Cass. civ. Sez. II, Sent., 07-08-2012, n. 14214

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Svolgimento del processo
M.B. agiva innanzi al Tribunale di Rieti per l’accertamento negativo del diritto di proprietà del comune di XXX su di un’area di mq. 205 antistante la sua abitazione, sita in (OMISSIS).
Il comune di XXX nel resistere in giudizio proponeva domanda riconvenzionale volta ad accertare l’avvenuta usucapione di una servitù d’uso pubblico su detta area.
Il Tribunale rigettava la domanda principale e accoglieva quella riconvenzionale, compensando le spese.
L’appello principale della M. era respinto dalla Corte d’appello di Roma, che dichiarava altresì inammissibile l’impugnazione incidentale del comune di XXX.
Riteneva la Corte territoriale che sebbene l’esito dell’accertamento tecnico svolto in secondo grado non lasciasse adito a dubbi di sorta sul fatto che l’area in oggetto fosse stata trasferita in proprietà dell’attrice, con atto di vendita del 1993, insieme con il fabbricato di cui quest’ultima era pacificamente proprietaria, non poteva pervenirsi ad una pronuncia di accoglimento della domanda proXXX dalla M.. Ella, osservava la Corte capitolina, nell’atto d’appello aveva riproposto, mediante generico rinvio, le medesime conclusioni di primo grado, incentrate sul mero accertamento dell’insussistenza dei diritti vantati dal comune sulla ridetta area.
Una siffatta impugnazione era inidonea ad infirmare il capo della sentenza di primo grado che, dopo aver escluso il diritto di proprietà della M., aveva accertato l’esistenza di una servitù di uso pubblico in favore del Comune con riferimento alla porzione di suolo che non risultava recintata. Era pur vero, proseguiva la Corte, che l’appellante aveva formulato motivi di gravame anche in punto di erroneo accoglimento da parte del giudice di primo grado della domanda riconvenzionale della P.A. convenuta, ma era altrettanto vero che tali motivi (peraltro generici, quanto meno relativamente alla dedotta inattendibilità dei testi) non erano stati recepiti nelle conclusioni dell’atto d’appello, mediante una specifica "domanda" di riforma del capo della sentenza impugnata che aveva accolto la riconvenzionale, ancorchè subordinata all’accoglimento della domanda principale. Pertanto, concludeva la Corte capitolina, tale capo di sentenza era passato in giudicato, tanto più che l’appello incidentale del comune di XXX era inammissibile perchè proposto con comparsa di costituzione tardiva.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre M.B., formulando due motivi d’impugnazione.
Resiste con controricorso il comune di XXX, che propone, altresì, ricorso incidentale condizionato affidato a tre motivi, cui la parte ricorrente replica, a sua volta, con controricorso ex art. 371 c.p.c., comma 4.
Il comune controricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. – In via preliminarmente va esaminata l’eccezione, sollevata dalla parte controricorente, d’inammissibilità del ricorso perchè proposto decorso il termine breve d’impugnazione di cui all’art. 326 c.p.c., essendo stata notificata la sentenza d’appello il 4.5.2010, mentre il ricorso per cassazione risulta notificato il 16.7.2010. Di conseguenza, secondo detta parte, sarebbe coperta dal giudicato interno sia l’esistenza della servitù d’uso pubblico in favore del comune di XXX, sia l’inammissibilità dell’appello della M..
1.1. – L’eccezione è infondata.
In tema di notificazioni degli atti processuali, qualora la notificazione dell’atto, da effettuarsi entro un termine perentorio, non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, questi ha la facoltà e l’onere – anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio – di richiedere all’ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio, e, ai fini del rispetto del termine, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, semprechè la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per conoscere l’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie (così, Cass. S.U. n. 17352/09, che ha cassato la sentenza di merito che aveva dichiarato inammissibile l’appello rinotificato – in seguito alla riattivazione del procedimento notificatorio effettuata, successivamente alla scadenza del termine lungo, dopo pochi giorni dalla conoscenza dell’esito negativo del primo, tempestivamente chiesto – presso il domicilio eletto dall’avvocato e dalla parte nel luogo sede dell’ufficio giudiziario, il cui cambiamento non era stato comunicato alla controparte; conformi, Cass. nn. 586/10, 6846/10, 9046/10, 21154/10 e 26518/11; in precedenza e nello stesso senso, v.
Cass. n. 22480/06).
1.1.1. – Nella fattispecie, il ricorso risulta essere stato consegnato all’ufficiale giudiziario il 2.7.2010 e il primo tentativo di notifica non ha avuto buon fine perchè nel domicilio eletto in Roma, per il giudizio d’appello, dal comune di XXX, l’avvocato domiciliatario, V.R., è risultato sconosciuto. La successiva notificazione effettuata il 16.7.2010 alla procuratrice costituita nel giudizio d’appello per il comune di XXX, Mariella Cari, presso il domicilio di lei sito in (OMISSIS), è invece andata a buon fine. Pertanto, il breve tempo trascorso tra il primo e il secondo tentativo di notifica (appena 14 gg.) è senz’altro tale da ritenere tempestivamente riattivato il procedimento notificatorio, la cui unicità consente di ricondurre alla data del 2.7.2010, e quindi nei sessanta giorni dalla notifica della sentenza d’appello, il momento perfezionativo della notifica per la parte ricorrente.
2. – Il primo motivo del ricorso principale denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 (rectius 4).
Premesso che l’atto d’appello è stato redatto nell’osservanza dell’art. 342 c.p.c., avendo ad oggetto il primo motivo il mancato accoglimento della domanda di accertamento del diritto di proprietà del comune sull’area in questione, il secondo la contestazione della servitù d’uso pubblico ed il terzo la contraddittorietà della decisione di primo grado, parte ricorrente sostiene che l’appello non da luogo ad un nuovo giudizio, ma comporta la rinnovazione di quello di primo grado nei limiti dell’impugnazione proXXX, ed è proponibile indipendentemente dal fatto che con esso si lamenti l’esistenza di un vizio della decisione di primo grado, poichè è sufficiente denunciarne l’ingiustizia assumendo che il provvedimento sia il risultato di un’ingiusta valutazione delle prove, dei fatti o del riferimento dei fatti al diritto.
3. – Il secondo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 346 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 (rectius, 4).
La corte d’appello non ha correttamente applicato l’art. 346 c.p.c., secondo cui le domande e le eccezioni non accolte con la sentenza di primo grado, che non sono espressamente riproposte in appello, s’intendono rinunciate. L’appellante, infatti, in tutti i suoi scritti difensivi ha manifestato la propria volontà di far riesaminare tutte le disposizioni contenute nella sentenza impugnata, formulando precisi motivi di gravame volti a censurare sia il capo relativo al mancato accoglimento della domanda principale (1 motivo), sia quello concernente l’accoglimento della domanda riconvenzionale (2 e 3 motivo). In particolare con il secondo e il terzo motivo la M. ha contrastato punto per punto la motivazione svolta nella sentenza impugnata a sostegno dell’accoglimento della riconvenzionale; ha eccepito la mancanza della prova di un possesso immemorabile e di una generalità d’uso in favore della collettività; ed ha richiamato le dichiarazioni testimoniali rese al riguardo.
4. – Col primo motivo del ricorso incidentale condizionato si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 61, 99, 112 e 324 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c., per avere la Corte d’appello disposto l’accertamento tecnico su questioni non più controverse tra le parti perchè coperte dal giudicato, data l’inammissibilità del gravame principale per carenza in esso di domande volte ad accertare principaliter l’esistenza del diritto di proprietà dell’appellante sull’area contesa.
5. – Con il secondo motivo è denunciata la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. perchè l’accertata appartenenza alla M. dell’area antistante l’edificio di sua proprietà si è basato su di un accertamento tecnico non chiesto dalla stessa parte, nè disposto in primo grado, che ha irritualmente ampliato il thema disputandum et probandum, con conseguente violazione del principio devolutivo dell’appello e del principio dispositivo della prova.
6. – Il terzo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e segg. e dell’art. 1350 c.c., n. 1, in relazione all’art. 116 c.p.c. e all’art. 2697 c.c., nonchè l’omessa ovvero contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
7. – Entrambi i motivi cui si affida il ricorso principale sono inammissibili, perchè non colgono la ratio decidendi della sentenza impugnata, ma si limitano a dedurre l’astratto diritto della parte impugnante ad ottenere dal giudice d’appello una nuova decisione di merito, in funzione di revisione critica di quella di primo grado.
Proprio perchè il giudizio d’appello ha natura di revisio prioris instantiae e non di iudicium novum – come riconosce la stessa parte ricorrente – e proprio perchè il suo effetto devolutivo è sì pieno, perchè consente censure di legittimità e di merito, ma circoscritto dai motivi d’impugnazione, non è sufficiente che la sentenza di primo grado sia impugnata nella sua interezza, essendo necessaria invece l’impugnazione specifica dei singoli capi censurati, e l’esposizione analitica delle ragioni sulle quali si fonda il gravame, in contrapposizione con le ragioni addotte, nella sentenza impugnata, a giustificazione delle singole decisioni adottate (giurisprudenza costante di questa Corte: cfr. Cass. nn. 11935/02, 7208/04, 18722/04, 15558/05 e 840/07).
Con i motivi dedotti, invece, parte ricorrente esaurisce le sue censure alla sentenza della Corte capitolina in enunciazioni astratte e inconcludenti, che mostrano di ritenere, contrariamente al principio di diritto sopra richiamato, che basti predicare l’ingiustizia della decisione di primo grado, senza esplicitarne le ragioni, per riaprire in appello, e con la medesima latitudine, il dibattito processuale svoltosi davanti al giudice di prime cure.
Tesi, questa, vistosamente contraria alla lettera e allo spirito dell’art. 342 c.p.c. e alla premessa natura dell’appello, che costituirebbe una mera reiterazione del primo giudizio se per attivarlo non occorresse altro che riprodurre, in tutto o in parte, i precedenti themata decidenda et probanda ed affidare alla loro pura e semplice indicazione, e non alla capacità critica dell’appellante, il compito di confutare la decisione impugnata.
8. – La reiezione del ricorso principale assorbe l’esame di quello incidentale, in quanto espressamente condizionato all’accoglimento, anche solo parziale, di esso.
9. – Le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza della ricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito quello incidentale condizionato, condanna la ricorrente alle spese, che liquida in Euro 2.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese generali di studio, IVA e CPA come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 aprile 2012.
Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2012

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