Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 06-08-2012, n. 14151

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

L.N. e Lu.Gi. proponevano opposizione davanti al Tribunale di Trieste avverso le cartelle esattoriali per il pagamento delle differenze contributive da versare alla Cassa Nazionale dei Geometri per gli anni dal 1988 al 1994, giacchè la Cassa, con atto ricevuto il 18 gennaio 1999, asseriva di avere riscontrato una discordanza tra le dichiarazioni inviate all’ufficio imposte ed Iva rispetto a quanto comunicato dai geometri alla Cassa medesima.

Nel contraddittorio con la Cassa, il giudice adito dichiarava prescritti i contributi richiesti dal 1988 al 1993, mentre dichiarava dovuti quelli relativi al 1994. Su appello principale della Cassa e su quello incidentale dei geometri, la locale Corte d’appello, con sentenza del 7 marzo 2006, rigettava il ricorso principale ed accoglieva l’incidentale. Affermava infatti che L. n. 773 del 1982 prevedeva la decorrenza della prescrizione dalla data di trasmissione alla Cassa della dichiarazione di cui all’art. 17, il quale stabilisce l’obbligo di comunicare, entro 30 giorni dal termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi, l’ammontare del reddito professionale; aggiungeva che, ai sensi della L. n. 335 del 1995, il termine prescrizionale decennale era stato ridotto a quinquennale, per cui il quinquennio era maturato per le dichiarazioni fatte pervenire dal 1989 al 1993, giacchè la lettera interruttiva era del 18 gennaio 1999. Non erano invece prescritti i contributi relativi all’anno 1994, i quali però non erano dovuti perchè i redditi su cui si chiedevano i contributi non derivavano dall’attività professionale di geometra ma si trattava di redditi derivanti dall’amministrazione di una società di capitali. Nè rilevava che tra gli oggetti dell’attività della società rientrasse anche l’attività edilizia.

Avverso detta sentenza la Cassa Geometri ricorre con nove motivi, illustrati da memoria. Le controparti L. e Lu. sono rimasti intimati.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo, denunziando violazione della L. n. 773 del 1993, art. 19, comma 2 nonchè dell’art. 45 del Regolamento della Cassa si sostiene che, contrariamente a quanto statuito dalla sentenza impugnata, il termine di prescrizione dovrebbe decorrere dal momento in cui la Cassa è a conoscenza dei reali redditi del professionista. Il motivo è infondato.

In primo luogo non è stato depositato l’invocato regolamento della Cassa approvato con D.M. 28 novembre 1995, onde la causa va decisa esclusivamente sulla base della legge, ossia della L. n. 773 del 1993, art. 19, comma 2.

Con riguardo a detta disposizione è stato già affermato (tra le tante Cass. n. 29664 del 18/12/2008) che "In tema di contributi previdenziali dovuti alla Cassa dei geometri liberi professionisti, nel regime precedente la Delib. 25 novembre 1998, modificativa del Regolamento della Cassa, la prescrizione dei contributi decorre dalla trasmissione a quest’ultima della dichiarazione, da parte del debitore, dell’ammontare del proprio reddito professionale dichiarato, anche in caso di denuncia incompleta o infedele,non decorrendo, invece, ove sia trascurato completamente il dovere di presentare la dichiarazione annuale….".

La sentenza impugnata si è attenuta a detti principi, onde la censura va rigettata.

2. Con il secondo motivo, denunziando violazione dell’art. 329 cod. proc. civ., ci si duole essere stato ritenuto che la Cassa aveva fatto acquiescenza sulla durata quinquennale della prescrizione e con il terzo motivo si denunzia difetto di motivazione sulla medesima questione, non essendosi spiegato in sentenza da dove veniva desunta l’acquiescenza.

Entrambi i motivi sono infondati, giacchè non è, e non era in questione nel giudizio d’appello, la durata del termine prescrizionale ma il momento in cui questo dovesse farsi decorrere, onde nessun errore può essere ascritto su questo punto alla sentenza impugnata.

3. Inammissibile è poi il quarto motivo con cui, denunziando violazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10, si assume che era rimasto in vigore del termine decennale per i contributi relativi agli anni 1987 e 1988 perchè per detti anni erano già iniziate le procedure di recupero, come prescritto dalle suddette disposizioni.

La questione infatti non era stata trattata in sede di merito, nè in primo grado, nè nell’appello principale proposto dalla Cassa, in cui esse non figura nei motivi di impugnazione come riportati in sentenza.

I Giudici d’appello, peraltro, si sono limitati a riportare la scarne deduzioni della Cassa "di avere avuto solo nel 1994 i dati definitivi per i redditi degli anni 1987 e 1988", mentre mai è stata trattata la configurabilità, di "procedure iniziate"; prova ne sia che non si sa neppure se era stata la Cassa a chiedere informazioni al Ministero delle Finanze.

Conclusivamente, non sono stati offerti elementi, in sede di merito, per dimostrare iniziative di recupero poste in essere dalla Cassa entro il 31.12.1995, tali da mantenere il termine di prescrizione decennale, onde la censura va respinta.

5. Nè è ravvisatole il difetto di motivazione denunziato con il quinto motivo, sulla esistenza di "procedure iniziate" perchè i dati che ora la Cassa illustra non erano stati portati all’attenzione dei Giudici di merito, come sopra rilevato.

6. Sono invece fondati il sesto motivo, con cui si denunzia violazione dell’art. 252 disp. att. cod. civ., della L. n. 773 del 1982, art. 19 e dell’art. 3, commi 9 e 10, in relazione alla decorrenza del nuovo termine quinquennale di prescrizione, nonchè il settimo motivo con cui si denunzia difetto di motivazione sulla medesima questione.

E’ stato infatti affermato dalla Sezioni unite di questa Corte, a composizione di un contrasto di giurisprudenza (Cass. Sez. U, Sentenza n. 6173 del 07/03/2008) che "In materia di prescrizione del diritto ai contributi di previdenza e di assistenza obbligatoria, la disciplina posta dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10, comporta che, per i contributi relativi a periodi precedenti alla data di entrata in vigore di detta legge – salvi i casi in cui il precedente termine decennale di prescrizione venga conservato per effetto di denuncia del lavoratore, o dei suoi superstiti, di atti interruttivi già compiuti o di procedure di recupero iniziate dall’Istituto previdenziale nel rispetto della normativa preesistente – il termine di prescrizione è quinquennale a decorrere dal 1 gennaio 1996, potendo, però, detto termine, in applicazione della regola generale di cui all’art. 252 disp. att. cod. civ., essere inferiore se tale è il residuo del più lungo termine determinato secondo il regime precedente".

In altri termini, il termine quinquennale opera dal primo gennaio 1996, ma se a quella data, applicando il termine decennale precedente, residui un termine minore del quinquennio, la prescrizione quinquennale si applica, non già dal gennaio 1996, ma retroattivamente, ossia dalla scadenza originaria dell’obbligo contributivo.

Applicando questi criteri, cui la sentenza impugnata non si è conformata, al caso di specie, e tenendo conto che l’atto interruttivo era del 18 gennaio 1999, risulta che sono prescritti i contributi per gli anni 1988, 1989 e 1990.

Restano quindi esenti da prescrizione i contributi relativi agli anni dal 1991 al 1994, e non già solo i contributi dell’anno 1994, come ritenuto dalla sentenza impugnata.

7. Infondato è l’ottavo motivo con cui la Cassa si duole che sia stato negato l’obbligo contributivo perchè il reddito dell’anno 1994 era stato ricavato, non già dall’espletamento dell’attività professionale di geometra, ma dall’amministrazione di una società di capitali. Nè rilevava che tra gli oggetti dell’attività della società rientrasse anche l’attività edilizia.

Il decisimi della Corte è infatti conforme alla giurisprudenza di legittimità con cui si è affermato (Cass. n. 11472 del 12/05/2010) che "In tema di contributi previdenziali dovuti dai professionisti, non è configurabile alcun obbligo contributivo in relazione al reddito prodotto dal professionista, ove questo non sia direttamente collegabile all’esercizio dell’attività libero professionale per la quale vi è stata l’iscrizione in appositi albi o elenchi, essendo insufficiente tale iscrizione, pur necessaria per l’esercizio dell’attività, a determinare la nascita dell’obbligo contributivo.

Ne consegue che, qualora un soggetto iscritto partecipi a società, svolgente attività rientrante in quella per il cui esercizio è richiesta l’iscrizione in appositi albi o elenchi, l’obbligazione contributiva è configurabile solo nell’ipotesi in cui risultino compensate attività obiettivamente riconducibili all’esercizio della professione".

Ed ancora (Cass. n. 4057 del 19/02/2008) si è ritenuto che "Il contributo professionale dovuto alla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza tra i geometri va determinato in relazione al reddito professionale del geometra, ossia a quello strettamente inerente all’esercizio della professione; ne consegue che sono esclusi dal contributo previdenziale altri redditi non direttamente riconducibili alla suddetta professione, quali gli emolumenti percepiti a titolo di compenso per la presidenza del consiglio di amministrazione di una società".

Nello stesso senso si è espressa altra sentenza di questa Corte (Cass. n. 11154 del 11/06/2004) secondo cui "La carica rivestita da un ingegnere di presidente (o componente) del consiglio di amministrazione di società di ingegneria e impiantistica, che da sola non consente la maturazione del diritto a prestazioni a carico della Cassa Nazionale Ingegneri e Architetti Liberi Professionisti, non esclude però di per sè la soggezione a contributo integrativo dei corrispettivi erogati in ragione di tale carica ove la Cassa fornisca la prova che ne risultino compensate attività obiettivamente riconducibili all’esercizio della professione".

La citata sentenza n. 4057/2008 ha così argomentato "La L. n. 773 del 1982 dispone il versamento di un contributo soggettivo obbligatorio alla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza a favore dei Geometri, commisurato al reddito professionale netto prodotto nell’anno precedente, con un minimo inderogabile ed un abbuono per i giovani iscritti. Gli iscritti all’albo professionale che non siano iscritti alla cassa sono tenuti al versamento di un contributo di solidarietà commisurato al reddito professionale netto percepito nell’anno precedente. Il problema interpretativo che si pone è se con l’espressione reddito professionale la legge abbia inteso riferirsi al reddito professionale derivante dall’esercizio della professione di geometra od anche a tutti i redditi fiscalmente identificabili come professionali, anche non derivanti dalla professione anzidetta, come ad esempio i redditi ricavati dall’espletamento di cariche in società di capitali (compenso all’amministratore).

La soluzione preferibile appare la prima. Quando la norma assoggetta a contribuzione i redditi professionali degli iscritti alla cassa geometri fa riferimento, sia ai fini dell’an debeatur della pretesa, sia ai fini della percentuale di contribuzione, ai redditi ricavati dalla professione di geometra. Ove, infatti, il soggetto sia iscritto all’albo ma non eserciti la professione, il contributo è minore ed assume la veste di contributo di solidarietà: ciò costituisce riprova del fatto che quando la legge ha menzionato il reddito professionale nell’art. 10 cit., comma 1 ha inteso riferirsi al reddito del geometra in quanto tale, laddove il reddito professionale di cui al comma 4 (ai fini del contributo di solidarietà) è una nozione più ampia e comprende tutti i redditi professionali non ricollegabili alla professione di geometra. Cass. 11.6.2004 n. 11154, in materia di cassa di previdenza ingeneri, ha ritenuto non essere soggetti a contributo integrativo i corrispettivi percepiti da un ingegnere, pur iscritto alla cassa stessa, a fronte della presidenza di un consiglio di amministrazione di società di ingegneria ed impiantistica, in mancanza di prova della riconducibilità di detti redditi alla professione di ingegnere. Il principio appare perfettamente trasponibile nella presente controversia, in cui si discute dell’assoggettamento a contribuzione dei corrispettivi percepiti da un geometra non in quanto geometra, ma come amministratore di società. Il principio è ripreso da Corte Costituzionale con la sentenza n. 402.1991, la quale in tema di volume di affari imponibile per la Cassa Avvocati, ha chiarito che il volume di affari annuo a fini Iva, da prendere a base del contributo percentuale, deve essere inteso restrittivamente come volume di affari derivante dalla professione di avvocato. Peraltro (Cass. 2.3.2001 n. 3064) l’attività di amministratore delegato di società costituisce attività imprenditoriale. In altri termini, la nozione di reddito professionale netto di cui alla L. n. 773 del 1982, art. 10, comma 1, deve intendersi come reddito derivante dalla professione di geometra, mentre la successiva dicitura quale risulta dalla relativa dichiarazione ai fini dell’Irpef indica l’ammontare che va preso a base della commisurazione del contributo, ma non significa che tutti i redditi professionali, comunque conseguiti, siano attratti nella base contributiva. La stessa soluzione è suggerita dall’interpretazione della L. n. 773 del 1982, art. 11 da ultimo, il quale dispone che gli iscritti all’albo debbono applicare una maggiorazione percentuale sui corrispettivi rientranti nel volume di affari ai fini Iva, intendendosi tale percentuale dovuta sui corrispettivi ricavati dalla professione di geometra, e non anche da corrispettivi derivanti da una diversa attività".

L’ottavo motivo va quindi rigettato.

8. Con il nono motivo si denunzia difetto di motivazione per avere la sentenza impugnata affermato che, trattandosi di redditi da amministrazione di società di capitali, i redditi relativi all’anno 1994 sarebbero esenti da contribuzione alla Cassa in quanto non ricavati dall’attività professionale. Il motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ..

Infatti, essendo stato dedotto difetto di motivazione, manca il momento di sintesi prescritto da questa disposizione; è stato infatti affermato (Cass. Sez. U, n. 20603 del 01/10/2007, seguita da numerose altre conformi) che "In tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poichè secondo l’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità".

Il nono motivo va quindi dichiarato inammissibile.

Conclusivamente vanno accolti il sesto ed il settimo motivo mentre vanno rigettati gli altri. La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte d’appello di Venezia.

P.Q.M.

La Corte accoglie il sesto e settimo motivo di ricorso; rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Venezia.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 6 agosto 2012

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