Cass. civ. Sez. II, Sent., 07-08-2012, n. 14234

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Svolgimento del processo

che l’Avv. C.M. e I.M.A.N.E.D. hanno proposto domanda di equa riparazione, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, per l’irragionevole durata di un procedimento penale per il reato di favoreggiamento di ingresso clandestino di stranieri nel territorio dello Stato, definito con provvedimento di archiviazione del GIP del Tribunale di Perugia in data 17 aprile 2009, procedimento nel corso del quale il C. aveva ricevuto un avviso di garanzia dal P.M. di Perugia nel 1998 e l’ I. M.A. era stato tratto in arresto nel 1999, restando due mesi in custodia cautelare in carcere e tre mesi agli arresti domiciliari;

che la Corte d’appello di Firenze, con decreto in data 7 novembre 2011, ha respinto la domanda, rilevando: che la natura indimostrata e l’assoluta genericità delle notizie disponibili in ordine alle vicende del procedimento penale in questione (emissione di avviso di garanzia e di provvedimento restrittivo), di cui si conosce soltanto la richiesta di archiviazione del pubblico ministero ed il decreto di archiviazione del GIP, non consentono di verificare in alcun modo la posizione dei due indagati ora ricorrenti e, soprattutto, le precise modalità temporali e fattuali del loro coinvolgimento iniziale; che dalla stessa narrazione dei ricorrenti (i quali, dopo le battute iniziali, rappresentate in un caso dall’avviso di garanzia e nell’altro dalla misura cautelare, non seppero più nulla delle indagini a loro carico, tanto da credere che il procedimento fosse già stato chiuso) risulta smentita la presunzione di sofferenza connessa alla pendenza del procedimento;

che per la cassazione del decreto della Corte d’appello il C. e l’ I.M.A. hanno proposto ricorso, sulla base di due motivi;

che l’intimato Ministero della giustizia ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata;

che il primo mezzo (con cui si denuncia violazione e mancata applicazione degli artt. 738 e 213 cod. proc. civ., in relazione alla L. n. 89 del 2001, art. 3; inesistenza od omissione della motivazione) è fondato perchè, in tema di equa riparazione per la violazione del termine ragionevole di durata del processo, ove la parte si sia avvalsa, come nella specie, della facoltà – prevista dalla L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 5 – di richiedere alla corte d’appello di disporre l’acquisizione degli atti del processo presupposto, il giudice non può addebitare alla mancata produzione documentale, da parte dell’istante, di quegli atti la causa del mancato accertamento della addotta violazione della ragionevole durata del processo; difatti la parte ha un onere di allegazione e di dimostrazione, che però riguarda la sua posizione nel processo, la data iniziale di questo, la data della sua definizione e gli eventuali gradi in cui si è articolato, mentre (in coerenza con il modello procedimeli tale, di cui all’art. 737 c.p.c. e segg., prescelto dal legislatore) spetta al giudice – sulla base dei dati suddetti, di quelli eventualmente addotti dalla parte resistente e di quelli acquisiti dagli atti del processo presupposto – verificare, in concreto e con riguardo alla singola fattispecie, se vi sia stata violazione del termine ragionevole di durata, tenuto anche conto che nel modello processuale della L. n. 89 del 2001 sussiste un potere d’iniziativa del giudice, che gli impedisce di rigettare la domanda per eventuali carenze probatorie superabili con l’esercizio di tale potere (Cass., Sez. 6-1, 26 luglio 2011, n. 16367);

che anche il secondo motivo (omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio), relativo alla esclusione del danno non patrimoniale, è fondato, giacchè, in tema di equa riparazione, il danno non patrimoniale è conseguenza normale, ancorchè non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; sicchè, pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno non patrimoniale in re ipsa – ossia di un danno automaticamente e necessariamente insito nell’accertamento della violazione – , il giudice, una volta accertata e determinata l’entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo secondo le norme della citata L. n. 89 del 2001, deve ritenere sussistente il danno non patrimoniale ogniqualvolta non ricorrano, nel caso concreto, circostanze particolari le quali facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente (Cass., Sez. 6-1, 23 novembre 2011, n. 14696);

che non può essere ritenuta idonea, al fine di escludere la sussistenza del patema d’animo nell’ambito di un procedimento penale, l’inattività dell’organo inquirente (dopo che un indagato era stato raggiunto da un avviso di garanzia e l’altro sottoposta alla misura cautelare della custodia in carcere e, poi, degli arresti domiciliari), perchè detta inerzia non può avere creato una presunzione di archiviazione, tra l’altro smentita dai fatti, essendo questa stata pronunciata soltanto dopo circa dieci anni dalla ricevuta conoscenza della pendenza delle indagini preliminari;

che, pertanto, il ricorso deve essere accolto;

che, cassato il decreto impugnato, la causa deve essere rinviata ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze;

che il giudice del rinvio provvedere anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte suprema di Cassazione, il 19 luglio 2012.

Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2012

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