Corte di Cassazione – Sentenza n. 29235 del 2011 Liti tra avvocati ; Non sussiste la scriminante se le accuse sono false

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale di Milano, con sentenza del 5 ottobre 2009, ha riformato la sentenza del Giudice di pace di Milano del 1 dicembre 2008 che aveva condannato B.A. e I.G. per il delitto di diffamazione in danno di C.C. e le ha, al contrario, assolte: la I. per non aver commesso il fatto e la B. perché il fatto non costituisce reato.
2. Avverso tale sentenza ha proposto, innanzitutto, ricorso per cassazione la parte lesa, costituita parte civile a mezzo del proprio difensore, la quale lamenta nei confronti della I. un vizio logico di motivazione circa la sua ritenuta estraneità alla denunciata diffamazione e quanto alla B. la contraddittorietà e illogicità della motivazione con riferimento alla errata applicazione della scriminante di cui all’articolo 598 c.p. nonché una violazione di legge in ordine alla mancata decisione in merito alle statuizioni civili.
3. Ha proposto ricorso anche la Procura Generale presso la Corte di Appello di Milano con unico motivo che evidenzia una erronea applicazione della legge penale in relazione all’applicazione dell’esimente di cui all’articolo 598 c.p. alla B.

Considerato in diritto

1. Il ricorso nei confronti di I.G., proposto dalla parte civile non è meritevole di accoglimento.
Deve, invero, concordarsi sul punto con quanto affermato dal Tribunale meneghino.
Non è contestato, in punto di fatto, che la comparsa contenente le espressioni ritenute diffamatorie venne redatta e sottoscritta dal solo avvocato B.
Ecco, quindi, che pienamente condivisibili sono le affermazioni, in punto di diritto questa volta, con le quali il Giudice impugnato ha chiarito che:
a) il concetto di “coautrice silente” non è giuridicamente valido, posta, secondo questa Corte, anche la natura neutra del silenzio in genere, quale comportamento idoneo a manifestare la volontà di alcuno;
b) la responsabilità penale è personale, sia essa affermata a titolo individuale che in concorso con altri soggetti;
c) in tale ultima ipotesi deve essere dimostrata l’effettiva compartecipazione del concorrente nella fattispecie ascritta;
d) la compartecipazione, nel caso in esame, non può farsi discendere dalla mera comune intestazione (sotto forma del medesimo Studio professionale) della carta sulla quale venne redatta la comparsa né dall’essere stata, l’avvocato I., contumace nel giudizio di merito in difetto, da un lato, di una sottoscrizione che faccia presumere legittimamente la condivisione del contenuto dell’atto e, d’altra parte, di altri concreti indizi di colpevolezza: siano essi nella forma della coscienza e volontà di offendere l’altrui onore e decoro o di accusare taluno di fatti costituenti reato, pur sapendolo innocente, che del compimento di altri atti o omissioni penalmente rilevanti che nella specie non è dato ravvisare.
2. Al contrario, merita accoglimento il ricorso della Procura Generale di Milano, in esso rimanendo assorbito quello della parte civile, con riferimento alla posizione della coimputata B.
In punto di fatto, non è controverso che l’avvocato B., nel corpo di una comparsa depositata nel corso di un procedimento civile, proposto proprio dall’avvocato C. per l’ottenimento della retribuzione delle proprie prestazioni professionali a favore di P.A., avesse accusato l’avvocato C. di aver grandemente mancato ai propri doveri professionali nei confronti del proprio assistito P.A., nell’ambito di un procedimento penale e in particolare mediante l’omessa comunicazione al P. di un decreto di archiviazione del Pubblico Ministero, ai fini della proposizione di una tempestiva opposizione.
Notizia rilevatasi falsa, posta la mancanza di un atto di archiviazione da parte del PM di Lodi e, quindi, dell’eventuale notifica di tale atto all’avvocato C. (v. pagina 2 della motivazione impugnata): in altri termini non poteva assolutamente addossarsi al comportamento professionale del suddetto avvocato l’inesistente omissione, di converso, indicata come effettivamente realizzatasi nell’atto defensionale presentato dall’avvocato B. nel relativo procedimento civile.
Il Giudice impugnato ha ritenuto che tale fatto, pur essendo oggettivamente offensivo per la reputazione di un legale, non integrasse gli estremi del contestato delitto di diffamazione, a cagione dell’esistenza della scriminante speciale di cui all’articolo 598 c.p.
Questa Corte non è del medesimo avviso.
È, ormai, principio acquisito nella giurisprudenza di legittimità che, in tema di delitti contro l’onore, perché possa ricorrere la scriminante prevista dall’articolo 598 c.p., sia necessario che le espressioni offensive concernano, in modo diretto e immediato, l’oggetto della controversia ed abbiano rilevanza funzionale per le argomentazioni poste a sostegno della tesi prospettata, sicché deve ritenersi invalicabile il vincolo della rilevanza dell’offesa in ordine all’oggetto della contesa.
Ed è, altrettanto, certo che l’accertare il nesso fra le offese e l’oggetto della contesa dipende da un giudizio di mero fatto, incensurabile dalla Corte di Cassazione, quando sia sorretto da adeguata motivazione (v. Cass. Sez. V 7 febbraio 2008 n. 9071).
L’articolo 598 c.p., difatti, incanala l’esercizio del diritto in limiti specifici, connessi alla destinazione dell’atto orale o scritto per se stesso al Giudice o ad un organo amministrativo di controllo del corretto comportamento altrui, sia sotto il profilo oggettivo (pertinenza alla controversia da decidere), sia sotto quello soggettivo (posizione di parte nel procedimento), cioè in rapporto all’esercizio attuale del diritto al contraddittorio di una parte nel procedimento (v. Cass. Sez. V 29 aprile 2010 n. 24003).
Nella fattispecie sottoposta all’esame di questa Corte non può dubitarsi, peraltro, dell’esistenza della rilevanza delle espressioni adoperate nel corpo della comparsa defensionale in merito alla controversia nella quale venne prodotta, trattandosi di contestazioni attinenti alla richiesta delle retribuzioni per la prestazione dell’attività professionale dell’avvocato C. in favore del suo assistito P.A.
Quella che, però, è sfuggita al Giudice di merito è la circostanza, evidenziata anche dal ricorso del Procuratore Generale, che nella specie non si versi in ipotesi di mere offese contenute nell’atto espressione del diritto di difesa tecnica, bensì nell’attribuzione di fatti sicuramente falsi ma, in ipotesi, addirittura rientranti nella fattispecie di cui all’articolo 380 c.p., con conseguente trasformazione della comparsa difensiva da fatto diffamatorio a fatto calunnioso, rispetto al quale, evidentemente, non può ritenersi operante l’esimente di cui all’articolo 598 c.p. (v. la giurisprudenza di legittimità indicata nel ricorso della Procura Generale).
3. Ecco, quindi, che s’impone l’annullamento dell’impugnata sentenza limitatamente alla posizione dell’imputata B., rispetto alla quale il competente Giudice del rinvio provvederà, avvalendosi dei poteri sul fatto che questa Corte di legittimità non ha, all’accertamento della effettiva natura della falsità delle affermazioni in merito al procedimento penale nei confronti di P.A., nel senso dell’affermazione dell’esistenza della mera falsità delle notizie riferite ovvero della falsità qualificata dall’intento di evidenziare fatti penalmente rilevanti ma in effetti non commessi dalla parte lesa.

P.Q.M.

La corte in accoglimento del ricorso del PG annulla la sentenza impugnata quanto alla posizione della B. con rinvio al Tribunale di Milano per nuovo esame. Rigetta il ricorso della parte civile nei confronti della I. Dichiara assorbite le doglianze della predetta parte civile nei confronti della B.

Depositata in Cancelleria il 21.07.2011

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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