Cass. civ. Sez. II, Sent., 07-08-2012, n. 14227

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Svolgimento del processo

P.S., I.F.A. e B. M.A. hanno chiesto alla Corte d’appello di Roma, con ricorso in data 7 dicembre 2007, il riconoscimento dell’equa riparazione, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, per la irragionevole durata di un processo civile, nel quale essi erano stati convenuti, avente ad oggetto il pagamento di canoni enfiteutici riguardanti un fondo rustico, svoltosi in primo grado dinanzi al Tribunale di Benevento dal 19 maggio 1990 al 12 maggio 2006 e definito con il rigetto della domanda.

L’adita Corte d’appello ha accolto la domanda, liquidando in Euro 10.500,00 per ciascun ricorrente, oltre interessi legali dalla domanda al saldo, l’importo dovuto a titolo di equa riparazione.

Determinata in tre anni la durata ragionevole del processo presupposto, e detratti dalla durata complessiva due anni e sei mesi per i rinvii richiesti dalle parti, la Corte di merito ha riconosciuto un’indennità di 1.000,00 Euro per ogni anno di ritardo, dopo avere quantificato in dieci anni e sei mesi il periodo di irragionevole durata.

Per la cassazione di questo decreto il Ministero della giustizia ha proposto ricorso sulla base di sei motivi, cui hanno resistito, con controricorso, gli intimati.

Motivi della decisione

1. – Il collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata nella redazione della sentenza.

2. – Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 2934 e 2946 cod. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) si sostiene che la Corte d’appello avrebbe dovuto, in accoglimento dell’eccezione sollevata dall’Amministrazione, riconoscere l’estinzione del diritto all’equa riparazione per prescrizione decennale, stante il maturarsi del diritto all’equa riparazione con il cumularsi di periodi di eccessiva durata nella pendenza del procedimento presupposto.

Il secondo mezzo (violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 4 nonchè degli artt. 2934, 2935, 2941 e 2942 cod. civ.) censura che la previsione del termine decadenziale semestrale sia stata ritenuta dal giudice a quo assorbente di ogni termine prescrizionale.

La questione della prescrizione è sollevata anche con il terzo (violazione e falsa applicazione dell’art. 2934 cod. civ. e della L. n. 89 del 1981, art. 2) e con il quarto mezzo (violazione e falsa applicazione dell’art. 11 preleggi, comma 1, e dell’art. 123 preleggi, comma 2), con i quali si deduce che nella specie l’effetto interruttivo della eccepita prescrizione estintiva decennale sarebbe da ricollegare alla data del 7 ottobre 2009 (data di notifica del ricorso introduttivo di equa riparazione), sicchè ogni questione relativa alla durata della procedura per il periodo anteriore al 7 ottobre 1999 non avrebbe potuto che essere ritenuta preclusa.

2.1. – I primi quattro motivi – i quali, stante la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati, giacchè, in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, la L. n. 89 del 2001, art. 4 nella parte in cui prevede la facoltà di agire per l’indennizzo in pendenza del processo presupposto, non consente di far decorrere il relativo termine di prescrizione prima della scadenza del termine decadenziale previsto dal medesimo art. 4 per la proposizione della domanda, in tal senso deponendo, oltre all’incompatibilità tra la prescrizione e la decadenza, se riferite al medesimo atto da compiere, la difficoltà pratica di accertare la data di maturazione del diritto, avuto riguardo alla variabilità della ragionevole durata del processo in rapporto ai criteri previsti per la sua determinazione, nonchè il frazionamento della pretesa indennitaria e la proliferazione di iniziative processuali che l’operatività della prescrizione in corso di causa imporrebbe alla parte, in caso di ritardo ultradecennale nella definizione del processo (Cass., Sez. 1, 30 febbraio 2009, n. 27719; Cass., Sez. 1, 11 gennaio 2001, n. 478).

3. – Il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 lamentando che la Corte d’appello non abbia riconosciuto un indennizzo di importo più limitato, stante la presenza, nella fattispecie de qua, di una serie di fattori concomitanti di segno riduttivo (la pluralità di parti convenute, la limitata entità della posta in gioco, la specialità dell’oggetto della causa).

Il motivo è fondato, avendo la Corte di merito liquidato per ogni anno di ritardo la somma di Euro 1.000,00, senza indicare le circostanze particolari che giustificavano lo scostamento dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale, "in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, i criteri di liquidazione applicati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo non possono essere ignorati dal giudice nazionale, il quale può tuttavia apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, purchè motivate e non irragionevoli.

Peraltro, ove non emergano elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa comporta che la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore ad Euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore ad Euro 1.000,00 per quelli successivi, in quanto l’irragionevole durata eccedente tale periodo da ultimo indicato comporta un evidente aggravamento del danno" (Sez. 1, 14 ottobre 2009, n. 21840).

4. – Con l’ultimo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 75 e 100 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4) si sostiene che la posizione liti-sconsortile necessaria assunta dai ricorrenti nell’ambito del processo presupposto, in quanto contitolari di diritto reale, avrebbe dovuto determinare una "unificazione" dell’indennizzo medesimo. Di qui l’erroneità della liquidazione effettuata dalla Corte d’appello con criterio moltiplicativo (per quanti sono i soggetti).

4.1. – La doglianza è infondata.

Il decreto impugnato si è attenuto al principio secondo cui la liquidazione dell’equo indennizzo per la violazione della ragionevole durata del processo deve essere effettuata in favore di ciascuno dei richiedenti che sia stato parte del processo presupposto, a prescindere dalla posizione assunta in tale processo (Cass., Sez. 1, 3 febbraio 2011, n. 2634).

5. – Il ricorso, pertanto, va accolto nei limiti della censura accolta e, cassato il decreto impugnato, la Corte può procedere alla decisione della causa nel merito alla luce dei criteri sopra indicati, provvedendo alla riliquidazione dell’indennizzo nella misura di Euro 9.750,00.

Le spese processuali della fase di merito, liquidate in dispositivo, vanno poste a carico dell’Amministrazione.

Sussistono giustificati motivi per la compensazione delle spese del giudizio di cassazione, essendo stato questo accolto soltanto in minima parte.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, rigettati gli altri, cassa il decreto impugnato in relazione alla censura accolta e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della giustizia al pagamento, in favore di P.S., A.F. I. e B.M.A., della somma di Euro 9.750,00 ciascuno, con gli interessi legali su detta somma dalla domanda al saldo, nonchè al rimborso delle spese del giudizio di merito, che determina, complessivamente, in Euro 1.220,00, di cui Euro 400,00 per diritti ed Euro 770,00 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge; compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte suprema di Cassazione, il 19 luglio 2012.

Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2012

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