto e la detenzione delle armi clandestine; mesi due di reclusione ed Euro 500,00 di multa per la ricettazione di cui al capo c).

Il tutto per un totale di anni due e mesi due di reclusione ed Euro 2.900,00 di multa, che va sottratto alla pena finale di anni nove e mesi sei di reclusione ed Euro 5.300,00 di multa, rideterminandosi la pena nella misura di anni sette e mesi quattro di reclusione ed Euro 2.400,00 di multa con conferma delle pene accessorie e della misura di sicurezza irrogate nella fase di merito, permanendone i presupposti applicativi.

All’esito della rideterminazione della pena definitiva nella misura sopra indicata, non può omettere il Collegio di rilevare una divergenza fra il dispositivo e la motivazione, risultante dalla decisione di primo grado non rilevata in fase di appello, nella determinazione della pena finale irrogata all’esito degli aumento per la continuazione. Difatti all’esito dei singoli aumenti (pari complessivamente ad anni due e mesi sei di reclusione ed Euro 3.200,00 di multa) determinati sulla pena base per il reato di cui al capo a) dal giudice di primo grado nella motivazione della sentenza (anni sette e mesi quattro di reclusione ed Euro 2.500,00 di multa aumentata ex art. 112 c.p., ad anni sette e mesi sei di reclusione ed Euro 2.600,00 di multa), la pena finale avrebbe dovuto essere pari ad anni dieci di reclusione ed Euro 5.800,00 di multa, in luogo di quella erroneamente calcolata nel dispositivo in anni nove e mesi sei di reclusione ed Euro 5.300,00 di multa. Ma, sulla base del prevalente orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, deve ritenersi che la difformità fra dispositivo e motivazione della sentenza vada risolta nel senso della prevalenza del primo, che è l’atto con il quale si estrinseca la volontà della legge nel caso concreto, sulla seconda, che ha solo una funzione strumentale (sez. 6 n. 37392 del 10/7/2003, Rv. 226915; sez. 2 n. 25530 del 20/5/2008, Rv. 240649; sez. 5 n. 22736 del 23/3/2011, Rv. 250400); e, come già ritenuto da questa Corte, con decisione condivisa dal Collegio (sez. 3 n. 15648 del 2/3/2011, Rv. 249997), neppure nel caso di specie avrebbe potuto procedersi, in appello, di ufficio alla correzione dell’errore materiale ai sensi degli artt. 130 e 547 c.p.p., in quanto, stante il mancato appello del pubblico ministero, la correzione si sarebbe risolta nell’irrogazione di una pena più severa di quella prevista nel dispositivo della decisione di primo grado, con conseguente violazione del divieto della reformatio in peius sancito dall’art. 597 c.p.p., comma 4. In conseguenza di quanto ora detto, il Collegio, nel rideterminare la pena irrogata in seguito alla dichiarazione di estinzione di alcuni dei reati contestati per prescrizione, ha ritenuto di dovere fare riferimento alla pena finale risultante dal dispositivo della sentenza.

3.1. Passando, quindi, all’esame del primo motivo di ricorso, in primo luogo rileva il Collegio che la sentenza impugnata da atto di come attraverso l’esame dei tabulati telefonici sia stato possibile verificare i numerosi contatti intercorsi fra i correi, compreso l’attuale ricorrente, nei mesi di (OMISSIS) e subito dopo la commissione della rapina, essendo stato, altresì, ricostruito, tramite l’individuazione delle celle agganciate dai cellulari, il percorso seguito dai rapinatori subito dopo la rapina per fare rientro dalla Germania in Italia; e con particolare riferimento alle utenze cellulari in uso al ricorrente, una di questa risulta essere stata rinvenuta nella memoria del cellulare del L., come riferito dal teste S. e le altre due erano state acquisite dalla polizia italiana, oltrechè essere state indicate dal coimputato G.. Quindi la Corte territoriale, all’esito di un’analitica ricostruzione degli elementi indiziari emersi nel corso del giudizio a carico dell’attuale ricorrente ed ai quali, con valutazione immune da contraddizioni, riconosce i caratteri della gravità, della precisione e della concordanza, perviene alla conferma dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato in ordine ai reati allo stesso ascritti.

Con specifico riferimento all’acquisizione delle dichiarazioni rese dal coimputato G., giudicato separatamente in Germania, va rilevato che questa Corte di legittimità, con affermazione condivisa dal Collegio, ha già ritenuto che l’art. 512 c.p.p., consente l’utilizzabilità in giudizio, nelle ipotesi di sopravvenuta impossibilità di ripetizione, di atti assunti dalla polizia giudiziaria e quindi anche di chiamate in correità, in conseguenza della situazione di eccezionalità che si viene a creare, ai fini dell’accertamento della verità, ogni qualvolta si sia verificato un caso di subentrata non reiterabilità (sez. 3 n. 11950 del 20/10/1994, Rv. 200618). Si è inoltre affermato che all’irreperibilità sopravvenuta del soggetto che abbia reso dichiarazioni predibattimentali non può attribuirsi presuntivamente il significato di volontaria scelta di sottrarsi all’esame da parte dell’imputato o del suo difensore, costituendo, invece, se accertata con rigore, un’ipotesi di oggettiva impossibilità di formazione della prova in contraddittorio e di conseguente irripetibilità dell’atto dovuta a fatti o circostanze imprevedibili (sez. U n. 36747 del 28/5/2003, Rv. 225470). Ed in proposito si è ancora precisato che sono utilizzabili le dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari da persona divenuta irreperibile, quando l’irreperibilità, pur se volontaria, sia del tutto imprevedibile e non risulti indotta dalla scelta di sottrarsi al dibattimento (sez. 1 n. 17212 del 17/3/2008, Rv. 239617). Nel caso di specie la sentenza di primo grado da atto che era stata data lettura delle dichiarazioni rese dal suddetto ai sensi dell’art. 512 c.p.p., in conseguenza della sua sopravvenuta irreperibilità.

Quanto poi alla proposta eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 512 c.p.p., ritiene il Collegio, in adesione al prevalente indirizzo giurisprudenziale espresso da questa Corte, che la questione sia manifestamente infondata; difatti in tal senso si è affermato che la sopravvenuta ed imprevedibile irreperibilità di soggetti le cui dichiarazioni siano state ritualmente acquisite in sede dibattimentale, e dei quali non possa dirsi provata la volontà di sottrarsi all’esame dibattimentale, rientra nei casi di accertata impossibilità oggettiva che derogano alla regola della formazione della prova nel contraddittorio delle parti (sez. 6 n. 9665 del 25/2/2011, Rv. 249594). Ed al riguardo è stata altresì esclusa, ed è da escludere parimenti nella fattispecie oggetto del presente ricorso, una violazione del principio contenuto nell’art. 6, comma 3 lett. d) CEDU, in quanto le norme della predetta Convenzione, ancorchè direttamente vincolanti per il giudice nazionale, nell’interpretazione fornitane dalla stessa Corte di Strasburgo, non possono comportare la disapplicazione delle norme interne con esse ipoteticamente contrastanti, se e in quanto quest’ultime siano attuative di principi affermati dalla Costituzione, cui anche le norme convenzionali devono ritenersi subordinate (sez. 5 n. 16269 del 16/3/2010, Rv. 247258). E non si pone in contrasto con tali principi, la decisione delle sezioni unite di questa Corte (sez. U n. 27918 del 25/11/2010, Rv. 250198) che, ai fini dell’operatività del divieto di provare la colpevolezza dell’imputato sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’esame dell’imputato o del suo difensore, ha ritenuto non necessaria la prova di una specifica volontà di sottrarsi al contraddittorio, ma sufficiente, in conformità ai principi convenzionali, la volontarietà dell’assenza del teste determinata da una qualsiasi libera scelta, sempre che non vi siano elementi esterni che ne escludano una sua libera determinazione; difatti in quest’ultima decisione si discuteva dell’utilizzazione, ai sensi dell’art. 512 bis c.p.p., di dichiarazioni predibattimentali di un teste, cittadino straniero residente all’estero, il quale, pur ritualmente avvisato, non aveva ritirato il plico contenente la citazione. Viceversa nel caso di specie, per quel che risulta dalla decisione di primo grado e nulla di diverso è stato dedotto nei motivi di ricorso, non è stato possibile ripetere in dibattimento le dichiarazioni che in precedenza aveva reso il coimputato G. C., in quanto lo stesso non è stato più reperito; da tale circostanza non può in alcun modo ipotizzarsi una volontà dello stesso di sottrarsi all’esame dibattimentale, non essendovi neppure la prova che egli sia venuto effettivamente a conoscenza della citazione.

Ed infine sul punto osserva il Collegio che dalla lettura della sentenza impugnata, unitamente a quella di primo grado, emerge chiaramente come la responsabilità dell’attuale ricorrente non sia stata assolutamente fondata soltanto sulle dichiarazioni rese dal coimputato G.C., delle quali, per le ragioni anzidette, legittimamente è stata data lettura ai sensi dell’art. 512 c.p.p., essendo, invece, stata basata su una molteplicità di elementi probatori analiticamente ricostruiti ed esaminati nei giudizi di merito come sopra riportati. Ciò in adesione al principio ormai costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte e condiviso dal Collegio, in base ai quale la dichiarazioni predibattimentali rese in assenza di contraddittorio, ancorchè legittimamente acquisite, non possono, conformemente ai principi affermati dalla giurisprudenza europea, in applicazione dell’art. 6 della CEDU, fondare in modo esclusivo o significativo l’affermazione della responsabilità penale (sez. U n. 27918 del 25/11/2010, Rv.

250199; sez. 1 n. 14807 del 4/4/2012, Rv. 252269).

Venendo, quindi, alle questioni proposte con i motivi nuovi (2.5, 2.6), pur sempre attinenti all’utilizzabilità delle dichiarazioni rese da coimputati e testimoni nel procedimento celebratosi in Germania, deve escludersi, quanto all’eccepita inutilizzabilità delle dichiarazioni de relato rese in sede dibattimentale dal teste S.T. nella parte in cui riferisce quanto appreso dal coimputato B., giudicato separatamente in Germania, qualsiasi violazione delle norme invocate; specificamente non dell’art. 62 c.p.p., che prescrive espressamente ed esclusivamente il divieto di testimonianza sulle dichiarazioni comunque rese dall’imputato o dalla persona sottoposta alle indagini nel corso del procedimento. Ed il caso di specie, relativo alla testimonianza su dichiarazioni rese da un coimputato in altro procedimento definito all’estero con sentenza irrevocabile, è chiaramente al di fuori dall’ambito applicativo della norma citata, la cui ratio è stata precipuamente identificata nell’intenzione del legislatore di attribuire rilevanza probatoria alle sole dichiarazioni rese dall’imputato o dall’indagato nella sede processuale, quando le stesse siano state regolarmente acquisite con le forme prescritte, con conseguente divieto di fonti testimoniali surrogatorie o sostitutive dell’eventuale carenza di documentazione formale.

La giurisprudenza di questa Corte, con indirizzo costante condiviso dal Collegio, ha al riguardo affermato che l’art. 62 c.p.p., si applica alle dichiarazioni rese dall’imputato o dall’indagato e non anche a quelle del coimputato o del coindagato (sez. 1 n. 3951 del 5/6/1996, Rv. 205352; sez. 2 n. 8657 del 25/6/1997, Rv. 208748; sez. 2 n. 46607 del 19/11/2009, Rv. 246563). Neppure pertinente risulta il richiamo operato dal ricorrente all’art. 195 c.p.p., comma 4, nel testo novellato dalla v, art. 4 ed in seguito all’intervento della Corte Costituzionale (sent. 305/2008), che vieta la testimonianza dell’ufficiale di polizia giudiziaria sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni, in quanto il caso di specie rientra nella nozione di testimonianza indiretta regolata dai primi tre commi del medesimo art. 195 c.p.p.. Assolutamente generico e privo di fondamento risulta, infine, il richiamo all’art. 350 c.p.p., commi 5 e 6 relativo all’assunzione da parte della polizia giudiziaria dall’indagato di informazioni necessarie per la prosecuzione delle indagini.

Quanto poi alla denunciata violazione dell’art. 64 c.p.p., in adesione a quanto già affermato in proposito da questa Corte, rileva il Collegio che l’utilizzazione degli atti non ripetibili compiuti in territorio estero dalla polizia straniera e acquisiti al fascicolo per il dibattimento non è condizionata all’accertamento, da parte del giudice italiano della regolarità degli atti compiuti dall’autorità straniera, vigendo una presunzione di legittimità dell’attività svolta e spettando all’autorità straniera la verifica della correttezza della procedura e l’eventuale risoluzione di ogni questione relativa alle irregolarità riscontrate (sez. 4 n. 18660 del 19/2/2004, Rv. 228354; sez. 2 n. 24776 del 18/5/2010, Rv.

247750). In sostanza, anche alla luce della disposizione contenuta nell’art. 78 disp. att. c.p.p., comma 2, nella fattispecie in esame, ai fini della legittima acquisizione dell’atto straniero, non occorre accertare la piena sovrapponibilità dello stesso alle norme della nostra legge processuale, essendo, invece, sufficiente accertare che, nell’assunzione dell’atto, non siano stati compressi i diritti fondamentali garantiti dal nostro ordinamento alla persona indagata o imputata. E nel caso di specie risulta che il G. era stato informato della facoltà di astenersi dal rendere dichiarazioni, a nulla rilevando la previsione contenuta nell’art. 64 c.p.p., comma 3, lett. c), non essendovi analoga previsione nell’ordinamento processuale tedesco e non potendo, quindi, valere la limitazione all’utilizzabilità delle dichiarazioni rese in mancanza dell’avviso dal successivo art. 64 c.p.p., comma 3 bis.

3.2. Passando al secondo motivo di ricorso, deve preliminarmente rilevarsi che le sentenze irrevocabili relative ai correi giudicati separatamente in Germania sono state acquisite al fascicolo per il dibattimento ai sensi dell’art. 431 c.p.p., e quindi con il consenso delle parti. Con particolare riferimento alla censure poste alla sentenza impugnata in relazione all’asserita inattendibilità della chiamata in correità del G., il giudice di prime cure da atto, con argomentazioni puntuali in fatto e conformi ai principi di diritto costantemente affermati da questa Corte, di come dette dichiarazioni risultino avvalorate e riscontrate da plurimi elementi probatori, dettagliatamente esaminati nella sentenza di primo grado.

Ed al riguardo deve rilevarsi che la sentenza di primo grado e quella di appello, quando non vi è difformità sulle conclusioni raggiunte, si integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una sola entità logico- giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione.

Pertanto, il giudice di appello, in caso di pronuncia conforme a quella appellata, può limitarsi a rinviare per relationem a quest’ultima sia nella ricostruzione del fatto sia nelle parti non oggetto di specifiche censure (sez. 1, n. 4827 del 18/3/1994, Rv.

198613; Sez. 6 n. 11421 del 29/9/1995, Rv. 203073).

3.3. Quanto al terzo motivo di ricorso relativo al trattamento sanzionatorio ed in particolare alla mancata concessione delle attenuanti generiche, la sentenza impugnata fa, motivatamente, riferimento alla gravità del fatto ed alla capacità a delinquere dell’imputato nonchè all’assenza di qualsiasi elemento favorevole che giustifichi il riconoscimento delle attenuanti. E sul punto, conformemente all’orientamento espresso più volte da questa Corte, deve rilevarsi che la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell’art. 62 bis c.p. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talchè la stessa motivazione, purchè congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in Cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Sez. 6,n. 42688 del 24/9/2008, Caridi, Rv. 242419; sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163).

Ed ancora, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244).

Ed anche con riferimento alla determinazione della pena base e di quella applicata in continuazione, di cui all’ultimo motivo di ricorso, la Corte territoriale motiva in modo esaustivo, facendo riferimento, oltre alla già detta particolare gravità del fatto ed alla capacità a delinquere dell’imputato, anche al significativo ruolo ricoperto dal ricorrente nel compimento dell’atto delittuoso.

4. Sulla base delle argomentazioni fin qui esposte, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente al reato di cui al capo b), con esclusione del porto di arma da guerra, ed al reato di cui al capo c), in quanto estinti per prescrizione, con rideterminazione della pena per i residui reati nella misura complessiva di anni sette e mesi quattro di reclusione ed Euro 2.400,00 di multa.

Il ricorso va rigettato nel resto.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo b), con esclusione del porto dell’arma da guerra nonchè al reato di cui al capo c), perchè estinti per prescrizione ed elimina le relative pene per complessivi anni due mesi due di reclusione ed Euro 2.900,00 di multa, rideterminando la pena finale per i residui reati in anni sette e mesi quattro di reclusione ed Euro 2.400,00 di multa. Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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