Cass. civ. Sez. II, Sent., 07-08-2012, n. 14209

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Roma, con decreto reso pubblico mediante deposito in cancelleria il 7 giugno 2006, ha accolto l’opposizione promossa da G.G. avverso il provvedimento emesso dal Ministero dell’economia e delle finanze, su proposta della Banca d’Italia, in data 11 gennaio 2006.

Con l’indicato decreto all’opponente, nella qualità di presidente del collegio sindacale della Banca Popolare di Lodi, poi trasformatasi in Banca Popolare Italiana, era stata irrogata una sanzione di 10.000,00 Euro per ciascuna delle seguenti tre irregolarità: 1) acquisizione da parte della Banca Popolare Italiana del controllo della Banca Antoniana Popolare Veneta in assenza di preventiva autorizzazione (R.D.L. 12 marzo 1936, n. 375, art. 19, comma 2, TUB; titolo 2, capo 1, istruzioni di vigilanza); 2) acquisizione da parte della Banca Popolare Italiana di partecipazioni rilevanti nel capitale della Banca Antoniana Popolare Veneta in assenza di preventiva autorizzazione (R.D.L. 12 marzo 1936, n. 375, art. 19, comma 1, e art. 53, comma 1, lett. C, TUB; titolo 2, capo 1, e titolo 4, capo 9, istruzioni di vigilanza); 3) detenzione da parte della Banca Popolare Italiana di una partecipazione superiore a quella autorizzata nel capitale della Banca Antoniana Popolare Veneta, per il tramite dell’interposizione dei fondi "Generation Fund" GF e "Active Fund" AF in assenza di preventiva autorizzazione (R.D.L. 12 marzo 1936, n. 375, art. 19, comma 1, e art. 53, comma 1, lett. c, TUB; titolo 2, capo 1, e titolo 4, capo 9, istruzioni di vigilanza).

Tali irregolarità erano state rilevate dalla Banca d’Italia sulla base della Delib. Consob 10 maggio 2005, n. 15029 che aveva accertato la stipula, quanto meno dal 18 aprile 2005, di un patto parasociale tra la Banca Popolare di Lodi, poi trasformatasi in Banca Popolare Italiana, e altri soggetti, avente ad oggetto l’acquisto concertato di azioni ordinarie della Banca Antoniana Popolare Veneta e l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante sulla Banca stessa, e il conseguente inadempimento degli obblighi di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 122.

La Corte d’appello ha reputato che le previsioni sanzionatorie contenute nel R.D.L. 12 marzo 1936, n. 375, art. 139 TUB (D.Lgs. n. 385 del 1993) operassero solo nei riguardi dei soggetti – nel caso di banche costituite in forma societaria di capitali, gli organi amministrativi e decisionali – che avessero operato le acquisizioni in assenza di autorizzazione, e non anche nei confronti di coloro che avrebbero potuto cooperare colposamente nelle suddette operazioni, e quindi nei confronti dei componenti del collegio sindacale della Banca Popolare Italiana; ciò sul rilievo che la citata disposizione non prevede la sanzionabilità di comportamenti di cooperazione colposa alle indebite acquisizioni.

Per la cassazione del decreto della Corte d’appello la Banca d’Italia ha proposto ricorso sulla base di un motivo, cui ha resistito, con controricorso, G.G., mentre l’intimata amministrazione non ha svolto attività difensiva.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

Motivi della decisione

Con l’unico motivo di ricorso la ricorrente si duole che la Corte d’appello di Roma abbia ritenuto non applicabili ai componenti del collegio sindacale le disposizioni di cui all’art. 139 del TUB, e quindi anche quella di cui all’art. 19 del medesimo testo unico.

A conclusione del motivo la ricorrente formula il seguente quesito di diritto: se la sanzione di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 139 per la violazione dell’art. 19 t.u.b. posta in essere da una società bancaria debba applicarsi anche nei confronti dei suoi organi di controllo e non soltanto dei suoi organi amministrativi e decisionali.

Il controricorrente ha eccepito la inammissibilità del ricorso per tardività e per genericità del quesito di diritto.

La prima eccezione è destituita di fondamento, essendo sul punto sufficiente rilevare che la idoneità della comunicazione effettuata dalla cancelleria a determinare il decorso del termine breve per la proposizione dell’impugnazione opera, ai sensi della prima parte dell’art. 739 cod. proc. civ., comma 2 nel solo caso in cui il procedimento camerale si sia svolto nei confronti di una sola parte, mentre, nel caso in cui il provvedimento conclusivo sia stato dato in confronto di più parti, il termine decorre dalla notificazione del provvedimento stesso.

E’ infondata altresi la seconda eccezione, atteso che il quesito di diritto presenta i requisiti idonei a consentire lo scrutinio nel merito del ricorso.

Nel merito, il ricorso è tuttavia infondato.

Occorre premettere che al resistente, come si desume dallo stesso quesito di diritto formulato dalla Banca d’Italia, sono state contestate più violazioni dell’art. 19, sanzionate dal D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 139 e cioè: a) l’acquisizione da parte della Banca Popolare Italiana del controllo della Banca Antoniana Popolare Veneta in assenza di preventiva autorizzazione (art. 19, comma 2, TUB;

titolo 2, capo 1, istruzioni di vigilanza); 2) l’acquisizione da parte della Banca Popolare Italiana di partecipazioni rilevanti nel capitale della Banca Antoniana Popolare Veneta in assenza di preventiva autorizzazione (artt. 19, comma 1, e art. 53, comma 1, lett. c, TUB; titolo 2, capo 1, e titolo 4, capo 9, istruzioni di vigilanza); 3) la detenzione da parte della Banca Popolare Italiana di una partecipazione superiore a quella autorizzata nel capitale della Banca Antoniana Popolare Veneta, per il tramite dell’interposizione dei fondi "Generation Fund" GF e "Active Fund" AF in assenza di preventiva autorizzazione (art. 19, comma 1, e art. 53, comma 1, lett. c, TUB; titolo 2, capo 1, e titolo 4, capo 9, istruzioni di vigilanza).

L’art. 19, comma 1, nel testo ratione temporis applicabile, stabiliva che la Banca d’Italia autorizza preventivamente l’acquisizione a qualsiasi titolo di azioni o quote di banche da chiunque effettuata quando comporta, tenuto conto delle azioni o quote già possedute, una partecipazione superiore al 5 per cento del capitale della banca rappresentato da azioni o quote con diritto di voto e, indipendentemente da tale limite, quando la partecipazione comporta il controllo della banca stessa.

L’art. 53, comma 1, stabilisce che la Banca d’Italia, in conformità delle deliberazioni del CICR, emana disposizioni di carattere generale aventi a oggetto: (…) c) le partecipazioni detenibili; d) l’organizzazione amministrativa e contabile e i controlli interni.

A norma dell’art. 139, poi, sotto la rubrica "partecipazione al capitale di banche e di società finanziarie capogruppo", disponeva, al comma 1, nel testo ratione temporis applicabile, che l’omissione delle domande di autorizzazione previste dall’art. 19, la violazione degli obblighi di comunicazione previsti dall’art. 20, comma 2, nonchè la violazione delle disposizioni dell’art. 24, commi 1 e 3, dell’art. 25, commi 3 e 4, dell’art. 108, commi 3 e 4, e dell’art. 110, comma 4, sono punite con la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.164,00 a 51.645,00 Euro" e, al comma 3, che la sanzione amministrativa pecuniaria prevista dal comma 1 e la pena prevista dal comma 2 si applicano per le medesime violazioni in materia di partecipazioni nelle società finanziarie capogruppo.

Al resistente, peraltro, non risulta essere stata contestata l’omissione dello svolgimento della funzione di controllo propria del Collegio sindacale di un istituto di credito. In proposito, rileva il D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 52, comma 1, il quale, nel testo modificato dal D.Lgs. n. 58 del 1998, sotto la rubrica "Comunicazioni del collegio sindacale e dei soggetti incaricati del controllo legale dei conti", prevede che il collegio sindacale informa senza indugio la Banca d’Italia di tutti gli atti o i fatti, di cui venga a conoscenza nell’esercizio dei propri compiti, che possano costituire una irregolarità nella gestione delle banche o una violazione delle norme disciplinanti l’attività bancaria.

Nè il mero riferimento contenuto nelle contestazioni rivolte al resistente alla violazione del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 53, comma 1, lett. c) e d), poteva valere a far ritenere che la condotta contestata al resistente fosse quella di omissione del controllo o della vigilanza da lui dovuti in qualità di presidente del collegio sindacale della banca, i cui amministratori o altri soggetti investiti di funzioni decisionali, avevano effettuato l’acquisizione di partecipazioni senza previa autorizzazione dell’organismo di controllo. Ciò che rileva, ai fini della identificazione della condotta contestata, infatti, non è la mera indicazione di una disposizione ma descrizione del fatto del quale si ritiene che il destinatario della contestazione debba rispondere. E non vi è dubbio che nelle condotte contestate, prima richiamate, viene in rilievo la condotta di acquisizione delle partecipazione e non anche l’omesso controllo su detta attività da parte del collegio sindacale dell’Istituto e del suo presidente.

Correttamente, dunque, la Corte d’appello ha escluso la sanzionabilità della condotta oggetto di contestazione, ove rapportata non ad un organo di amministrazione attiva dell’Istituto, ma all’organo di controllo, per il quale la condotta contestabile avrebbe potuto essere quella della omessa vigilanza.

Una simile lettura restrittiva discende anche dalla considerazione che l’art. 53 ha ad oggetto la vigilanza regolamentare e prevede il potere di direttiva e di vigilanza della Banca d’Italia, ma non appare riferirsi al profilo del controllo e del vigilanza per l’eventuale violazione dell’art. 19, il quale ha invece ad oggetto l’assunzione di partecipazioni azionarie in altre banche o l’acquisizione del controllo di queste senza autorizzazione.

Evenienza, questa, che, una volta riscontrata dall’organismo di controllo, giustificherebbe l’insorgere dell’obbligo di comunicazione di cui all’art. 52.

Nè può essere condiviso l’assunto della Banca d’Italia secondo cui la responsabilità amministrativa dei sindaci sarebbe comunque ipotizzabile, in riferimento ad ogni violazione, allorquando si rilevi la violazione dei doveri di vigilanza e di controllo. Una simile impostazione non sembra la responsabilità dei componenti del collegio sindacale è presa in considerazione del D.Lgs. n. 385 del 1985, art. 144.

Questo articolo, nel testo applicabile ratione temporis, stabiliva, al comma 1, che nei confronti dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione o di direzione, nonchè dei dipendenti si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da Euro 2.582,38 a Euro 129.118,89 per l’inosservanza delle norme dell’art. 18, comma 4, dell’art. 26, commi 2 e 3, dell’art. 34, comma 2, degli artt. 35, 49, 51, 53, 54, 55, dell’art. 64, commi 2 e 4, degli artt. 66, 67, 68, 108, dell’art. 109, comma 3, dell’art. 110 in relazione all’art. 26, commi 2 e 3 e all’art. 64, commi 2 e 4, all’art. 114-quater, all’art. 129, comma 1, all’art. 145, comma 3, all’art. 146, comma 2, all’art. 147 e all’art. 161, comma 5, o delle relative disposizioni generali o particolari impartite dalle autorità creditizie. Al comma 2, prima parte, invece, esso prevedeva e prevede che le sanzioni previste nel comma 1 si applicano anche ai soggetti che svolgono funzioni di controllo per la violazione delle norme e delle disposizioni indicate nel medesimo comma o per non aver vigilato affinchè le stesse fossero osservate da altri. Rilevante è poi anche la disposizione di cui al comma 2, seconda parte, la quale, nel testo applicabile ratione temporis, disponeva che per la violazione dell’art. 52, dell’art. 61, comma 5, e dell’art. 112 è applicabile la sanzione prevista dal comma 1.

Sulla base di quanto sin qui rilevato, il decreto impugnato si sottrae alle censure proposte in quanto: al resistente è stata contestata una condotta che non appare riconducibile ad altra fattispecie normativa che non sia quella prevista dall’art. 19 e sanzionata dall’art. 139 del TUB; la responsabilità a titolo di illecito amministrativo è prevista per i componenti del collegio sindacale dall’art. 144, comma 2, per le violazioni indicate nel comma 1, tra le quali non è inclusa quella di cui all’art. 139; la possibilità di ritenere estesa ai componenti del collegio sindacale la responsabilità, anche a titolo omissivo, per la violazione dell’art. 139 deve essere esclusa sulla base del rilievo che la disciplina sanzionatoria per la violazione dei soggetti dotati di controllo è posta dall’art. 144, comma 2, il quale estende ai detti soggetti le sanzioni relative alle violazioni considerate al comma 1, tra le quali non è compresa quella di cui agli artt. 19 e 139; è ben vero che tra le disposizioni contemplate nel comma 1 vi è l’art. 53, ma tale disposizione, ancorchè menzionata in due dei tre illeciti contestati al resistente, non risulta espli-citata tra le condotte oggetto di contestazione; il medesimo comma 2 dell’art. 144 prevede poi che le sanzioni di cui al comma 1 si applichino anche ad altre violazioni, tra le quali è inclusa quella di cui all’art. 52, ma non anche quella di cui agli artt. 19 e 139.

In sostanza, deve ritenersi che la Corte d’appello abbia fatto corretta applicazione delle disposizioni richiamate e del principio di legalità di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 1 a norma del quale nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione (primo comma) e le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati.

Deve da ultimo escludersi la pertinenza del richiamo fatto dalla difesa della ricorrente alla sentenza di questa Corte n. 3972 del 2004, trattandosi di pronuncia relativa all’obbligo di comunicazione (peraltro ritenuto nella specie gravante su un componente del consiglio di amministrazione), previsto dall’art. 51, e suscettibile di sanzione ai sensi del comma 1 dell’art. 144 per effetto dello specifico rinvio contenuto nella seconda parte del comma 2 del medesimo art. 144. Nè ulteriore sostegno all’assunto della ricorrente si rinviene nella sentenza n. 6623 del 2005, atteso che in essa era stato contestato l’illecito di cui all’art. 53, menzionato nel comma 1 dell’art. 144 e sanzionato, con riferimento ai componenti del collegio sindacale, per effetto del rinvio di cui al comma 2, atteso che, come si desume dalla lettura della sentenza, la condotta oggetto di contestazione era consistita proprio nell’avere mancato di informare l’organo di vigilanza su aspetti rilevanti dell’andamento della banca.

Invero, come si è più volte rilevato, nel caso di specie dalla sentenza impugnata e dallo stesso ricorso non emerge che oggetto di contestazione fosse stata la violazione dell’obbligo di comunicazione o di informazione gravante sul collegio sindacale e comunque sul suo presidente.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente, in applicazione del principio della soccombenza, al pagamento in favore del resistente delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di Cassazione, il 16 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2012

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