Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 06-08-2012, n. 14142

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Svolgimento del processo
G.P., con ricorso al Tribunale di Roma del novembre 2002, premesso di avere lavorato per la XXXX SpA dal 1.12,1988 come capo dell’ufficio del personale, con inquadramento nel livello 7 del c.c.n.l., dell’edilizia, da un lato lamentava comportamenti di dequalificazione e discriminatori adottati nei suoi confronti dall’azienda a partire dal settembre 1998, iniziati con la sottrazione della responsabilità dei servizi generali e accompagnati da pressioni perchè egli rassegnasse le dimissioni, e chiedeva la condanna della datrice di lavoro alla riassegnazione di mansioni equivalenti a quelle precedentemente svolte e al risarcimento del danno; dall’altro, impugnava il licenziamento per giusta causa intimatogli con lettera del 9.2.2001 (pervenutagli il seguente giorno 13), a seguito della contestazione con atti del 15 gennaio e 2 febbraio 2002 del seguente addebito: "Ella nel corso del periodo di malattia iniziato in data (OMISSIS) e tutt’ora in essere, a partire dalla seconda metà del mese di (OMISSIS) ha svolto abitualmente attività lavorativa negli uffici della srl 2 C.G. Servizi siti in via (OMISSIS), occupandosi della gestione paga ed adempimenti contributivi per clienti della suddetta società", e chiedeva il risarcimento del danno alla salute provocato dal licenziamento, che aveva aggravato la patologia da lui sofferta.
Il Tribunale respingeva entrambe le domande.
In ordine alla lamentata inidoneità della contestazione disciplinare sotto il profilo della condotta ascritta, della specificità dell’addebito e della salvaguardia del diritto di difesa del lavoratore, la Corte, richiamato il tenore della lettera di contestazione, osservava, da un lato, che l’appellante svolgeva presso la società datrice di lavoro le funzioni di capo ufficio del personale e che, tra i compiti affidatigli, vi era l’attività della elaborazione di paghe e stipendi, della apertura e chiusura delle posizioni previdenziali con la relativa contribuzione, nonchè degli adempimenti amministrativi relativi ai rapporti di lavoro, e, dall’altro, che la società XXXX. Servizi srl, iscritta nel registro delle imprese in data 21.3.1996 – e con quote suddivise tra i figli dell’appellante e C.G., dipendente della società appellata ed addetta all’ufficio del personale della società – , aveva ad oggetto lo sviluppo e impostazione della contabilità manuale con elaboratori, sviluppo ed elaborazione di paghe e stipendi, consulenza tecnica ed amministrativa del lavoro in genere.
Pertanto il contenuto della contestazione riguardava lo svolgimento da parte del1 appellante di una attività ben individuata nell’oggetto, che si identificava nello svolgimento di prestazioni rese in via abituale per terzi – e aventi il medesimo contenuto delle mansioni affidategli dalla datrice di lavoro. La contestazione stessa quindi, non presentava elementi di indeterminatezza e ad essa non potevano ritenersi estranee le ulteriori circostanze che valgono a qualificare, da un punto di vista giuridico, i fatti addebitati, nel quadro del principio di diritto secondo cui la contestazione disciplinare deve cogliere i dati e gli aspetti essenziali del fatto materiale posto a base del licenziamento, mentre la immodificabilità della causa di licenziamento riguarda solo tali elementi di fatto e non già la qualificazione dei medesimi.
Secondo la Corte lo svolgimento da parte del ricorrente a favore di un terzo, durante il periodo di assenza per malattia e in termini di abitualità, di una attività lavorativa del tutto analoga a quella di capo ufficio del personale svolta dall’appellante presso la società risultava provata dalle testimonianze assunte circa gli accertamenti eseguiti da una società di investigazioni, la società XXXX, nei confronti dell’appellante ed anche di un suo collaboratore, M.A., entrambi assenti per malattia dal luglio 2000.
Il teste G.S. si era recato nell’appartamento di via (OMISSIS), a fine ottobre 2000 e poi alcuni giorni dopo, presso la sede della Società XXXX Servizi a r.L, ed aveva richiesto, presentandosi come titolare di una società, un servizio di redazione di buste paga. Egli era stato invitato dal figlio dell’appellante a ritornare, al fine di parlare con il padre che si dedicava a tale attività. Al secondo accesso, il teste aveva avuto un colloquio con l’appellante in merito al diservizio richiesto ed essi avevano discusso dei prezzi per tale attività.
Successivamente la teste U., sempre su incarico dall’agenzia investigativa, si era recata presso la sede della società XXXX alla fine del dicembre 2000, per chiedere una consulenza per la costituzione di una società di pubblicità ed era stata invitata a parlare con l’appellante di tale questione. La teste aveva avuto quindi avuto un colloquio con l’appellante, presenti la C. e M.. Il G. si era informato sull’attività della società da costituire ed aveva precisato che non si occupava di tali pratiche ma di altri adempimenti. Il M. aveva quindi fornito il recapito della sorella, che indicò come commercialista, e la teste rimase d’accordo con il G. che, dopo la costituzione della società, si sarebbero messi in contatto con loro per gli adempimenti da espletare.
La Corte d’appello osservava anche che la destinazione dei locali anche ad uffici era risultata dal fatto che sulla cassetta della posta era riportata la indicazione della società e che nell’appartamento il salone era adibito ad ufficio, con relative attrezzature varie.
Gli assunti difensivi dell’appellante, il quale aveva affermato di non avere mai svolto attività lavorativa ma di essere solito a recarsi nell’appartamento per fare visita ai figli, erano smentiti dalle testimonianze riportate, indicanti circostanze precise non inficiate dalle dichiarazione degli altri testi ( B. e Ma., che non avevano assistito ai colloqui e la nuora Z. che ha affermato di non conoscere la società XXXX), significative non di una presenza (quasi quotidiana, secondo il teste Ma.) dell’appellante per ragioni familiari, ma di una attività lavorativa secondo un ruolo non marginale, ponendosi l’appellante come interlocutore per la società dei clienti che si erano presentati.
La Corte, escluso che potesse ritenersi illegittimo l’effettuato controllo del lavoratore per mezzo di investigatori privati, riteneva sussistente nella specie una giusta causa di licenziamento, in considerazione dell’esposto quadro probatorio, nonchè in particolare della circostanza che la società risultava operativa in detta sede e che nella stessa fosse presente, come accertato in due occasioni, l’appellante, il quale era stato indicato come la persona alla quale rivolgersi, funzione confermata dall’incontro avuto con gli incaricati delle investigazioni.
Al riguardo osservava che la rilevanza della condotta accertata prescinde dalla circostanza che il lavoro per altri prestato possa determinare il ritardo o la compromissione della guarigione, atteso che la violazione degli obblighi di correttezza e buona fede è ravvisabile anche qualora il lavoratore, che si sia avvalso delle cause di sospensione del rapporto, renda una prestazione incompatibile con la dedotta malattia. In altri termini, doveva confermarsi il giudizio espresso dal primo giudice il quale, con una valutazione che teneva conto della particolarità della condotta, aveva ravvisato la violazione degli obblighi di correttezza e buona fede per lo svolgimento, durante un prolungato periodo di assenza per malattia, di attività richiedenti adempimenti analoghi a quelli che la prestazione lavorativa comportava.
In ordine alla dequalificazione, la Corte osservava che le deduzioni dell’appellante non avevano trovato conferma nelle testimonianze raccolte. Risultava agli atti che il rag. G. era capo ufficio del personale e per tali funzioni egli aveva collaborato dal 1988 con il direttore amministrativo C. per la gestione amministrativa del personale, occupandosi delle pratiche di assunzione, delle buste paga, degli aspetti fiscali e previdenziali del personale ed anche delle questioni sindacali. L’appellante coordinava gli addetti al suo ufficio e all’occorrenza interveniva personalmente per quanto riguardava gli aspetti amministrativi. Si occupava della selezione del personale da assumere, partecipando alla prima fase della valutazione dei candidati. Per le questioni sindacali, egli operava in sintonia con il direttore tecnico del cantiere interessato, parlandone prima con l’amministratore delegato Giorgio Corsi. Per quanto riguardava la revoca della responsabilità dei Servizi generali rispetto al Servizio Approvvigionamento (composto dal centralino ed ufficio commessi), conseguente a una modifica dell’organizzazione aziendale risalente agli inizi del 1997, osservava che tale incarico riguardava attività marginali che non avevano inciso sul ruolo dell’appellante, che aveva mantenuto le più qualificanti prerogative, rimaste sostanzialmente invariate fino al luglio 2000.
G.P. ricorre per cassazione con sette motivi. La società intimata resiste con controricorso seguito da memoria illustrativa.
Motivi della decisione
1.1. Il primo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, della L. n. 300 del 1970, art. 6 e insufficienza di motivazione, lamenta che la sentenza impugnata, in violazione del principio della immutabilità della contestazione, ha dato rilievo, al fine di ritenere legittimo il licenziamento, ad elementi di fatto ulteriori rispetto a quelli oggetto della contestazione disciplinare formulata nei confronti dell’attuale ricorrente con gli atti del 10 e 31 gennaio 2001, meramente richiamata con l’atto di licenziamento per giusta causa. Al riguardo osserva che ingiustificatamente la Corte ha ritenuto che la contestazione riguarda anche lo svolgimento in favore di un terzo di un’attività lavorativa del tutto analoga a quella di capo ufficio del personale svolta presso la società convenuta e di prestazioni incompatibili con la dedotta malattia.
Si osserva anche il rilievo determinante della violazione denunciata, in quanto è in forza di tali circostanze aggiunte che il comportamento del ricorrente è stato ritenuto violazione degli obblighi di correttezza e buona fede, in coerenza peraltro con il fatto che, come è riconosciuto dalla giurisprudenza, l’attività lavorativa svolta durante la malattia di per se non costituisce illecito.
1.2. Il secondo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 e vizio di motivazione, in sostanziale continuità con la precedente censura, lamenta che la contestazione disciplinare, così come formulata, non aveva messo il lavoratore in grado di sapere quale fosse l’effettivo illecito di cui era accusato (svolgimento di un’attività analoga a quella svolta in azienda, simulazione della malattia, avere ritardato la guarigione, violazione dell’obbligo di fedeltà, o altro) e quindi di difendersi adeguatamente.
1.3. Il terzo motivo, in subordine, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., della L. n. 604 del 1966, artt. 2 e 3 osserva che l’attività svolta durante la malattia, pur se di contenuto analogo alle mansioni dedotte in contratto, di per se non è illecita, non integrando inadempimento, salvo che si verifichino fatti ulteriori come l’aggravamento della malattia o il ritardo della guarigione, la fraudolenta simulazione della malattia, l’assenza ingiustificata, la violazione del divieto di concorrenza, la violazione degli obblighi di rispetto delle fasce orarie previste per il controllo della malattia, ecc.. Ne consegue che la motivazione del licenziamento, pur come ampliata dalla sentenza, non integra alcun inadempimento contrattuale del lavoratore.
1.4. Il quarto motivo, in ulteriore subordine, denunciando contraddittorietà, illogicità e insufficienza della motivazione, lamenta che la sentenza sia incorsa in contraddizione di motivazione quanto all’accertamento della identità ritenuta decisiva, tra le mansioni contrattualmente dovute e l’attività asseritamente svolta durante la malattia. Infatti l’attività oggetto di contestazione, come indicata nella relativa lettera, e cioè l’occuparsi direttamente delle gestione delle buste paga e degli adempimenti contributivi, non corrispondeva alle mansioni svolte dal G. presso la società XXXX, così come accertate nella stessa sentenza, che era quella di capo ufficio del personale, consistente nella gestione del personale, nel coordinamento degli addetti al suo ufficio, nella prima selezione del personale da assumere, ecc..
Si rileva anche che l’identità dell’attività era stata affermata in contraddizione con la totale diversità della situazione ambientale riscontrata nei loro accessi dagli investigatori: non una grande sede direzionale, con centinaia di dipendenti e preposizione del G. ad un ufficio, ma un appartamento, con la presenza solo, del figlio del ricorrente e di altre due persone, il ricevimento dei terzi stando seduto comodamente in un salotto).
Si osserva poi che la compatibilità della malattia con un’eventuale attività lavorativa deve essere accertata in concreto, tenendo conto soprattutto del tipo di patologia. Nel caso di specie le prescrizioni mediche degli specialistici erano soprattutto nel senso di evitare la frequentazione di ambienti di lavoro incompatibili con i disturbi depressivi che venivano vissuti dal paziente come la causa del suo stato, come da certificazione prodotta e trascritta in ricorso.
1.5. Il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2119, 2697, 2727 e 2729 c.c., nonchè della L. n. 604 del 1966, art. 3 e insufficiente motivazione perchè con la sentenza è stata affermata l’esistenza di fatti posti a base del licenziamento senza alcuna prova degli stessi. Si osserva infatti che dalle deposizioni testimoniali valorizzate dalla Corte d’appello in realtà non era stata evidenziata un’attività del G. di gestore di buste paga e adempimenti contributivi e inoltre la presenza del medesimo nell’appartamento adibito anche ad ufficio era stata riscontrata in due sole occasioni e quindi era ben lungi da essere l’attività abituale di cui alla contestazione. Comunque non si era in presenza di elementi indiziari forniti dei requisiti della gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c., in quanto dagli elementi riferiti dai testimoni non scaturiva come conseguenza necessitata o altamente probabile quella dell’essersi il G. occupato abitualmente delle suddette attività, potendo semmai sostenersi che vi era la prova contraria.
Si lamenta inoltre che la sentenza, essendosi basata implicitamente sul sillogismo secondo cui, se il ricorrente era in grado di svolgere un’attività lavorativa analoga a quella dovuta alla XXXX, doveva presumersi che non sussistesse una malattia che lo rendesse inidoneo alla prestazione contrattualmente dovuta, ha utilizzato una presunzione basata inammissibilmente su fatti a loro volta desunti per presunzioni, in contrasto con il divieto del ricorso a una "doppia presunzione" e comunque con il criterio del particolare rigore da osservare nel trarre presunzioni a sfavore del lavoratore.
1.6. Con il sesto motivo, in subordine, denunciandosi omessa motivazione su un punto decisivo, si lamenta il mancato esame della numerosa e qualificata certificazione medica prodotta in giudizio e ampiamente richiamata nel ricorso, attestante la grave malattia del ricorrente, mai contestata dalla controparte, e in particolare il certificato medico già richiamato nel quarto motivo.
1.7. Il settimo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, artt. 2, 3 e 5 degli artt. 610, 614, 615- bis e 660 cod. pen. e dell’art. 116 c.p.c., nonchè insufficienza di motivazione, deduce che gli investigatori privati, accedendo con l’inganno nell’appartamento in questione, adibito anche ad abitazione privata, e svolgendovi la loro attività, erano incorsi nel reato di violazione di domicilio, in quello di molestie e disturbo delle persone, e che inoltre erano ipotizzatali anche i reati di interferenza illecita nella vita privata, ovvero quello di violenza privata, nonchè quello di truffa. Si deduce altresì l’illiceità dei controlli nella specie eseguiti mediante agenzie investigative, per violazione degli artt. 2 e 3 st. lav., in quanto aventi ad oggetto l’inadempimento dell’obbligandone contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera. E l’illiceità dei medesimi anche perchè si sono tradotti in accertamenti sanitari sulla malattia del ricorrente fuori del ricorso alla procedura di cui all’art. 5 st.
lav..
2. I primi due motivi sono esaminali congiuntamente, stante la loro connessione.
Ad avviso di questa Corte i medesimi non sono fondati.
Deve tenersi presente che, in materia di sanzioni disciplinari, l’esigenza della specificità della contestazione non obbedisce ai rigidi canoni che presiedono alla formulazione dell’accusa nel processo penale, nè si ispira ad uno schema precostituito e ad una regola assoluta e astratta, ma si modella in relazione ai principi di correttezza che informano un rapporto interpersonale che già esiste tra le parti, ed è funzionalmente e teleologicamente finalizzata alla esclusiva soddisfazione dell’interesse dell’incolpato ad esercitare pienamente il diritto di difesa (Cass. n. 27842/2009 e 5115/2010). E’ stato anche osservato che, avendo la contestazione dell’addebito lo scopo di fornire al lavoratore la possibilità di difendersi, la specificità della contestazione sussiste quando sono fornite le indicazioni necessarie ad individuare nella sua materialità il fatto nel quale il datore di lavoro abbia ravvisato la sussistenza di infrazioni disciplinari (Cass. n. 8377/2006). Non può escludersi in senso assoluto che possa essere necessario, ai fini dell’esercizio del diritto di difesa, anche qualche indicazione circa il tipo di disvalore rilevante ai fini disciplinari che si ritiene implicato dalla contestazione dei fatti materiali (cfr. Cass. n. 6499/2011), ma molto frequentemente la stessa contestazione dei fatti materiali implica, in relazione a tipi di vicende ricorrenti e caratteristiche, l’adeguato assolvimento delle esigenze di difesa del lavoratore anche senza la puntuale indicazione, in sede di preventiva contestazione, degli specifici principi di rilievo disciplinare violati.
Risulta pertanto congrua la motivazione circa l’idoneità della contestazione, rispetto all’ipotesi – in sostanza poi valorizzata ai fini della decisione – di insussistenza di una malattia adeguatamente incidente sulla capacità lavorativa in relazione alle mansioni specifiche (circa l’idoneità della contestazione avente ad oggetto la prestazione di attività lavorativa durante l’assenza per malattia relativamente ad entrambe le ipotesi possibili della incidenza negativa di tale attività sull’andamento della malattia o della sua idoneità a evidenziare l’effettiva insussistenza della malattia, cfr. Cass. n. 7434/1996).
3. E’ opportuno esaminare ora il settimo motivo, relativo ad altra questione avente rilievo preliminare.
Anche questo motivo non merita accoglimento.
Riguardo alla possibilità del datore di lavoro, senza incorrere in violazione degli artt. 2, 3 e 5 dello statuto dei lavoratori, di svolgere accertamenti mediante proprio personale o agenzie investigative circa comportamenti del lavoratore in malattia che possano evidenziare l’insussistenza della malattia o il mancato rispetto della cautele dovute dal lavoratore al fine di non ostacolare la guarigione, o più in genere al fine di accertare comportamenti illeciti del lavoratore esulanti dalla normale attività lavorativa – ipotesi a cui è certamente riconducibile la sfera di detti comportamenti di un lavoratore in malattia -, questa Corte si è pronunciata in più occasioni (cfr. Cass. n. 3704/1987, 5629/2000, 6236/2001, 9167/2003,18821/2008).
Quanto all’ipotesi della commissione di reati da parte degli investigatori privati in occasione degli accertamenti in questione, innanzitutto può essere opportuno rilevare, sulla base di un immediato raffronto con le relative norme incriminatrici, la palese improprietà del richiamo delle figure della violenza privata, dell’interferenza illecita nella vita privata e della molestia o disturbo delle persone, così come della truffa, per la non configurabilità di un ingiusto motivo. quanto alla violazione di domicilio, ammesso anche che la figura possa essere ipotizzabile in relazione all’ipotesi dell’introduzione con inganno in luogo di privata dimora, deve rilevarsi che non è prospettabile l’incidenza sulla validità degli accertamenti e delle relative prove di tale ipotesi di reato, rispetto alla quale non risulta proposta la necessaria querela da parte del soggetto legittimato e che comunque non è diretta a tutelare la posizione del lavoratore.
4. I motivi dal terzo al sesto vengono esaminati congiuntamente stante la loro connessione.
Rispetto alle relative censure ha rilievo assorbente quella di difetto di motivazione circa l’accertamento – che, come si è già accennato, appare posto, sia pure in mancanza di esplicite affermazioni in tal senso, alla base del rigetto della impugnativa del licenziamento – sulla insussistenza o sull’insufficiente rilievo invalidante (presuntivamente accertati) della malattia posta a giustificazione dell’assenza dal lavoro, nonchè la analoga censura circa il correlato accertamento sulla natura e la consistenza dell’attività lavorativa svolta dal G. durante la malattia e la sua sostanziale corrispondenza con l’attività svolta presso la società XXXX.
Sul primo aspetto assume particolare rilievo l’assoluta mancanza di esame della documentazione medica prodotta dal ricorrente e specificamente della relazione medica in data 2.9.2002 del prof. A.G. richiamata e trascritta nell’ambito del quarto motivo e richiamata nuovamente nel sesto motivo, facente riferimento in maniera dettagliata a una grave sindrome depressiva, alla sua asserita correlazione con l’ambiente lavorativo aziendale e alle conseguenti prescrizioni terapeutiche. Si tratta di materiale probatorio che avrebbe potuto influire sulla valutazione dei fatti, non .solo sotto il profilo dell’effettiva esistenza di una malattia incidente sulla capacità lavorativa ma anche quello dell’accertamento, eseguito in gran parte in via presuntiva dal giudice di appello, circa il ruolo complessivamente svolto dall’attuale ricorrente nell’ambito dell’attività economica in cui erano coinvolti, tra gli altri, anche i figli del ricorrente stesso.
Peraltro risultano non privi di logica i rilievi del ricorso circa l’affermata effettiva sostanziale coincidenza tra l’attività svolta dal G. presso la società datrice di lavoro e quella che avrebbe svolto durante il periodo di malattia.
5. E’ necessario quindi l’accoglimento per tali ragioni del ricorso e la conseguente cassazione con rinvio della sentenza impugnata.
Il giudice di rinvio dovrà procedere ad un nuovo motivato accertamento, salva la possibilità per il medesimo di valutazioni anche sul piano indiziario, sulla base del complesso delle risultanze di causa (anche non già prese in considerazione dal giudice di appello), e della valutabilità, in tale quadro, anche dell’effettiva attendibilità delle certificazioni mediche prodotte (cfr. Cass. n. 606/1990, 2953/1997, 6564/2001).
Al giudice di rinvio è demandata anche la regolazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui alla motivazione;
cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa, anche per spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 19 aprile 2012.
Depositato in Cancelleria il 6 agosto 2012
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