Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 07-08-2012, n. 14195

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
Con sentenza del 28/1-18/8/09 la Corte d’appello di Bologna ha respinto l’impugnazione proposta da C.F.M. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Ravenna, con la quale gli era stata respinta la domanda diretta all’annullamento del licenziamento intimatogli per giusta causa il 25/5/05 dalla società XXX s.r.l. a seguito di procedimento disciplinare.
Il primo giudice aveva ritenuto giustificato il licenziamento in considerazione del fatto che il dipendente aveva posto in essere un reiterato atteggiamento di insubordinazione gerarchica rifiutandosi per ben due volte di eseguire l’ordine di servizio di recarsi a lavorare presso la XXX, società agricola curata dalla datrice di lavoro e rifiutandosi, altresì, in occasione del secondo ordine, di riceverne la relativa comunicazione scritta; inoltre, le altre infrazioni disciplinari erano state ravvisate nell’uso della macchina aziendale per il compimento di viaggi personali in coincidenza di un periodo in cui il C. si era posto in malattia e nell’utilizzo, per telefonate personali, del telefonino aziendale.
Nel confermare la decisione gravata la Corte territoriale ha rilevato che era risultato comprovato che il C. si era rifiutato di ottemperare all’ordine verbale di recarsi presso la società XXX e di ricevere, in occasione della seconda intimazione, il relativo ordine scritto, così come si era rifiutato, malgrado il provvedimento di sospensione dal lavoro, di riconsegnare l’autovettura aziendale concessagli precedentemente in dotazione, per cui, considerato anche un precedente rifiuto, mai contestato, di firmare una comunicazione aziendale, sussistevano pienamente le ragioni del grave e reiterato atteggiamento di insubordinazione del dipendente atto a giustificarne il licenziamento.
In ogni caso la Corte d’appello ha ritenuto che era fondata anche la contestazione disciplinare inerente l’abusiva utilizzazione della vettura aziendale per scopi personali ed ha condiviso il convincimento del primo giudice sulla ritenuta insussistenza della denunziata condotta di mobbing che la parte datoriale avrebbe posto in essere in danno del dipendente.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso il C., il quale affida l’impugnazione a quindici motivi di censura.
Resiste con controricorso l’intimata società.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo il ricorrente deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, contestando il fatto che la Corte d’appello ha riunito in un’unica fattispecie i due episodi disciplinari del 2 e del 5 maggio 2005 e che la stessa non avrebbe valutato la giustificazione resa per il rifiuto di eseguire la disposta trasferta presso la ditta XXX., vale a dire la comunicata affezione del mal di gola in entrambe le circostanze, emergenza, questa, non messa in dubbio, atteso che la teste Ce., la cui deposizione era stata contestata, si era limitata a riferire al riguardo che non era stato prodotto il relativo certificato medico; inoltre, la lettera del trasferimento, la cui sottoscrizione era stata differita giusto per il tempo necessario a contattare il proprio legale dal quale ricevere un parere, non contemplava solo una sottoscrizione per "ricevuta", ma anche una non condivisibile sottoscrizione per "accettazione".
2. Col secondo motivo è lamentata la contraddittoria, insufficiente ed omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto la Corte territoriale non avrebbe seriamente valutato l’entità delle conseguenze fisiche negative che sarebbero derivate al dipendente, affetto dalla lamentata patologia infiammatoria alla gola e da immunodepressione dovuta a diabete, dall’esecuzione del trasferimento in un ambiente di lavoro che presentava caratteristiche controindicate alla salute del medesimo, data la necessità di dover operare in celle frigorifere ed in presenza di un notevole contrasto termico con la temperatura esterna.
3. Col terzo motivo ci si duole della contraddittoria ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, non avendo il giudice d’appello provveduto, con riferimento all’episodio del 5 maggio 2005, a motivare sul fatto che la denunziata malattia giustificava la mancata esecuzione solo momentanea del tipo di lavoro preteso per effetto del suddetto trasferimento.
4. Col quarto motivo è censurata l’omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto il giudice d’appello non aveva spiegato per quale principio di diritto o contrattuale la volontà del C. di sottoscrivere la lettera di trasferimento per ricevuta, manifestata solo pochi minuti dopo la richiesta della convenuta, poteva essere ricollegata alla mancanza consistente nel contestato rifiuto di immediata sottoscrizione della stessa, pure al cospetto di un giustificazione resa per evidenti ragioni di salute.
Infatti, poco dopo che il dipendente aveva avuto modo di parlare telefonicamente col suo legale, così come emerso dalla deposizione della Ce., quest’ultima non gli sottopose più la lettera di trasferimento presso la XXX., ma gli consegnò quella di sospensione dal lavoro, alla quale seguirono quelle della contestazione disciplinare e del licenziamento, il tutto a conferma, secondo il ricorrente, del preordinato disegno teso alla risoluzione del rapporto.
5. Col quinto motivo il C. denunzia la contraddittoria e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto la Corte avrebbe ravvisato nel suo comportamento un’unica mancanza, mentre si era trattato di due diversi comportamenti, cioè dell’iniziale e momentaneo rifiuto di sottoscrizione della lettera e della manifestata impossibilità di eseguire la prestazione per il segnalato mal di gola, ciascuno dei due assolutamente giustificato e ciascuno dei due da valutarsi separatamente, operazione interpretativa, questa, non eseguita dalla Corte di merito.
6. Col sesto motivo il ricorrente deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, contestando la parte della decisione in cui la Corte di merito ha affermato che egli non aveva dato la prova di soffrire del mal di gola ed adducendo che la produzione di un certificato medico sarebbe solo servita a giustificare una eventuale assenza dal lavoro, mentre quel che rilevava in quella circostanza era la sua situazione soggettiva di malessere dovuta al mal di gola che si innestava nel suo comprovato stato di salute già deficitario e che era, perciò, idonea a giustificare la sua opposizione al trasferimento.
7. Col settimo motivo il ricorrente censura la sentenza per l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, sostenendo che il reale motivo del rifiuto opposto inizialmente alla sottoscrizione dell’atto di trasferimento, motivo trascurato dal giudice d’appello, era dovuto alla circostanza che in calce alla lettera in questione era prevista la firma per "accettazione" in aggiunta a quella per "ricevuta", mentre la sua disponibilità a sottoscriverla era solo per attestarne la ricezione, ma ciò non gli fu più consentito nel momento in cui, dopo essersi consultato col proprio legale, aveva manifestato la sua decisione in tal senso. A riprova di ciò il ricorrente richiama il tenore della risposta alla lettera di contestazione disciplinare dal quale si evinceva che non era vero che egli si era rifiutato di eseguire l’ordine di trasferimento, ma che aveva chiesto qualche giorno di tempo per recarsi presso le celle frigorifere della nuova destinazione lavorativa per non pregiudicare il proprio stato di salute già provato.
8. Con l’ottavo motivo il C. richiama la norma di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione alla violazione dell’art. 115 c.p.c. ed alla conseguente nullità del licenziamento, adombrando, al riguardo, una mancata corrispondenza tra la contestazione disciplinare ed il licenziamento intimato con riferimento al fatto che, prima dell’adozione del provvedimento espulsivo, la datrice di lavoro non aveva mai posto in dubbio la circostanza della giustificazione resa per il lamentato mal di gola.
9. Col nono motivo il ricorrente richiama la norma di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione alla violazione dell’art. 115 c.p.c., adducendo che la deposizione della Ce. era stata mal valutata in ordine all’episodio che aveva dato vita alla contestazione disciplinare della mancata riconsegna, dopo il provvedimento di sospensione dal servizio, dell’autovettura aziendale concessagli in dotazione.
Secondo il ricorrente la predetta teste aveva precisato che l’autovettura era stata concessa ad uso promiscuo dal lunedì al venerdì per motivi di lavoro, mentre di sabato e domenica per uso personale e che anche durante la malattia la macchina poteva essere utilizzata per motivi personali.
10. Col decimo motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio rappresentato sia dall’uso dell’autovettura durante il periodo in cui era stata disposta la sospensione dal rapporto, sia dalla eccepita legittimità del rifiuto a consegnarla. Si sostiene, in concreto, che durante il periodo di sospensione il rapporto di lavoro non poteva ritenersi cessato e che l’utilizzo dell’autovettura aziendale rappresentava una componente della retribuzione, per cui l’illegittimità era, semmai, ravvisabile nella richiesta di restituzione della stessa macchina.
11. Con l’undicesimo motivo il C. lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la contraddittoria, omessa e insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per la controversia rappresentato dal richiamo operato dalla Corte territoriale, al fine di corroborare con la recidiva la ravvisata insubordinazione, ad un precedente episodio in cui gli era stato contestato in sede disciplinare il rifiuto di sottoscrizione di una lettera con la quale gli si imponeva una trasferta in Calabria col treno, senza alcun riferimento alle giustificazioni da egli fornite per motivi di salute in quella stessa circostanza.
12. Col dodicesimo motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo per la causa rappresentato dal rilievo dato dal giudice d’appello all’uso dell’autovettura durante i periodi di malattia, senza tener conto del fatto che lo stato di salute deficitario in cui versava non era, però, tale da costringerlo all’immobilismo e senza considerare che in tali casi la stessa autovettura poteva essere utilizzata con l’ausilio di persona di famiglia.
13. Col tredicesimo motivo si denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 112 c.p.c.. Ci si riferisce, in tal caso, al fatto che la Corte di merito, nel ritenere giustificato il licenziamento oggetto di causa, aveva considerato come assorbita, non decidendola, l’altra questione sollevata con riferimento alla denunziata natura simulata del trasferimento disposto dieci giorni prima degli episodi oggetto del presente giudizio, simulazione dedotta per il motivo che il trasferimento era stato disposto presso una filiale con meno di quindici dipendenti al fine di impedire al lavoratore di avvalersi della tutela reale.
14. Col quattordicesimo motivo ci si duole della omessa decisione sulla eccezione che parte avversa aveva sollevato in merito alla inapplicabilità della tutela reale di cui all’art. 18 dello statuto dei lavoratori, in quanto considerata assorbita dal giudicante per effetto della ritenuta legittimità del licenziamento, inapplicabilità che era stata, invece, decisamente contestata dal dipendente sulla scorta della denunziata natura simulata del provvedimento di trasferimento che serviva esclusivamente, secondo il suo assunto, a privarlo del diritto di avvalersi della possibilità di essere reintegrato in caso di licenziamento.
15. Con l’ultimo motivo si evidenzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omessa ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo per la causa rappresentato dal denunziato "mobbing" perpetrato in danno del dipendente, questione, questa, rispetto alla quale il giudice d’appello era pervenuto alla decisione di rigetto per non averne fatto il ricorrente oggetto di specifica doglianza, nel senso di non averla ulteriormente trattata rispetto alle argomentazioni di prime cure. Al riguardo il ricorrente fa rilevare che il giudice di primo grado non aveva adeguatamente illustrato i motivi per i quali aveva deciso di rigettare la relativa domanda, per cui in fase di impugnazione aveva ritenuto di dover riproporre le questioni prospettate col ricorso introduttivo del giudizio.
Il ricorso è infondato.
Invero, non può sfuggire a questa Corte che tutti i motivi sopra illustrati, ad eccezione di quelli sub 8, 9, 13 e 14, contengono inammissibili riproposizioni del merito della controversia e non scalfiscono la validità della "ratio decidendi" dell’impugnata sentenza che è basata sulla comprovata esistenza, tramite deposizione ritenuta attendibile e documenti provenienti dal ricorrente, di un reiterato e grave atteggiamento di insubordinazione privo di giustificazione, consistito, sostanzialmente, nell’essersi il C. rifiutato di eseguire, una prima volta, l’ordine verbale di trasferimento presso altra sede aziendale, ed una seconda volta di sottoscrivere l’ordine scritto di trasferimento, finendo col rifiutarsi anche di riconsegnare la macchina aziendale concessagli in dotazione, pur dopo la sua sospensione dal servizio.
Inoltre, nella sentenza sono state puntualmente verificate, con argomentazioni congrue ed immuni da vizi di carattere logico- giuridico, sia la mancata dimostrazione della dedotta causa di giustificazione per i primi due addebiti, vale a dire il lamentato mal di gola per il rifiuto opposto all’esecuzione per ben due volte dell’ordine di servizio di recarsi alla XXX., sia l’insussistenza della pretesa di continuare ad adoperare per fini privati la macchina aziendale durante il periodo di sospensione dal lavoro disposta per le suddette ragioni disciplinari, nonostante l’espressa richiesta della sua restituzione (cioè il terzo dei tre episodi ritenuti dirimenti ai fini della giustificazione del licenziamento).
In realtà, anche i motivi sub 8) e sub 9), seppur prospettati come vizi di violazione di legge (art. 115 c.p.c.) contengono censure a valutazioni di merito del materiale probatorio (riferimento alla ritenuta mancata dimostrazione del dedotto mal di gola ed al rifiuto di firmare la lettera che prevedeva la sottoscrizione non solo per ricevuta ma anche per accettazione).
Al riguardo, non può non rilevarsi che con motivazione congrua è stato posto in evidenza che in ogni caso quel che rilevava era l’iniziale rifiuto del dipendente di voler firmare la lettera che disponeva il suo trasferimento, circostanza, questa che giustificò la decisione di sospenderlo, indipendentemente dal fatto che in un secondo momento egli manifestasse la disponibilità a firmarla, seppur precisando che l’ordine non poteva essere eseguito per il mal di gola che, in realtà, la Corte di merito ha considerato non comprovato da documentazione sanitaria.
Nè va dimenticato, come già statuito da questa Corte (Cass. sez. lav. n. 2272 del 2/2/2007), che "il difetto di motivazione, nel senso di sua insufficienza, legittimante la prospettazione con il ricorso per cassazione del motivo previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), è configurabile soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poichè, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione. In ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi (come accaduto nella specie) le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse".
Orbene, nella fattispecie in esame può tranquillamente affermarsi che, nel loro complesso, le valutazioni del materiale probatorio operate dal giudice d’appello appaiono sorrette da argomentazioni logiche e perfettamente coerenti tra di loro, oltre che aderenti ai risultati fatti registrare dall’esito delle prove orali su punti qualificanti della controversia, per cui le stesse non meritano affatto le censure di omessa disamina, insufficienza e contraddittorietà mosse coi suddetti motivi di doglianza.
Per quel che riguarda, invece, il motivo sub n. 13), cioè quello sull’omessa pronunzia in ordine alla dedotta simulazione dell’ultimo trasferimento, disposto poco prima del licenziamento, presso una sede con meno di quindici dipendenti per la supposta elusione della tutela reale, si rileva che non può ravvisarsi l’omessa pronunzia in quanto tale questione è stata ritenuta espressamente assorbita dalla Corte di merito sulla base della accertata giustificazione del licenziamento.
Si è, infatti, chiarito (Cass. Sez. 2 n. 10001 del 24/6/2003) che "qualora ricorrano gli estremi di una reiezione implicita della pretesa o della deduzione difensiva ovvero di un loro assorbimento in altre declaratorie non è configurabile il vizio di omessa pronuncia di cui all’art. 112 cod. proc. civ., che si riscontra soltanto allorchè manchi una decisione in ordine a una domanda a o a un assunto che renda necessaria una statuizione di accoglimento o di rigetto" (in senso conf. v. anche Cass. sez. 3 n. 19131 del 23/9/2004 e n. 5484 del 14/3/2006).
Quanto al motivo sub 14), attraverso il quale il ricorrente si duole della omessa decisione sulla eccezione che parte avversa aveva sollevato in merito alla inapplicabilità della tutela reale di cui all’art. 18 dello statuto dei lavoratori, in quanto considerata assorbita dal giudicante per effetto della ritenuta legittimità del licenziamento, valgono per lo stesso le considerazioni appena espresse in ordine alla infondatezza del tredicesimo motivo di censura.
In definitiva il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno poste a suo carico nella misura liquidata come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio in Euro 3000,00 per onorario e di Euro 50,00 per esborsi, oltre IVA, CPA e spese generali ai sensi di legge.
Così deciso in Roma, il 12 aprile 2012.
Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2012

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