Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 01-02-2013) 12-04-2013, n. 16650

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Svolgimento del processo
1. Con ordinanza del 23 maggio 2012, il Tribunale di Palermo ha respinto, ex art. 309 cod. proc. pen., l’istanza di riesame proposta da H.M.M.M. avverso l’ordinanza del 4 maggio 2012, con la quale il G.I.P del Tribunale di Marsala gli ha applicato la misura cautelare della custodia in carcere, siccome gravemente indiziato del reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12 comma 1, comma 3, lett. a) e d), comma 3 bis e comma 3 ter, lett. a) e b) (avere commesso, in concorso con altri soggetti, atti idonei a procurare l’ingresso in Italia, al fine di trarne profitto, di 65 cittadini extracomunitari, da lui trasportati assieme agli altri coimputati a bordo di un peschereccio, del cui equipaggio egli aveva fatto parte).
2. Il Tribunale ha ritenuto la sussistenza della giurisdizione del giudice penale italiano ex art. 6 cod. pen., in quanto, sebbene il peschereccio sul quale l’indagato era imbarcato fosse fermo in acque internazionali, era emerso che un frammento dell’azione criminosa era stato commesso in territorio italiano, avendo la g.d.f. intervenuta rilevato che un gommone, partito dalle coste siciliane e compendio di furto in territorio siciliano, aveva affiancato detto peschereccio, dal quale erano stati trasbordati sul gommone circa venti soggetti extracomunitari; il gommone, inseguito dalla g.d.f., era stato raggiunto quando aveva toccato le coste siciliane a XXXX in Comune di CXXXX, dove i clandestini extracomunitari erano scesi, disperdendosi, per essere poi fermati dalla p.g.; era quindi evidente che l’organizzazione criminosa aveva operato anche sul territorio italiano con almeno quattro persone, avendo organizzato lo sbarco, avendo indicato al peschereccio, sul quale erano in attesa circa settanta extracomunitari da trasferire sulla costa siciliana, dove fermarsi in acque internazionali; avendo apprestato il gommone, con il quale avevano iniziato il trasferimento degli extracomunitari sulla costa italiana.
3. Il Tribunale ha ritenuto la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato, in quanto:
-era componente dell’equipaggio del peschereccio utilizzato per l’illegale introduzione nel territorio dello Stato di stranieri extracomunitari privi di permesso di soggiorno;
-lo stesso capitano del peschereccio, in sede di interrogatorio, aveva confermato che tutti i membri dell’equipaggio e quindi anche l’odierno indagato avevano contribuito al trasporto verso le coste siciliane di circa 70 cittadini extracomunitari, essendo tutti consapevoli che lo scopo della traversata era quello di trasportare clandestini extracomunitari verso le coste della Sicilia; -almeno tre degli extracomunitari trasportati avevano spontaneamente dichiarato alla p.g., dopo essere stati informati che erano indagati per il reato di ingresso clandestino in Italia e dopo la nomina di un difensore d’ufficio, di essere saliti sul motopeschereccio ad Alessandria d’Egitto e di avere viaggiato circa 10 giorni, pagando somme di danaro, di cui una parte era andata al capitano ed ai membri dell’equipaggio.
4.Il Tribunale ha poi ritenuto la sussistenza di valide ed attuali esigenze cautelari, idonee a giustificare la misura cautelare inframuraria adottata, avendo fatto riferimento al pericolo di fuga, desumibile dalla pena elevata alla quale l’indagato avrebbe potuto essere condannato e dai suoi collegamenti con soggetti capaci di realizzare trasporti transcontinentali di clandestini, si da far ritenere probabile che l’indagato, se sottoposto ad una misura cautelare meno incisiva, facesse perdere le sue tracce, sottraendosi all’esecuzione della pena. Ma altresì fatto riferimento all’elevato pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, avendo tenuto conto delle specifiche modalità e circostanze del fatto, della cui particolare gravità non poteva dubitarsi, avendo l’indagato agito in un contesto organizzativo particolarmente articolato, essendo da ritenere che l’indagato avesse agito in concorso con almeno altri 15 soggetti; tenuto altresì conto della circostanza che l’indagato, privo di rilevanti fonti di reddito, come era emerso nell’udienza di convalida, traeva fonti di sostentamento dalle attività di trasporto dei clandestini, in tal modo rendendo concreto il pericolo di reiterazione del reato.
5.Avverso detto provvedimento del Tribunale del riesame di Palermo propone ricorso per cassazione H.M.M.M. per il tramite del suo difensore, che ha dedotto:
1) – motivazione illogica e carente e violazione di legge circa la ritenuta sussistenza della giurisdizione italiana nei suoi confronti, in quanto al momento in cui era intervenuta la g.d.f. sia il peschereccio che il gommone, sul quale erano stati trasbordati circa 20 soggetti extracomunitari, erano in acque internazionali, distanti 28 miglia dalla costa, si che il reato a lui contestato era sottratto alla giurisdizione penale italiana;
2)-motivazione carente e manifestamente illogica circa la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a suo carico, in quanto la semplice circostanza che egli fosse componente dell’equipaggio del peschereccio, sul quale gli extracomunitari avevano viaggiato, non poteva costituire, da sola, indizio di colpevolezza grave, avendo egli agito sotto la direzione del comandante, che rappresentava l’armatore ed era l’unico responsabile di quanto avveniva a bordo del peschereccio;
3)-motivazione illogica e violazione della legge processuale circa la sussistenza del pericolo di reiterazione del reato ascrittogli e del pericolo di fuga, in quanto la condotta attribuitagli non presentava indici apprezzabili sotto il profilo della sua capacità a delinquere, siccome esente da precedenti penali e non essendo emersi suoi legami stabili con persone dedite professionalmente al crimine, si che non era sufficiente avere fatto riferimento solo alla gravità dei fatti contestati;
4)-motivazione carente ed illogica, nonchè violazione della legge processuale, per non avere il Tribunale indicato le ragioni che rendevano inadeguata ogni altra misura cautelare, in quanto il suo status di extracomunitario non era elemento sufficiente per desumere il pericolo di fuga.
Motivi della decisione
1. Il ricorso proposto da H.M.M.M. è inammissibile siccome manifestamente infondato.
2. Esso è stato proposto dal ricorrente, ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., avverso il provvedimento con il quale il Tribunale del riesame di Palermo ha respinto l’istanza di riesame da lui proposta avverso l’ordinanza del G.I.P. di Marsala, di applicazione nei suoi confronti della misura cautelare della custodia cautelare in carcere, siccome gravemente indiziato del reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 1, comma 3, lett. a) e d), comma 3 bis e comma 3 ter, lett. a) e b) (avere commesso, in concorso con altri indagati, atti idonei a procurare l’ingresso in Italia, al fine di trarne profitto, di almeno 67 cittadini extracomunitari, trasportati innanzi alle coste siciliane da Alessandria d’Egitto a bordo di un peschereccio, di cui egli era uno dei componenti dell’equipaggio).
3. E’ manifestamente infondato il primo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente lamenta carenza di giurisdizione del giudice italiano, in quanto i fatti sarebbero stati commessi in acque internazionali, a distanza di oltre 12 miglia marine dalla costa siciliana.
Posto che il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina non richiede, per il suo perfezionamento, che l’ingresso illegale degli extracomunitari abbia effettivamente luogo, trattandosi di reato a condotta libera ed a consumazione anticipata, è da ritenere pienamente condivisibile la motivazione con la quale l’ordinanza impugnata ha viceversa ritenuto competente a giudicare il delitto in esame il giudice penale italiano, avendo il Tribunale rilevato come, ai sensi dell’art. 6 cod. pen., sebbene il peschereccio sul quale l’indagato era imbarcato si trovasse in acque internazionali, un frammento dell’azione criminosa era stato commesso in territorio italiano, avendo la g.d.f. operante rilevato che un gommone, partito dalla costa siciliana, aveva affiancato detto peschereccio, dal quale erano stati trasbordati sul gommone circa venti soggetti extracomunitari; detto gommone era stato inseguito dalla g.d.f. ed era stato raggiunto quando esso aveva toccato le coste siciliane a XXXX in Comune di CXXXX; era quindi da ritenere che l’organizzazione criminosa aveva operato anche sul territorio italiano con almeno quattro persone, avendo organizzato lo sbarco, avendo indicato al peschereccio, sul quale vi erano ancora circa settanta extracomunitari pronti ad essere trasferiti sulla costa siciliana, dove fermarsi in acque internazionali ed avendo infine apprestato il gommone, compendio di furto commesso in territorio siciliano, con il quale era stato programmato il trasporto degli extracomunitari dal peschereccio alla costa italiana e con il quale era avvenuto l’effettivo trasferimento fino alla costa siciliana di un primo gruppo di 20 extracomunitari (cfr., in termini, Cass. Sez. 1 n. 4586 del 23/6/2000, Habibi, Rv. 217165).
4.E’ manifestamente infondato il secondo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente lamenta l’insussistenza di gravi indizi di colpevolezza a suo carico. Va al contrario rilevato che il provvedimento impugnato, con motivazione incensurabile nella presente sede, siccome conforme ai canoni della logica e della non contraddizione, ha indicato i validi elementi di colpevolezza ravvisati a carico del ricorrente e consistiti:
– nell’essere stato il ricorrente componente dell’equipaggio del peschereccio utilizzato per l’illegale introduzione nel territorio dello Stato di un rilevante numero di extracomunitari privi di permesso di soggiorno;
– nell’avere lo stesso capitano del peschereccio, in sede di interrogatorio, confermato che tutti i membri dell’equipaggio e quindi anche l’odierno indagato aveva contribuito al trasporto verso le coste siciliane di circa 70 extracomunitari, essendo ciascun componente dell’equipaggio pienamente consapevole che lo scopo della traversata era quello di trasportare gli extracomunitari verso le coste della Sicilia;
– nell’avere almeno tre degli extracomunitari trasportati spontaneamente dichiarato alla p.g., dopo essere stati informati che erano indagati per il reato di ingresso clandestino in Italia e dopo la nomina di un difensore d’ufficio, di essere saliti sul motopeschereccio ad Alessandria d’Egitto e di avere viaggiato circa 10 giorni, pagando somme di danaro, di cui una parte era andata non solo al capitano, ma anche a ciascun componente dell’equipaggio.
Gravi e rilevanti sono pertanto da ritenere gli indizi di colpevolezza emersi a carico del ricorrente.
5. E’ manifestamente infondato anche il terzo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente lamenta carenza di motivazione circa la sussistenza a suo carico di gravi esigenze cautelari, sia sotto l’aspetto del pericolo di fuga, sia sotto l’aspetto del pericolo di reiterazione del reato ascrittogli, tali da giustificare il mantenimento della custodia in carcere applicatagli.
Va la contrario rilevato che il provvedimento impugnato ha adeguatamente motivato in ordine alla sussistenza di un concreto suo pericolo di fuga avendo formulato all’uopo un corretto giudizio prognostico, tenendo conto dei parametri offerti dall’art. 133 cod. pen., avendo fatto riferimento all’indubbia gravità del fatto addebitatogli (gli stranieri extracomunitari illecitamente da lui agevolati, in concorso con altri, per il loro clandestino ingresso in Italia erano stati circa 70); alla rilevante entità della pena che avrebbe potuto essergli inflitta; ai suoi collegamenti con soggetti capaci di realizzare trasporti transcontinentali di individui, si da far ritenere probabile che l’indagato, se sottoposto ad una misura cautelare più attenuata, facesse perdere le sue tracce, sottraendosi all’esecuzione della pena (cfr. Cass. Sez. 6 n. 27042 del 6/6/2012, Duzioni, Rv. 253024).
La motivazione dell’ordinanza impugnata è altresì condivisibile anche in ordine alla sussistenza di un concreto pericolo di reiterazione del reato. La giurisprudenza di legittimità esige che la sussistenza di detto pericolo sia fondata non su elementi meramente congetturali ed astratti, ma su dati di fatto oggettivi ed indicativi delle inclinazioni comportamentali e della personalità del ricorrente, tali da consentire di affermare che il medesimo possa facilmente, verificandosene l’occasione, commettere altri reati della stessa specie (cfr. Cass. Sez. 6 n. 38763 dell’8/3/2012, Miccoli, Rv.
253372).
Al riguardo il Tribunale ha rilevato come fosse ben sussistente nella specie il pericolo di reiterazione del reato commesso, tenuto conto delle specifiche modalità e circostanze del fatto, della cui particolare gravità non poteva dubitarsi, avendo l’indagato agito in un contesto organizzativo particolarmente articolato, avendo egli agito in concorso con almeno altri 14 soggetti; tenuto altresì conto della circostanza che l’indagato, non avendo rilevanti fonti di reddito, come era emerso nell’udienza di convalida, traeva fonti di sostentamento dalle attività di trasporto dei clandestini, in tal modo rendendo concreto il pericolo di reiterazione del reato.
6. E’ infine inammissibile siccome manifestamente infondato anche il quarto motivo di ricorso, con il quale il ricorrente lamenta carenza di motivazione in ordine all’inadeguatezza di altre misure cautelari meno afflittive a fronteggiare le riscontrate esigenze cautelari.
E’ noto che la Corte Costituzionale, con sentenza n.331 del 2011, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 4 bis nella parte in cui, nel prevedere che quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di cui al comma 3 del medesimo articolo, nello specifico contestato al ricorrente, è applicata la custodia cautelare in carcere salvo che siano stati acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistano esigenze cautelari, non fa salva altresì l’ipotesi in cui siano stati acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.
L’ordinanza impugnata ha rilevato, sul punto, come nel caso concreto fossero presenti valide esigenze cautelari che, in maniera concreta e non meramente presuntiva, inducevano a ritenere adeguata la sola misura cautelare della custodia in carcere, avendo fatto riferimento, come sopra esposto, agli evidenti collegamenti del ricorrente con ambienti criminali transnazionali di rilevante calibro, al pronosticabile pericolo di fuga, alla prognosi negativa circa il rispetto delle prescrizioni connesse a misure cautelari meno afflittive; peraltro il ricorrente neppure aveva indicato la dimora italiana dove eventualmente dare esecuzione ad eventuali arresti domiciliari.
7.Da quanto sopra consegue la declaratoria d’inammissibilità del ricorso in esame, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
8.Si provveda agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende. Dispone che la Cancelleria provveda agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
Così deciso in Roma, il 1 febbraio 2013.
Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2013

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