Cass. civ. Sez. II, Sent., 07-08-2012, n. 14230

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Svolgimento del processo
che D.R.A., N.C. e N. R., tutte quali eredi di N.A., hanno chiesto alla Corte d’appello di Roma, con ricorso in data 6 novembre 2006, il riconoscimento dell’equa riparazione, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, per la irragionevole durata della procedura fallimentare aperta nei confronti della s.p.a. XXXX, nel quale N.A., ex dipendente della fallita, aveva fatto domanda di ammissione al passivo, accolta in data 7 novembre 1989 ma ancora pendente il 29 maggio 2003, alla data del decesso del creditore;
che l’adita Corte d’appello, con decreto in data 22 novembre 2010, accertata in cinque anni la durata ragionevole della procedura, ha, per l’eccedenza di nove anni, liquidato l’importo di Euro 9.000,00 (pari ad Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo), oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo;
che per la cassazione di questo decreto il Ministero della giustizia ha proposto ricorso sulla base di sei motivi, cui non hanno resistito, con controricorso, le intimate.
Motivi della decisione
che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata nella redazione della sentenza;
che con il primo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 2934 e 2946 cod. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) si sostiene che la Corte d’appello avrebbe dovuto, in accoglimento dell’eccezione sollevata dall’Amministrazione, riconoscere l’estinzione del diritto all’equa riparazione per prescrizione decennale, stante il maturarsi del diritto all’equa riparazione con il cumularsi di periodi di eccessiva durata nella pendenza del procedimento presupposto;
che il secondo mezzo (violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 4 nonchè degli artt. 2934, 2935, 2941 e 2942 cod. civ.) censura che la previsione del termine decadenziale semestrale sia stata ritenuta dal giudice a quo assorbente di ogni termine prescrizionale;
che la questione della prescrizione è sollevata anche con il terzo (violazione e falsa applicazione dell’art. 2934 cod. civ. e della L. n. 89 del 1981, art. 23) e con il quarto mezzo (violazione e falsa applicazione dell’art. 11 preleggi, comma 1, e dell’art. 123 preleggi, comma 2), con i quali si deduce che nella specie l’effetto interruttivo della eccepita prescrizione estintiva decennale sarebbe da ricollegare alla data del 29 dicembre 2007 (data di notifica del ricorso introduttivo di equa riparazione), sicchè ogni questione relativa alla durata della procedura per il periodo anteriore al 29 dicembre 1997 non avrebbe potuto che essere ritenuta preclusa;
che i primi quattro motivi – i quali, stante la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati, giacchè, in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, la L. n. 89 del 2001, art. 4 nella parte in cui prevede la facoltà di agire per l’indennizzo in pendenza del processo presupposto, non consente di far decorrere il relativo termine di prescrizione prima della scadenza del termine decadenziale previsto dal medesimo art. 4 per la proposizione della domanda, in tal senso deponendo, oltre all’incompatibilità tra la prescrizione e la decadenza, se riferite al medesimo atto da compiere, la difficoltà pratica di accertare la data di maturazione del diritto, avuto riguardo alla variabilità della ragionevole durata del processo in rapporto ai criteri previsti per la sua determinazione, nonchè il frazionamento della pretesa indennitaria e la proliferazione di iniziative processuali che l’operatività della prescrizione in corso di causa imporrebbe alla parte, in caso di ritardo ultradecennale nella definizione del processo (Cass., Sez. 1, 30 febbraio 2009, n. 27719; Cass., Sez. 1, 11 gennaio 2001, n. 478);
che il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 perchè la Corte di merito avrebbe accertato in cinque anni, anzichè in sette, la durata ragionevole della procedura fallimentare de qua, caratterizzata da particolare complessità;
che la censura è fondata;
che questa Corte – proprio in relazione alla durata della procedura fallimentare aperta nei confronti della s.p.a. XXXX ed esaminando l’impugnazione proposta avverso altro decreto della Corte d’appello di Roma – ha statuito (Sez. 1, 25 ottobre 2011, n. 22157) che, in tema di ragionevole durata del procedimento fallimentare e tenendo conto della sua peculiarità, il termine di cinque anni, che può ritenersi normale in procedura di media complessità, può essere elevato fino a sette anni allorquando il procedimento si presenti particolarmente complesso, ipotesi, questa, che è ravvisabile in presenza di un numero particolarmente elevato dei creditori, di una particolare natura o situazione giuridica dei beni da liquidare (partecipazioni societarie, beni indivisi, ecc.), della proliferazione di giudizi connessi alla procedura ma autonomi e quindi a loro volta di durata vincolata alla complessità del caso, della pluralità di procedure concorsuali interdipendenti;
che, pertanto, la Corte di merito, stante la particolare complessità del procedimento fallimentare presupposto, avrebbe potuto determinare la durata ragionevole in misura pari a sette anni, calcolando cosi l’eccedenza in sette anni;
che il sesto motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 lamentando che la Corte d’appello non abbia riconosciuto un indennizzo di importo più limitato, stante la presenza, nella fattispecie de qua, di una serie di fattori concomitanti di segno riduttivo (l’intervento del Fondo di garanzia presso l’INPS e la presenza di piani di riparto parziali);
che il motivo è fondato, avendo la Corte di merito liquidato per ogni anno di ritardo la somma di Euro 1.000,00, senza indicare le circostanze particolari che giustificavano lo scostamento dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale, "in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, i criteri di liquidazione applicati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo non possono essere ignorati dal giudice nazionale, il quale può tuttavia apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, purchè motivate e non irragionevoli. Peraltro, ove non emergano elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa comporta che la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore ad Euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore ad Euro 1.000,00 per quelli successivi, in quanto l’irragionevole durata eccedente tale periodo da ultimo indicato comporta un evidente aggravamento del danno" (Sez. 1, 14 ottobre 2009, n. 21840);
che il ricorso, pertanto, va accolto nei limiti innanzi precisati e, cassato il decreto impugnato, la Corte può procedere alla decisione della causa nel merito alla luce dei criteri sopra indicati, provvedendo alla riliquidazione dell’indennizzo nella misura di Euro 6.250,00;
che le spese processuali della fase di merito, liquidate in dispositivo, possono essere compensate in ragione di 1/4 in considerazione dell’esito complessivo della lite e, per il resto, vanno poste a carico dell’Amministrazione;
che sussistono giustificati motivi per la compensazione delle spese del giudizio di cassazione, essendo stato questo accolto soltanto in parte.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto ed il sesto motivo di ricorso, rigettati gli altri, cassa il decreto impugnato in relazione alle censure accolte e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere la somma di Euro 6.250,00, da suddividere pro quota in favore di D.R.A., N.C. e R. N., con gli interessi legali su detta somma dalla domanda al saldo, e le spese del giudizio di merito, che compensa in misura di 1/4, gravando l’Amministrazione dei residui 3/4, che determina, per l’intero, in Euro 25,00 per esborsi, 350,00 per diritti e 580,00 per onorari, e che distrae in favore dei difensori antistatari;
compensa le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte suprema di Cassazione, il 19 luglio 2012.
Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2012

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