Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 01-02-2013) 27-02-2013, n. 9426

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
1. Con ordinanza del 22.5.2012 il Tribunale di Palermo, investito ai sensi dell’art. 309 c.p.p., rigettava l’istanza di riesame avanzata da M.A.A. relativamente all’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip del Tribunale di Marsala il 4.5.2012, nei confronti del prevenuto, per il reato di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 12, commi 1, 3 e 3 bis, comma 3 ter, lett. a), per avere in concorso con altri procurato l’ingresso a 65 cittadini extracomunitari nel territorio del nostro stato, in violazione delle norme del TU suindicato, concorrendo ad effettuare il trasporto di costoro su peschereccio, quindi operando il loro trasbordo da peschereccio a gommone, fino a giungere sulle coste italiane. Il Tribunale rilevava che dagli atti era emerso che l’indagato faceva parte dell’equipaggio del peschereccio da cui erano stati trasbordati gli stranieri che furono poi sbarcati in Sicilia, sulla spiaggia di (OMISSIS); che l’azione di polizia, sia attraverso sorveglianza aerea che attraverso unità navale della guardia di Finanza, aveva consentito di accertare che il peschereccio, ancorchè rinvenuto in acque internazionali, faceva da sponda al gommone che operava sul territorio italiano per scaricare gli stranieri (ed infatti altri soggetti extracomunitari,in attesa di essere trasbordati, venivano rinvenuti al suo interno) con il che il reato doveva ritenersi commesso in parte in Italia e come tale doveva essere ritenuto ricadente nella giurisdizione dello stato italiano ai sensi dell’art. 6 c.p..
L’istante era stato identificato come membro dell’equipaggio del peschereccio alla luce della documentazione identificativa trovata all’interno; la particolarità del carico e le modalità del trasbordo non potevano non rendere palese a tutti i membri dell’equipaggio lo scopo della traversata; lo stesso capitano del motopeschereccio ebbe a riferire che tutti i membri dell’equipaggio diedero un contributo causale al trasporto verso le coste della Sicilia degli stranieri che a suo dire furono rinvenuti al largo di Malta. Circostanza questa smentita dalla dichiarazione di tre degli stranieri trasportati, che ebbero a rappresentare di essere stati caricati in Egitto, di aver viaggiato dieci giorni verso le coste sicule e di avere pagato il trasporto al capitano ed ai membri dell’equipaggio. Tale compendio veniva ritenuto adeguato e sufficiente, in termini di gravità indiziaria, a dimostrare un volontario e consapevole contributo di tutto l’equipaggio alla vicenda oggetto del presente processo, connotata dalle aggravanti ritenute.
Venivano giudicate sussistenti le esigenze cautelari, sia sotto il profilo del pericolo di fuga, sia sotto il profilo del pericolo di ripetizione della condotta delittuosa, considerato l’inserimento del soggetto in un circuito criminogeno fonte di redditività, così come emerso dall’attività investigativa, a fronte del quale non può rivestire rilievo il dato dell’incensuratezza. Veniva quindi ritenuta come unica misura adeguata sotto il profilo cautelare quella di massimo rigore che si appalesa proporzionata anche alla gravità del fatto in sè.
2. Avverso tale pronuncia, ha proposto ricorso in cassazione la difesa del ricorrente per dedurre:
2.1 mancanza e manifesta illogicità della motivazione, nonchè violazione di legge in relazione all’art. 6 c.p., art. 125 c.p.p., art. 111 Cost. Secondo la difesa il fatto che il peschereccio ed il gommone siano stati intercettati in acque internazionali farebbe escludere la sussistenza del reato per cui si procede, non avendo su di esse lo stato giurisdizione; non solo, ma sarebbe stato accertato che il gommone con a bordo gli extracomunitari fermati sulle coste italiane era di nazionalità italiana, essendo stato rubato nelle acque antistanti (OMISSIS), per cui non poteva essere considerato una landa del motopeschereccio inseguito. Mancherebbe quindi la giurisdizione dello Stato italiano.
2.2. Mancanza o manifesta illogicità della motivazione sulla sussistenza di gravi indizi, nonchè violazione dell’art. 273 c.p.p..
La semplice circostanza di essere componente dell’equipaggio, senza altra specifica contestazione di condotta idonea a concorrere al reato per cui si procede, da sola non può integrare il presupposto della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, non foss’altro per il diverso ruolo assunto da ciascun membro dell’equipaggio a bordo della nave, il cui comando per la navigazione è organizzato gerarchicamente, atteso che è al comandante (che rappresenta l’armatore) che spetta la direzione della manovra e della navigazione. Il giudice della cautela avrebbe dovuto, in relazione alle singole posizioni, specificare il ruolo rivestito ed i singoli specifici elementi accusatori.
2.3 mancanza o manifesta illogicità della motivazione, nonchè violazione della legge processuale con riferimento alla ritenuta sussistenza del pericolo di reiterazione del reato per violazione degli artt. 274 e 275 c.p.p., per avere il tribunale del riesame argomentato in modo illogico e carente la sussistenza delle esigenze cautelari per impedire la fuga e la ripetizione di condotte delittuose: il pericolo di fuga sarebbe stato argomentato sulla base delle caratteristiche oggettive e soggettive del reato, il giudizio di disfavore della personalità del soggetto sarebbe avulso sia dai precedenti penali che dal vaglio della condotta, laddove avrebbe dovuto fondarsi non sulla sola gravità del reato, ma anche su comportamenti concreti al di là ed al di fuori del fatto stesso.
Il disvalore andava argomentato in riferimento a precedenti condanne e a comportamenti anteatti, coevi o successivi al reato in questione, ma ad esso estranei, onde dimostrare l’inclinazione a delinquere.
2.4 mancanza o manifesta illogicità della motivazione, nonchè violazione di legge con riferimento all’inadeguatezza di altra misura cautelare di minore rigore, non essendo stati indicati elementi specifici dimostrativi nel caso concreto della maggiore idoneità della misura adottata a soddisfare le esigenze cautelari.
Motivi della decisione
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perchè i motivi sono carenti di specificità, avendo riprodotto doglianze avanzate in sede di riesame sulle quali è intervenuta adeguata risposta e comunque si profilano manifestamente infondati.
In primis va detto quanto al ritenuto difetto di giurisdizione che i giudici della cautela hanno correttamente evidenziato che una parte dell’azione delittuosa in contestazione venne accertata come direttamente commessa in territorio italiano, avendo la guardia di finanza avvistato dall’alto un peschereccio affiancato da un gommone in acque extraterritoriali ed avendo seguito detto gommone fino al momento in cui ebbe a toccare la costa italiana, facendo sbarcare dei soggetti che appena toccata terra si diedero alla fuga, salvo poi essere rintracciati e controllati come soggetti egiziani che avevano cercato di raggiungere da clandestini il nostro paese. Il che dava contezza della attività illegale di favoreggiamento dell’immigrazione posta in essere dall’equipaggio del peschereccio con cui il gommone faceva da spola, attività conclamata all’esito del controllo del peschereccio stesso, all’interno del quale venivano rinvenuti altri stranieri pronti per essere trasbordati con il gommone sulle coste della Sicilia. Correttamente è stato ritenuto che laddove anche solo una parte dell’attività delittuosa sia commessa in Italia deve essere perseguito qualsiasi atto facente parte dell’iter criminoso. Nessuna forzatura, men che meno di norme costituzionali, è dato rilevare.
Contrariamente a quanto opinato dalla difesa, i giudici della cautela hanno correttamente interpretato gli elementi indizianti, adeguatamente coordinandoli in un organico quadro interpretativo, alla luce del quale è risultata dotata di plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito della gravità, nel senso che sono stati ritenuti conducenti, con elevato grado di probabilità, quanto al tema dell’indagine concernente la ritenuta attività diretta a realizzare lo sbarco dei clandestini rinvenuti sul peschereccio sul nostro territorio. L’identificazione del ricorrente quale membro dell’equipaggio è stata conclamata dalla documentazione rinvenuta all’interno del peschereccio identificativa l’equipaggio stesso. Sul consapevole contributo causale offerto da ciascuno dei membri dell’equipaggio, i giudici della cautela hanno correttamente argomentato assumendo che unico scopo della traversata del peschereccio era quello di trasportare il carico di migranti sulle coste siciliane, cosicchè ciascuno era perfettamente al corrente dello scopo della traversata e ciascuno ebbe a fornire un apporto causale significativo alla verificazione del fatto. Parimenti corretta è stata la valorizzazione in chiave gravemente indiziaria del contributo informativo offerto da almeno tre degli extracomunitari trasportati e sentiti ai sensi dell’art. 350 c.p.p., u.c., i quali avevano rivelato di aver pagato il trasporto ai membri dell’equipaggio, con il che era assolutamente plausibile ritenere l’azione frutto di un’intesa tra i componenti l’equipaggio e non di un’imposizione dall’alto, da parte del comandante. La valutazione del Tribunale verte sul grado di inferenza degli indizi e quindi sull’attitudine più o meno dimostrativa degli stessi in termini di qualificata probabilità di colpevolezza, anche se non di certezza, di talchè deve reputarsi che la motivazione dell’ordinanza impugnata supera il vaglio di legittimità demandato a questa Corte, vaglio che deve arrestarsi alla verifica del rispetto delle regole della logica e della conformità ai parametri normativi di riferimento quanto all’apprezzamento del compendio indiziario.
Anche sotto il profilo delle esigenze cautelari e della adeguatezza della misura adottata, il Tribunale ha opinato senza forzare il dato normativo, evidenziando il carattere professionale dell’attività illecita, presupponente collegamenti con ambienti criminali, nonchè la sussistenza di un evidente pericolo di fuga dell’indagato a sua volta extracomunitario e senza radicamento nei paesi dell’Unione, profili che portavano necessariamente a valutare come indispensabile la misura di maggiore rigore, senza possibilità di alternative.
Si impone quindi la dichiarazione di inammissibilità del ricorso; a tale declaratoria, riconducibile a colpa del ricorrente, consegue la sua condanna al pagamento delle spese del procedimento e di somma che congruamente si determina in Euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende, giusto il disposto dell’art. 616 c.p.p., così come deve essere interpretato alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 186/2000.
A cura della cancelleria deve essere trasmessa copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al pagamento della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.
Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
Così deciso in Roma, il 1 febbraio 2013.
Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2013

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