Cass. civ. Sez. II, Sent., 07-08-2012, n. 14211

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Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Bologna, con decreto reso pubblico mediante deposito in cancelleria il 1 dicembre 2005, ha dichiarato inammissibile l’opposizione promossa da G.G., + ALTRI OMESSI avverso il provvedimento emesso dal Ministero dell’economia e delle finanze in data 11 febbraio 2005, prot. n. 14623, con cui era stato ingiunto il pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria per violazione di norme legislative e regolamentari in materia di intermediazione finanziaria a XXX s.p.a., quale cessionaria del ramo d’azienda bancario facente capo all’epoca dei fatti alla XXX, nonchè a XXX s.p.a., con obbligo di regresso nei confronti degli altri opponenti persone fisiche, nella qualità di esponenti aziendali e dipendenti di CREDEM. La Corte d’appello ha ritenuto la carenza di legittimazione attiva degli opponenti, rilevando che, in materia di sanzioni amministrative per violazione della disciplina dettata in tema di intermediazione finanziaria, l’esponente aziendale, autore materiale dell’illecito, difetta di un interesse giuridico attuale e concreto alla rimozione del provvedimento impugnato, emesso nei confronti di un soggetto diverso.
Con il medesimo decreto, la Corte d’appello di Bologna ha altresì rigettato l’opposizione proposta da XXX s.p.a. e da XXX s.p.a..
Con il decreto ministeriale erano state contestate, a seguito di accertamenti relativi al collocamento al pubblico dei c.d. bonds Cirio, le seguenti violazioni:
– D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, comma 1, lett. d), (TUF) e art. 56 del Regolamento CONSOB n. 11522 del 1998, per non essersi l’intermediario dotato di procedure interne idonee ad assicurare l’efficiente, ordinata e corretta prestazione del servizio di negoziazione in conto proprio;
– art. 26, comma 1, lett. e), del regolamento n. 11522 del 1998, per non aver l’intermediario acquisito una conoscenza degli strumenti finanziari adeguata al tipo di prestazione fornita, ossia alla negoziazione in conto proprio, rendendo così immediatamente disponibili alla clientela emissioni dalle caratteristiche particolari come quelle riguardanti le obbligazioni del gruppo Cirio;
– art. 28, comma 2, del citato regolamento, per avere l’intermediario effettuato operazioni nei confronti della clientela retail senza avere fornito agli investitori informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione;
art. 29 del medesimo regolamento, per non essersi l’intermediario astenuto dall’effettuare operazioni non adeguate al profilo degli investitori;
– art. 27 regolamento n. 11522 del 1998, per non essersi l’intermediario astenuto dall’effettuare operazioni in conflitto di interessi.
Per la cassazione del decreto della Corte d’appello hanno proposto ricorso XXX s.p.a.; XXX s.p.a., nonchè D.F., + ALTRI OMESSI sulla base di dieci motivi.
Il Ministero dell’economia e delle finanze e la CONSOB hanno resistito con separati atti di controricorso. Quest’ultima ha anche proposto ricorso incidentale condizionato affidato a un motivo.
Motivi della decisione
1. Deve preliminarmente essere disposta la riunione del ricorso principale e di quelli incidentali, in quanto relativi alla medesima decisione (art. 335 cod. proc. civ.).
2.1. Con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti principali si dolgono del fatto che la Corte d’appello di Bologna abbia ritenuto gli esponenti aziendali privi di legittimazione all’impugnazione e, denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 6, comma 3, e D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 22 e art. 195, commi 4 e 9, anche in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., chiedono alla Corte di statuire se il combinato disposto del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 195, commi 4 e 9, nonchè della L. n. 689 del 1981, art. 6, comma 3, e art. 22 debba essere interpretato ed applicato nel senso di riconoscere la legittimazione dei singoli esponenti aziendali, ritenuti responsabili delle violazioni a-scritte e destinatari delle sanzioni pecuniarie conseguentemen-te irrogate dal Ministero dell’Economia e delle finanze, ancorchè non ingiunti, alla proposizione dell’opposizione, innanzi alla Corte d’Appello territorialmente competente, avverso il decreto ministeriale medesimo.
2.2. Con il secondo motivo, i ricorrenti istituti di credito denunciano violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 7 dolendosi del fatto che la Corte d’appello non abbia ritenuto che il decesso di due esponenti aziendali ( G.G. e Gi.Gi.) non comportasse l’estinzione parziale dell’obbligazione pecuniaria in capo ad essi ricorrenti; e formulano il seguente quesito di diritto: dica l’Ecc.ma Corte di cassazione se, ai sensi del combinato disposto degli L. n. 689 del 1981, art. 7 e 195 TUF, comma 9, il decesso del soggetto responsabile della violazione, che determina l’intrasmissibilità ai suoi eredi dell’obbligazione di pagare la somma dovuta per la sanzione, comporti anche l’estinzione dell’obbligazione di pagamento della sanzione pecuniaria in capo all’ente obbligato in solido.
2.3. Con il terzo motivo, i ricorrenti istituti di credito, denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 14 si dolgono della statuizione di rigetto del motivo di opposizione con il quale era stata dedotta la illegittimità del provvedimento sanzionatorio per essere stati gli atti di contestazione notificati oltre il termine di novanta giorni dall’accertamento. A conclusione del motivo i ricorrenti formulano il seguente quesito di diritto: dica l’Ecc.ma Corte di cassazione se il dies a quo per la notifica degli estremi della violazione, di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 14, comma 2 decorra dal momento iniziale in cui Consob sia stata posta in grado di valutare i dati acquisiti in sede di accertamento ispettivo rispetto all’istituto preso in considerazione (CRT), posto che le ulteriori informazioni richieste abbiano confermato solo ed esclusivamente i dati precedentemente acquisiti; ovvero se tale termine possa essere postergato al momento successivo in cui Consob abbia acquisito ulteriori informazioni su Istituti diversi dal primo, con ciò giustificandosi la circostanza che la Commissione, per proprie carenze strutturali, abbia deciso di procedere ad un unico momento valutativo per una pluralità di Istituti, compreso il primo; ovvero, ancora, se tale termine decorra dal momento successivo di adozione della delibera sulla sussistenza degli illeciti configurabili nei fatti acclarati e se, in tale ultima ipotesi, sia legittimo postergare irragionevolmente il tempo della deliberazione rispetto a quello in cui già erano stati accertati e valutati tutti gli elementi soggettivi ed oggettivi delle violazioni in esame.
2.4. Con il quarto motivo, sviluppato in tre distinte censure di violazione e falsa applicazione di legge a) combinato disposto della L. n. 689 del 1981, artt. 6, commi 3 e 4, e dell’art. 195 TUF, comma 9, con riferimento all’art. 1299 c.c., comma 1, e all’art. 1297 c.c., comma 1; b) L. n. 241 del 1990, art. 2 e della deliberazione CONSOB n. 12697/2000, come modificata dalla deliberazione n. 14468 dell’11 marzo 2004; c): L. n. 15 del 2005, art. 21-octies i ricorrenti si dolgono del rigetto del motivo di opposizione concernente il mancato rispetto del termine massimo per la formulazione della proposta Consob di adozione delle sanzioni stabilito con le citate delibere.
Quanto al primo profilo, gli Istituti ricorrenti si dolgono, in particolare, del fatto che la Corte d’appello abbia ritenuto che il motivo di opposizione concernente il mancato rispetto del termine massimo per la formulazione della proposta CONSOB di adozione delle sanzioni di cui alle citate delibere, avrebbe potuto essere eccepito esclusivamente dai singoli autori delle violazioni con riferimento alla loro posizione personale e non dagli Istituti coobbligati in solido.
Sotto il secondo profilo, gli istituti ricorrenti censurano il decreto per avere la Corte d’ appello ritenuto che il dies ad quem del termine di 180 giorni debba individuarsi non nel giorno di trasmissione al Ministero della proposta sanzionatoria, ma nel giorno di adozione del provvedimento o atto finale, adozione nella specie tempestivamente avvenuta rispetto a tutti i soggetti interessati il 3 dicembre 2004, risultando già in tale data deliberata da parte di Consob la presentazione della proposta sanzionatoria. In proposito gli istituti ricorrenti sostengono che, costituendo la proposta al Ministero un atto di impulso della Consob e quindi un atto recettizio, non dovrebbe esservi dubbio che la proposta sanzionatorio possa ritenersi formulata solo nel momento in cui sia giunta a conoscenza del soggetto destinatario della stessa, nella specie il 7 dicembre 2004. Rispetto a tale data, quindi, la conclusione della fase procedimentale relativamente alle contestazioni notificate in data 8 e 10 maggio 2004 agli esponenti B., N., P., Ni., Bo., Ga., P., M. e A., sarebbe intempestiva.
Sotto un altro profilo, i ricorrenti si dolgono del fatto che la Corte d’appello abbia ritenuto che l’inosservanza del termine a provvedere non costituirebbe motivo di annullamento del provvedimento amministrativo perchè di natura non perentoria ed sostengono che la invalidità del provvedimento adottato al di fuori del termine indicato dal regolamento Consob n. 12 697 del 2000, e successive modificazioni, possa essere esclusa facendo applicazione della L. n. 241, art. 21-octies della L. n. 15 del 2005, a norma del quale non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti, qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. In proposito, gli istituti ricorrenti rilevano che tale disposizione è entrata in vigore successivamente al provvedimento sanzionatorio ed è priva di efficacia retroattiva e che comunque, quand’anche si volesse ritenere la norma in esame dotata di efficacia retroattiva, la stessa non sarebbe applicabile non potendosi predicare la natura vincolata della proposta sanzionatoria adottata oltre il termine di conclusione del procedimento.
A conclusione del motivo i ricorrenti formulano il seguente quesito di diritto: dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione se, ai sensi del combinato disposto della L. n. 689 del 1981, artt. 6, commi 3 e 4, e art. 195, comma 9, TUF, con riferimento all’art. 1299 c.c., comma 1 e all’art. 1297 c.c., comma 1, l’Ente di appartenenza ingiunto, in deroga all’art. 1297 c.c., comma 1, abbia diritto di opporre al Ministero dell’Economia e delle Finanze e a Consob le eccezioni personali agli esponenti aziendali, sanzionati ma non in giunti; dica inoltre l’Ecc.ma Corte di Cassazione se, ai sensi del combinato disposto della L. 241 del 1990, art. 2 e del regolamento di attuazione adottato con delibera Consob n. 12 697/2000 (così come modificato ed integrato dalla delibera n. 14468/2004), il termine di 180 giorni per la definizione del procedimento davanti a Consob debba ritenersi perentorio o comunque fissato a pena di invalidità/illegittimità del procedimento stesso e se il relativo dies ad quem debba essere individuato nella data trasmissione dell’atto finale (proposta) al Ministero dell’Economia e delle Finanze, competente per l’adozione del provvedimento di irrogazione delle sanzioni ovvero nella data di ricezione; dica, infine, l’Ecc.ma corte di cassazione se la L. n. 15 del 2005, art. 21 octies, comma 2 trovi applicazione nel caso di specie.
2.5. Con il quinto motivo gli istituti ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, comma 1, lett. d), in relazione all’art. 56, commi 2, 3, 4 e 5, e all’art. 27 del regolamento Consob n. 11522 del 1998, e si dolgono del fatto che, pur prevedendo la citata disposizione una clausola generale di adeguatezza delle procedure, in assenza di standard predeterminati in via regolamentare dall’organo di vigilanza, la Corte d’appello abbia adottato un parametro di riferimento del quale ha assunto la oggettiva adeguatezza senza in alcun modo motivarne la fonte, se non con un riferimento implicito al principio di autorità dell’organo di vigilanza espresso ex post nella proposta sanzionatorio.
Ad avviso dei ricorrenti, sarebbe evidente l’inversione logica operata dalla Corte d’appello nel dedurre la inadeguatezza delle procedure dalla asserita rischiosità, apprezzabile non con un giudizio ex ante ma ex post, di un titolo specifico, avendo la corte territoriale ritenuto la rischiosità del titolo sulla base di un criterio astratto : la provenienza del bond da società estere asseritamente ignote.
A conclusione del motivo di ricorrenti formulano il seguente quesito di diritto con riferimento alla denunciata violazione di legge dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione se l’art. 21, comma 1, lett. b) (recte:
d), D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 -in relazione agli artt. 56, commi 2, 3, 4 e 5, e 27 Reg. Consob n. 11522/1998 – debba interpretarsi nel senso che l’adeguatezza delle procedure dirette ad acquisire le informazioni necessarie dei clienti e per operare in modo che essi siano adeguatamente informati deve essere valutata in base ad un giudizio ex ante di conformità del mezzo al fine.
Con riferimento al denunciato vizio di motivazione, i ricorrenti chiedono a questa Corte di accertare se debba reputarsi omessa la motivazione nel decreto della Corte d’appello, là dove nel valutare la c.d. operatività a paniere non si è effettuato un raffronto tra lo standard asseritamente ritenuto corretto delle procedure poste in essere dalla banca; dica se debba considerarsi contraddittoria la motivazione laddove la Corte d’appello evince l’inidoneità delle procedure dalle caratteristiche dei titoli specifici in default, in quanto emessi da sconosciute società aventi sede all’estero; dica se sia con-traddittoria o carente la motivazione là dove la Corte ha ravvisato l’inidoneità delle procedure nella circostanza che esse erano affidate, oltrechè al sistema informatizzato, anche alla discrezionalità tecnico-professionale dell’operatore.
2.6. Con il sesto motivo i ricorrenti istituti di credito denunciano violazione falsa applicazione e omessa o contraddittoria motivazione relativamente al D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, lett. b), in relazione all’art. 28, comma 2, agli artt. 29 e 27 del Reg. Consob n. 11522/1998. Ricordato il contenuto dell’art. 21, lett. b), il quale stabilisce che nella prestazione dei servizi di investimento i soggetti abilitati devono acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano adeguatamente informati, i ricorrenti formulano il seguente quesito di diritto in relazione alla denunciata violazione di legge: dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione se l’adeguatezza delle procedure, sotto il profilo della acquisizione delle informazioni necessarie e della prestazione delle stesse ai clienti ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, lett. b), e delle relative norme regolamentari, atteso che la conformità delle procedure al precetto non può ravvisarsi soltanto nel caso di totale assenza di difetti operativi, debba essere valutata apprezzando come significativi, ai fini del giudizio, gli elementi di fatto più rilevanti e come invece non caratterizzanti gli elementi di fatto marginali.
Quanto al dedotto vizio di motivazione, i ricorrenti chiedono a questa Corte di accertare se debba reputarsi contraddittoria o omessa la motivazione nel decreto della Corte d’appello, là dove è stata ravvisata una carente informazione agli investitori, omettendosi di considerare l’avvenuta consegna del documento sui rischi generali di investimento e, parimenti, là dove la Corte ha giudicato violato l’obbligo di informazione sulle operazioni inadeguate, sulla base dell’assenza di un dato informativo facoltativo (la situazione finanziaria del cliente) pur in presenza dei dati informativi obbligatori (l’esperienza finanziaria e la propensione al rischio).
2.7. Con il settimo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 2392 cod. civ. nonchè il vizio di omessa motivazione sostenendo che la Corte d’appello avrebbe palesemente errato nella applicazione della citata norma in tema di responsabilità di amministratori e sindaci e ciò sia con riferimento alla ripartizione della responsabilità tra amministratori delegati e amministratori deleganti, sia in relazione all’attività di vigilanza svolta dal consiglio di amministrazione, non considerata dalla corte al fine di valutare se in essa dovesse o no ravvisarsi la violazione del dovere di diligenza.
A conclusione del motivo i ricorrenti formulano il seguente quesito di diritto: dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione se nell’irrogazione della sanzione amministrativa ai consiglieri di amministrazione, in relazione all’art. 2392 cod. civ., vecchio testo, sia rilevante, sotto il profilo specifico della predisposizione di procedure organizzative interne, la distinzione tra poteri e responsabilità degli amministratori delegati e poteri e responsabilità dei delegati e se la prova liberatoria non possa limitarsi alla prova dell’impedimento, a causa del comportamento ostativo di alcuni, allo svolgimento dei poteri-doveri di controllo; dica altresì l’Ecc.ma Corte di Cassazione se la negligenza degli amministratori nell’adempimento dei propri poteri di vigilanza non possa presumersi in forza della mera sussistenza obiettiva di fatto o atti dannosi, ma debba per contro essere provata in concreto.
2.8. Con l’ottavo motivo gli istituti ricorrenti denunciano il vizio di omessa motivazione in relazione all’art. 2392 cod. civ. e alla L. n. 689 del 1981, art. 3 dolendosi del fatto che la Corte d’appello avrebbe omesso di considerare la copiosa produzione documentale da cui risultava che periodicamente e costantemente il consiglio di amministrazione aveva esaminato, sotto molteplici e articolati profili, tutte le questioni relative alle procedure. Chiedono quindi a questa Corte di accertare ®se debba ritenersi omessa la motivazione là dove la Corte d’appello non motiva l’asserito mancato assolvimento dell’onere della prova della diligenza da parte degli amministratori valutando i singoli elementi probatori dedotti nel giudizio (come sopra analiticamente indicati).
2.9. Con il nono motivo i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 2403 cod. civ. e omessa motivazione censurando il provvedimento impugnato con riferimento alla asserita violazione dei doveri di diligenza dei sindaci. A conclusione del motivo i ricorrenti formulano, quanto alla denunciata violazione di legge, il seguente quesito di diritto: dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione se il contenuto del dovere di controllo del sindaco ai sensi dell’art. 2403 cod. civ., nel testo vigente all’epoca dei fatti, relativamente all’adeguatezza delle procedure debba configurarsi come potere-dovere sintetico di carattere generale e se per valutare se i sindaci abbiano violato i doveri di diligenza loro imposti dalla legge debba tenersi nella dovuta considerazione l’attività svolta in concreto, anzichè limitarsi a motivare in base alla mera obiettiva, semprechè sussistente, inadeguatezza della procedura, posta alla base dell’irrogazione della sanzione. Quanto al vizio di motivazione chiedono di accertare se debba ritenersi omessa o comunque contraddittoria la motivazione là dove la Corte d’appello ha ravvisato una negligenza dei sindaci omettendo di considerare l’esame periodico e continuativo delle relazioni dell’Ispettorato interno, l’esito positivo dell’ispezione di Banca d’Italia, il giudizio positivo sulle procedure interne formulato dalla società di revisione.
2.10. Con l’ultimo motivo del ricorso principale gli istituti ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 190, nonchè il vizio di contraddittorietà della motivazione con riferimento alla determinazione delle sanzioni, per non avere la Corte d’appello distinto in ragione della diversità di posizione nella struttura aziendale amministratori delegati, componenti del comitato esecutivo, amministratori senza delega, dirigenti, dipendenti, ecc. I ricorrenti formulano in proposito il seguente quesito di diritto: dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione se nell’irrogare le sanzioni debbano tenersi in adeguata considerazione i criteri di determinazione della sanzione da applicarsi con proporzionalità, in particolare valutando comparativamente la diversità dei poteri dei singoli esponenti aziendali.
3. Con l’unico motivo del ricorso incidentale, condizionato all’accoglimento del primo motivo del ricorso principale, la CONSOB con il quale viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 83 e 84 cod. proc. civ., con riferimento alla eccepita e non ritenuta inammissibilità della proposizione di un unico ricorso in opposizione da una pluralità di parti in conflitto di interessi tra di loro. Il motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito: dica l’Ecc.ma Corte di cassazione se la costituzione in giudizio di più parti, per mezzo di uno stesso procuratore, cui sia stato conferito mandato con unico atto sottoscritto da tutte le predette parti (nella specie, dalle società coobbligate in solido e dai singoli responsabili degli illeciti amministrativi), è valida solo quando fra le stesse non vi sia conflitto di interessi in correlazione stretta con il concreto rapporto esistente fra le parti, i cui interessi risultino suscettibili di contrapposizione.
4. Premesso che il decreto impugnato è stato depositato il 1 dicembre 2005 e che non è quindi applicabile l’art. 366-bis cod. proc. civ. (anche se si è ritenuto opportuno riportare i quesiti di diritto formulati dai ricorrenti principali e incidentale per rendere evidenti le ragioni delle critiche rivolte al provvedimento impugnato), il primo motivo del ricorso principale è fondato.
Successivamente alla proposizione della impugnazione, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato il principio per cui in tema di sanzioni amministrative per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, l’obbligatorietà dell’azione di regresso prevista dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 195, comma 9, nei confronti del responsabile, comporta, anche in ragione dell’efficacia che nel relativo giudizio è destinata a spiegare la sentenza emessa nei confronti della società o dell’ente cui appartiene, che, anche qualora l’ingiunzione di pagamento sia emessa soltanto nei confronti della persona giuridica, alla persona fisica autrice della violazione deve essere riconosciuta un’autonoma legittimazione ad. opponendola, che le consenta anche di proporre separatamente opposizione (Cass., Sez. Un., 30 settembre 2009, n. 20929).
4.1. In motivazione, le Sezioni Unite, dopo aver descritto tutto l’iter procedimentale relativo all’applicazione delle sanzioni e quello del giudizio di opposizione, hanno rilevato che le norme di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998, artt. 6, 145 e 195 introducono la responsabilità solidale della persona giuridica, ma soltanto quelle concernenti il settore finanziario e bancario impongono a questa di agire in regresso contro l’autore della violazione onde ottenere dalla persona fisica, autrice dell’illecito, il rimborso della somma pagata. Ricordate, quindi, le diverse tesi succedutesi nel tempo, le Sezioni Unite hanno esaminato poi il delicato problema della legittimazione attiva nel procedimento di cui all’art. 195 cit. con riguardo alla persona fisica, autrice della violazione, sanzionata ma non direttamente ingiunta, pervenendo alla conclusione che quest’ultima abbia la legittimatio ad opponendum e la posizione processuale del litisconsorte facoltativo per la seguente motivazione:
Dalle considerazioni sinora esposte ne deriva, sul piano tanto sostanziale quanto procedimentale: – che il tipo di interesse riconducibile alla persona fisica non può in alcun modo definirsi "di mero fatto", attesane, da un canto, la qualità di destinataria diretta della sanzione pecuniaria, dall’altro, la immediata sottoposizione alla sanzione accessoria della pubblicazione della sanzione stessa nei modi e nelle forme di legge; che l’interesse di cui il soggetto risulta portatore è, viceversa, interesse effettivo ed attuale, giuridicamente rilevante, all’accertamento negativo dei presupposti degli illeciti a lui addebitati nell’ambito procedimentale sanzionatorio che precede il giudizio di opposizione:
tale interesse ne legittima tanto un’autonoma ed originaria facoltà di proporre opposizione, quanto un successivo intervento in giudizio – ove l’opposizione stessa sia stata già proposta dalla persona giuridica (giusta la correlazione funzionale fra litisconsorzio originario ex art. 103 c.p.c. e litisconsorzio successivo ex artt. 105, 106 e 107 c.p.c.); che la persona fisica ha diritto ad opporsi al provvedimento sanzionatorio dell’autorità senza che ciò implichi l’esigenza o l’opportunità del litisconsorzio necessario (…) potendosi riconoscere il diritto di impugnazione e di intervento a tutti gli interessati senza per questo giungere alla necessità dell’integrazione del contraddittorio, soluzione che, sul piano funzionale, apparirebbe, oltretutto, in aperto contrasto sia con la stessa ratio legis del D.Lgs. n. 58 del 1998 (che postula, di converso, una ineludibile celerità di definizione della vicenda sanzionatoria), sia con i principi generali in tema di obbligazioni solidali (nei confronti di tutti gli esponenti aziendali che non abbiano utilizzato tali facoltà); che la fattispecie del litisconsorzio facoltativo è del tutto compatibile con il riconoscimento della legittimazione attiva anche degli autori materiali dell’illecito. L’esigenza – peraltro, meramente teorica – di assicurare una corretta informazione agli esponenti aziendali in ordine all’esistenza di una procedura amministrativa a loro carico e di un eventuale giudizio di opposizione intrapreso dalla società è sufficientemente garantita ex lege quanto al suo primo aspetto – poichè detti autori materiali sono chiamati a partecipare al procedimento amministrativo di accertamento che ha inizio con "la contestazione degli addebiti agli interessati" (D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 195, comma 2), in seno al quale hanno il diritto di intervenire ed esercitare il diritto di difesa previo accesso agli atti -, ed è assai facilmente raggiungibile, quanto al secondo profilo, attraverso l’esplicazione di una elementare attività di informazione da parte degli interessati presso gli organi sociali competenti ad introdurre la lite.
Le Sezioni Unite hanno quindi rilevato che, ove non si ammettesse la legittimazione processuale delle persone fisiche autrici degli illeciti, sarebbero consequenziali gli effetti del giudicato destinati a riverberarsi sulla successiva azione di regresso per cui, comminata la sanzione ai soggetti ritenuti autori delle violazioni, e però ingiunto il pagamento soltanto alla persona giuridica solidalmente responsabile con essi, allorchè questa, esaurite le proprie difese nel corso del procedimento amministrativo e poi del giudizio di opposizione, abbia pagato la sanzione, all’autore materiale del fatto non resterà che pagare in rimborso l’intero (salve limitate eccezioni personali che abbia da opporre alla società, ad esempio di compensazione) , senza che egli possa più far valere alcun argomento circa l’illegittimità della sanzione nel corso del giudizio che lo veda convenuto dall’ente con l’azione di regresso.
Le Sezioni Unite hanno altresì osservato che la disamina che precede va condotta a conclusione nei sensi che seguono: a) alla persona fisica destinataria della sanzione, ma non ingiunta del pagamento, va riconosciuta una autonoma legitimatio ad opponendum, concretantesi tanto nella facoltà di proporre autonoma opposizione quanto nel diritto di spiegare intervento litisconsortile nel giudizio instaurato dalla società; b) il rapporto processuale che si instaura tra la società e le persone fisiche intervenute nel giudizio di opposizione è di tipo litisconsortile facoltativo, sub specie dell’intervento adesivo autonomo; c) nell’ipotesi di proposizione di diverse opposizioni, in via autonoma, tanto da parte della società quanto da parte della persona fisica, soccorrono, al fine di evitare ipotetici contrasti tra giudicati, le ordinarie regole processuali in tema di connessione e riunione di procedimenti; d) nell’ipotesi di inerzia da parte della persona fisica rispetto al giudizio di opposizione intentato dalla società, il giudicato formatosi in quel processo spiega effetti nel successivo giudizio di regresso quanto ai fatti accertati (con conseguente preclusione delle eccezioni c.d.
"reali"), salva l’opponibilità di eccezioni personali; e) nell’ipotesi di mancata opposizione da parte della società (e di pagamento della sanzione inflitta), nessuna preclusione si verifica, di converso, in seno al giudizio di regresso, ove la persona fisica potrà spiegare tutte le opportune difese (anche) sul merito della sanzione.
4.2. Tutto ciò premesso, questo Collegio ritiene di dover accogliere il primo motivo di ricorso sulla base del principio espresso dalle Sezioni Unite a conclusione delle argomentazioni sopra riportate.
5. Il Collegio ritiene che l’accoglimento del primo motivo renda superfluo l’esame delle altre censure che possono considerarsi assorbite. Invero, la conseguenza dell’accoglimento del ricorso proposto dalle persone fisiche, alle quali la Corte d’appello aveva negato la legittimazione all’opposizione, ad avviso del Collegio non può essere altra che la caducazione del provvedimento impugnato con effetto nei confronti di tutte le parti, e quindi anche per la parte in cui è stato rigettato il ricorso di Capitalia s.p.a..
Orientano a tale conclusione, peraltro già praticata da questa Corte nella sentenza n. 14406 del 2010, sia pure senza una specifica motivazione sul punto (l’esame degli altri motivi del ricorso proposto dall’istituto di credito e dagli esponenti aziendali, dei quali la Corte d’appello aveva in quel caso escluso la legittimazione, è stato ritenuto assorbito dall’accoglimento del primo motivo attinente alla legittimazione ad opponendosi degli esponenti aziendali), i seguenti rilievi.
Invero, ove così non fosse, nel giudizio di rinvio che farà seguito alla presente decisione per effetto dell’accoglimento del primo motivo di ricorso, l’accertamento in ordine alla esistenza delle contestate violazioni, conseguente all’eventuale rigetto dei motivi di ricorso proposti dall’istituto di credito, l’unico nei confronti del quale la Corte d’appello abbia pronunciato sul merito dell’opposizione, non potrà non incidere anche sulla posizione degli esponenti aziendali, i quali, pur avendo manifestato la volontà di opporsi al provvedimento sanzionatorio e pur avendolo fatto unitamente all’istituto di credito, sono stati erroneamente ritenuti non legittimati alla partecipazione al giudizio di opposizione.
Per effetto della statuizione della Corte d’appello si è venuta a creare una singolare situazione. Da un lato, gli esponenti aziendali – che pure avevano manifestato la volontà di opporsi al provvedimento sanzionatorio – sono stati erroneamente esclusi dal giudizio in quanto ritenuti carenti di legittimatio ad opponendum;
dall’altro, la infondatezza dei motivi di opposizione proposti anche dagli esponenti aziendali – esaminati dalla Corte d’appello per rispondere alle medesime censure proposte dall’istituto di credito – è stata accertata dalla Corte d’appello. La statuizione sul punto è stata censurata sia dall’istituto di credito che dagli esponenti aziendali. E’ evidente, peraltro, che le censure mosse in proposito dagli esponenti aziendali non possono in questa sede essere esaminate, atteso che l’avvenuta dichiarazione di inammissibilità del ricorso in opposizione da loro proposto rende la statuizione nel merito a loro non opponibile.
Ammissibili sarebbero invece le censure svolte in ordine alla statuizione sul merito della opposizione dall’istituto di credito.
Peraltro, la utilità del giudizio di opposizione in sede di rinvio con riferimento alla posizione degli esponenti aziendali, potenziali destinatari dell’azione di regresso da parte dell’istituto di credito nel caso in cui il ricorso di quest’ultimo venisse rigettato, con conseguente definitività dell’accertamento di responsabilità in ordine alle violazioni oggetto del provvedimento sanzionatorio, verrebbe del tutto frustrata, nel senso che – in disparte eventuali eccezioni di tipo personale – gli esponenti medesimi sarebbero soggetti all’azione di regresso scaturente dal passaggio in giudicato della decisione di rigetto della opposizione nei confronti dell’istituto di credito. Ove invece si volesse ritenere non opponibile agli esponenti aziendali il giudicato formatosi nei confronti dell’istituto di credito, si ammetterebbe la possibilità di un inammissibile conflitto di giudicati.
La eventualità di un simile conflitto induce quindi a ritenere assorbite le censure proposte dall’istituto di credito, nel senso che nel giudizio di rinvio, con la partecipazione degli esponenti aziendali che hanno espresso la volontà oppositiva e dell’istituto di credito, possa procedersi ad un nuovo esame della opposizione, il cui provvedimento conclusivo sia opponibile a tutte le parti del giudizio stesso.
Il vulnus arrecato al diritto di difesa degli esponenti aziendali non può quindi essere eliminato in altro modo che attraverso la caducazione del provvedimento giurisdizionale che, rigettando l’opposizione proposta dall’istituto di credito, è inevitabilmente destinato a precludere un diverso accertamento con riferimento alla posizione dei soggetti erroneamente dichiarati non legittimati all’opposizione congiuntamente proposta all’istituto di credito.
6. L’accoglimento del primo motivo del ricorso principale, con assorbimento degli altri motivi, comporta altresì l’assorbimento dell’unico motivo del ricorso incidentale condizionato. Invero, la Corte d’appello (pag. 15 del decreto impugnato) ha espressamente ritenuto che la declaratoria di difetto di legittimazione attiva degli esponenti aziendali assorbisse l’esame della ulteriore eccezione di inammissibilità o irricevibilità (totale o parziale) del ricorso sollevata dalla difesa delle Consob con riferimento all’unicità dell’atto pur in presenza di una evidente conflittualità, quanto meno sotto alcuni profili, della impostazione difensiva, tra le posizioni sostanziali e processuali dei firmatari dell’atto stesso (in particolare tra gli Istituti di Credito e gli esponenti aziendali e dipendenti indicati quali responsabili delle infrazioni.
L’affermazione della legittimazione attiva degli esponenti e dipendenti aziendali alla opposizione comporta quindi che il giudice di rinvio dovrà procedere a nuovo esame anche della eccezione ora riferita, sulla quale non vi è stata pronuncia.
7. In conclusione, accolto il primo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri motivi del ricorso principale e il ricorso incidentale condizionato, il decreto impugnato va cassato con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Bologna, la quale procederà a nuovo esame delle opposizioni proposte dagli esponenti aziendali e dagli Istituti di credito.
Il giudice del rinvio provvederà altresì alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri motivi e il ricorso incidentale condizionato; cassa il decreto impugnato e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte d’appello di Bologna.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 16 novembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2012

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