Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 01-02-2013) 14-02-2013, n. 7354

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Svolgimento del processo
1. Con decreto in data 4.11.2011 la Corte di appello di Reggio Calabria confermava il provvedimento in data 3.11.2010 con il quale il Tribunale della stessa città aveva applicato ad V. G. la misura della prevenzione della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza con l’obbligo di soggiorno nel comune di residenza per la durata di anni quattro ed il versamento della cauzione di Euro 10.000, ai sensi della L. n. 575 del 1965. In particolare, il predetto veniva ritenuto socialmente pericoloso in quanto indiziato di appartenere all’omonimo sodalizio C denominato ‘XXX.
2. Avverso il decreto di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione il G., a mezzo dei difensori di fiducia, deducendo il vizio della motivazione e la violazione di legge atteso che la misura di prevenzione è stata applicata pur in mancanza del presupposto della attualità della pericolosità del proposto.
Il ricorrente lamenta che la Corte di secondo grado non ha adeguatamente valutato gli argomenti difensivi in ordine alla mancanza del presupposto dell’attualità della pericolosità sociale;
che l’applicazione della misura di prevenzione è stata fondata su elementi tratti da un procedimento penale (cd. operazione XXX) nel quale il proposto è stato condannato con sentenza non definitiva e da altro procedimento (ed, operazione XXX) che è ancora in fase dibattimentale.
Rileva, altresì, il ricorrente è incensurato e che i fatti esaminati sono ormai remoti, mentre negli anni successivi ha tenuto condotta regolare, circostanza che non è stata in alcun modo valutata dalla Corte territoriale contraddicendo il principio secondo il quale l’applicazione della misura di prevenzione presuppone la mancanza di elementi che contraddicano la valutazione di pericolosità.
Motivi della decisione
1. Le doglianze proposte dal ricorrente sono manifestamente infondate.
Secondo un principio consolidato, ai fini dell’applicazione della misura di prevenzione personale l’accertamento della pericolosità sociale prescinde dall’affermazione della penale responsabilità e deve fondare su una valutazione da parte del giudice di elementi di fatto dai quali si possa desumere, tenuto conto delle oggettive condotte di vita del proposto, la pericolosità sociale dello stesso secondo le categorie cui la normativa vigente riconduce l’applicabilità delle misure di prevenzione personali.
E’ stato, quindi, affermato che è applicabile la misura di prevenzione nei confronti di indiziati di appartenenza ad associazioni mafiose, in ragione dell’autonomia tra il giudizio di cognizione e quello di prevenzione, anche nel caso in cui sia intervenuta l’assoluzione del proposto per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen., ovvero, sia stata esclusa la sussistenza dell’aggravante di cui al D.L. n. 203 del 1991, art. 7, purchè il giudice indichi le concrete circostanze di fatto, non smentite dalla decisione assolutoria, dalle quali si possa desumere la cd.
pericolosità qualificata.
Quanto alla valutazione dell’attualità della pericolosità, se è vero che l’appartenenza ad una associazione di tipo mafioso evidenzia di per sè una particolare pericolosità sociale, anche per gli indiziati di partecipazione ad associazioni mafiose deve essere accertata la presenza, al momento della valutazione finalizza all’applicazione della misura di prevenzione, di elementi sintomatici dell’attualità di una condotta di vita tale da legittimare l’adozione delle misure personali.
Pertanto, pur se il requisito dell’attualità della pericolosità sociale è da considerarsi necessariamente implicito nella ritenuta appartenenza del proposto ad una associazione mafiosa, occorre, comunque, che non sussistano elementi, oltre il decorso del tempo, dai quali possa ragionevolmente desumersi che l’inserimento nell’organizzazione sia venuto meno. Naturalmente, posto che la mera appartenenza ad una associazione di tipo mafioso evidenzia di per sè una particolare pericolosità sociale, i diversi livelli di adesione e di partecipazione si riverberano sulla individuazione degli elementi in concreto sufficienti a desumere il successivo allontanamento dall’organizzazione (Sez. 1, n. 17932, 10/03/2010, XXX, rv. 247053).
2. Orbene, nella specie, i giudici di primo e secondo grado hanno fatto corretta applicazione dei principi innanzi richiamati, evidenziando che nell’ambito di due distinti procedimenti penali, relativi a fatti del 2007 e del 2009, sono emersi elementi univoci in ordine alla partecipazione di G.V. al sodalizio mafioso facente capo alla sua famiglia, tuttora operante.
In specie, è stato evidenziato che il predetto è stato condannato in primo grado per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen., alla pena di anni cinque e mesi sei di reclusione per avere interferito con metodi mafiosi nelle elezioni del sindaco di XXX e per avere imposto al neoeletto la nomina del vicesindaco e di un assessore, nonchè, la assegnazione ad una ditta di fiducia del sodalizio della gestione dei giochi pirotecnici in occasione della festa della patrona, incassando in tal modo la metà dell’importo stanziato.
Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, la Corte di appello ha compiutamente esaminato le argomentazioni difensive; ha, in particolare, sottolineato come fossero destituiti di fondamento i rilievi volti a ridimensionare il ruolo svolto dai fratelli G. A. e V. nella vicenda del condizionamento elettorale, risultando palese ed univoco il contributo dei predetti da quanto emerso nelle conversazioni intercettate, che sono state specificamente richiamate.
Elementi di fatto significativi sono stati ritenuti, altresì, quelli emersi nel procedimento nel quale al proposto è stata applicata la misura cautelare della custodia in carcere e, successivamente rinviato a giudizio, in relazione al concorso nel tentato omicidio, aggravato ai sensi del D.L. n. 152 del 1991, art. 7 di A. C. e R.C., avvenuto nell’ottobre 2009 nell’ambito della faida in corso nel territorio di XXX tra due gruppi contrapposti all’interno della famiglia G. finalizzata all’acquisizione dell’egemonia mafiosa.
La Corte di merito alla luce di tali significative circostanze di fatto ha, quindi, sottolineato la mancanza elementi dai quali trarre un successivo cambiamento delle condotte di vita del proposto verso l’allontanamento dal sodalizio mafioso in oggetto della cui esistenza ed attuale operatività non è dato dubitare.
A fronte di tali argomenti, il ricorrente ha sostanzialmente riproposto le medesime doglianze sulle quali la Corte di appello ha compiutamente motivato sulla base di circostanze di fatto emerse dal procedimento e facendo corretta applicazione dei principi innanzi richiamati.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento a favore della cassa delle ammende di sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in Euro mille, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della cassa della ammende.
Così deciso, il 11 febbraio 2012.
Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2013
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