Corte di Cassazione – Sentenza n. 15774 del 2011 Lavoro part time – Se si va oltre l’orario il rapporto di lavoro diventa a tempo pieno

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Milano, riformando la sentenza impugnata, ha dichiarato l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno a far tempo dal 22.12.1995, ritenendo che la lavoratrice ricorrente aveva dedotto e provato di avere lavorato alle dipendenze della società (…) spa con lo stesso orario dei suoi colleghi impiegati a tempo pieno e che nella fattispecie doveva trovare applicazione il principio per cui il rapporto a tempo parziale (così instaurato inizialmente tra le parti) può trasformarsi in contratto a tempo pieno “attraverso la prolungata esecuzione del lavoro con determinate caratteristiche, proprie del lavoro a tempo pieno”, e dunque “attraverso le concrete modalità di svolgimento del rapporto di lavoro”.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la società (…) spa affidandosi a due motivi di ricorso cui resiste con controricorso (…)

La società ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo la società denuncia violazione e falsa applicazione degli art. 2697 cc, ed erronea o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, sostenendo che il ricorso introduttivo sarebbe stato carente sotto il profilo della precisa indicazione del numero delle ore lavorate mensilmente – che costituiva un dato decisivo per stabilire se la prestazione lavorativa potesse ritenersi a tempo pieno – e che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che, a questo fine, fosse sufficiente avere indicato il numero delle giornate di lavoro nel mese, mentre quest’ultimo dato non poteva ritenersi significativo né, per sé solo, sufficiente ai fini della ricostruzione del numero delle ore lavorate mensilmente, posto che il turno di lavoro poteva variare da un minimo di quattro a un massimo di otto ore.

2.- Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione o falsa applicazione degli 1362 cc in relazione all’art. 3 ccnl, nonché l’esistenza di un vizio di motivazione in ordine alla ritenuta esistenza di un accordo novativo, ovvero modificativo della durata della prestazione lavorativa, con sostituzione dell’orario a tempo pieno a quello a tempo parziale, desunto dalla circostanza, tutt’altro che decisiva secondo la ricorrente, del superamento dell’orario di lavoro contrattualmente stabilito.

3.- Entrambi i motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi tra loro, vanno rigettati.

4.- Nel rito del lavoro, la valutazione della sufficienza dell’esposizione degli elementi di fatto e della ragioni di diritto su cui la domanda si fonda, ex art. 414 c.p.c, implica una interpretazione dell’atto introduttivo, e così della domanda e della sua ampiezza, oltre che del suo contenuto, che costituisce, anche nel giudizio di appello, ai fini della individuazione del devolutum, un tipico apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito e, pertanto, insindacabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo dell’esistenza, sufficienza e logicità della motivazione (cfr. ex plurimis, Cass. n. 20373/2008, Cass. n. 19475/2005).

Nella specie, la Corte territoriale ha ritenuto che il ricorso contenesse una sufficiente indicazione degli elementi di fatto sui quali si fondava la domanda, ed in particolare una precisa indicazione e quantificazione delle ore lavorate mensilmente, osservando al riguardo che la ricorrente aveva precisato esattamente quali erano le concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, deducendo che tutti i dipendenti, lei compresa, erano impiegati in turni giornalieri di otto ore e lavoravano con una turnazione di quattro giorni lavorativi più due di riposo, per un totale di 160 ore mensili. La ricorrente aveva, in sostanza, dedotto di avere lavorato per un numero costante di ore e di giorni per ciascun mese, inserita nei normali turni di lavoro come tutti i dipendenti a tempo pieno e con un orario di lavoro che coincideva in tutto e per tutto con quello osservato da questi ultimi.

Si tratta, quindi, di una valutazione di fatto, devoluta al giudice del merito, non censurabile nel giudizio di cassazione in quanto comunque assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria; anche perché la ricorrente, oltre a non indicare le norme che la Corte territoriale avrebbe violato nell’interpretazione della domanda, non ha riportato in ricorso il contenuto integrale del ricorso introduttivo, che assume carente delle suddette indicazioni, sicché le censure espresse con il primo motivo del ricorso rimangono confinate ad una mera contrapposizione rispetto a tale valutazione di merito operata dalla Corte d’appello, inidonea a radicare un deducibile vizio di motivazione di quest’ultima.

5.- Nella fattispecie, non è ravvisabile, inoltre, alcuna violazione della regola stabilita dall’art. 2697 cc, avendo la Corte territoriale, con valutazione di fatto incensurabile in questa sede, ritenuto che le deduzioni di parte ricorrente avessero trovato piena conferma, oltre che nella mancanza di una specifica contestazione da parte della società convenuta, in fonti documentali (i prospetti paga nei quali erano indicati il numero delle giornate lavorative e delle ore di lavoro mensili) di cui non è stata affatto contestata la rituale acquisizione al giudizio.

6.- Va poi rilevato come risultino inammissibili le doglianze relative alla pretesa violazione dell’ art. 5 legge_863_1984 e così anche quelle relative alla pretesa impossibilità che la richiesta di lavoro supplementare possa configurare una ipotesi di “novazione oggettiva” del rapporto, posto che la Corte territoriale ha espressamente dichiarato di ritenere non rilevante, ai fini dell’accoglimento della domanda, la violazione o meno della norma di cui all’art. 5 della legge n. 863/1984 (derivandone l’irrilevanza dei profili di doglianza relativi alla mancata considerazione delle modalità attraverso le quali i lavoratori erano portati a conoscenza della richiesta del lavoro supplementare e dell’incidenza della possibilità di rifiutare tale lavoro supplementare ) ed ha invece chiaramente esplicitato che le ragioni del decisum andavano individuate in relazione alla concreta esecuzione del contratto di lavoro stipulato tra le parti, facendo quindi corretta applicazione del principio secondo cui, in relazione ai diritti spettanti al lavoratore per la sua attività lavorativa, non è decisivo il negozio costitutivo del rapporto, ma il rapporto nella sua concreta attuazione. La giurisprudenza di questa Corte ammette infatti che in base a una continua prestazione dell’orario di lavoro, pari a quello previsto per il lavoro a tempo pieno, un rapporto di lavoro nato come a tempo parziale possa trasformarsi in un rapporto di lavoro a tempo pieno, nonostante la difforme, iniziale manifestazione di volontà delle parti, non occorrendo alcun residuo formale per la trasformazione di un rapporto a tempo parziale in un rapporto di lavoro a tempo pieno (cfr. Cass. 5520/2004, Cass. n. 3228/2008, nonché Cass. n. 6226/2009), cosicché “risulta del tutto inutile ogni discussione in ordine alla possibilità di riscontrare o meno una volontà novativa della parti, una volta che sia stata dimostrata la costante effettuazione di un orario di lavoro prossimo a quello stabilito per il lavoro a tempo pieno e del pari inconferente il richiamo alla disciplina codicistica in tema di conversione del contratto nullo” (cfr. in una fattispecie identica, Cass. n. 25891/2008).

7.- La sentenza impugnata, per essere adeguatamente motivata, coerente sul piano logico e rispettosa dei principi giuridici in precedenza enunciati, non è assoggettabile, dunque, alle censure che le sono state mosse in questa sede di legittimità.

8.- Il ricorso deve essere pertanto rigettato con la conferma della sentenza impugnata, dovendosi ritenere assorbite in quanto sinora detto tutte le censure non espressamente esaminate.

9.- Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in €. 38,00 oltre € 2.000,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.
Depositata in Cancelleria il 19.07.2011

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