Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 01-02-2013) 14-02-2013, n. 7352

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Svolgimento del processo

1. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Taranto, con sentenza del 27/11/2011, applicava a M.F. la pena di anni due di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale della pena, in relazione al reato di tentato omicidio aggravato nei confronti del fratello M.N., riqualificato ai sensi degli artt. 582, 583, comma 1 e art. 585 cod. pen., comma 1 e previa concessione delle attenuanti generiche nonchè della diminuente del rito.

Il Giudice riteneva la diversa qualificazione giuridica proposta dalle parti esatta, in considerazione dell’evidente diverso animus del soggetto agente, animus laedendi, piuttosto che nocendi. Le attenuanti generiche venivano concesse in considerazione dello stato di incensuratezza del soggetto. Il beneficio della sospensione condizionale della pena veniva motivato sulla legittimità della supposizione che l’imputato si sarebbe astenuto in futuro dal commettere ulteriori reati.

2. Ricorre per cassazione il Procuratore generale presso la Corte d’appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto deducendo, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. b) l’erronea qualificazione giuridica del fatto in conseguenza della derubricazione del reato contestato.

La contestazione del reato di tentato omicidio non aveva dato luogo a contestazioni nemmeno in sede cautelare; il Giudice aveva recepito l’accordo delle parti senza esporre la benchè minima motivazione, non spiegando in alcun modo perchè fosse evidente l’animus laedendi in luogo di quello nocendi; senza tenere conto che, a seguito dell’investimento della bicicletta da parte dell’autovettura dell’imputato, la vittima era stato ricoverata in prognosi riservata.

Nessuna motivazione era stata fornita, inoltre, in punto di concessione delle attenuanti generiche, ritenute prevalenti.

3. Il difensore dell’imputato ha depositato memoria il 20/12/2012, sostenendo l’inammissibilità del ricorso: i motivi dell’impugnazione si risolvono in censure in fatto e in punto di quantificazione della pena, pretendendosi di sostenere che l’illegalità della pena discenda non da oggettive violazioni di legge, ma da una carenza di motivazione.

In realtà, l’accordo sulla diversa qualificazione giuridica della condotta derivava da una conoscenza approfondita del fascicolo processuale, che aveva dimostrato che l’imputato, che il giorno precedente i fatti aveva avuto una discussione animata con il fratello, quando lo aveva avvistato in bicicletta, aveva voluto compiere un passaggio "rasente" con l’autovettura; la volontà di ferirlo, e non di ucciderlo, si ricavava dalla circostanza che la bicicletta era stata colpita di striscio, mentre, in presenza della volontà di uccidere, l’investimento sarebbe stato pieno e ad alta velocità.

L’impugnazione aveva lo scopo di rompere l’accordo intervenuto tra le parti, e in questo senso era inammissibile; inoltre, la contestazione della qualificazione giuridica del fatto contestato, in caso di applicazione della pena, deve essere limitata ai casi di errore manifesto che, nel caso di specie, non sussiste certamente.

Il difensore dell’imputato conclude per la declaratoria di inammissibilità o il rigetto del ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

L’art. 444 cod. proc. pen., comma 2, attribuisce espressamente al giudice l’obbligo di valutare la correttezza della qualificazione giuridica del fatto, così come l’applicazione e la comparazione delle circostanze prospettate dalle parti.

Ne consegue che, in linea generale, con il ricorso per cassazione avverso la sentenza di patteggiamento può essere denunciata l’erronea qualificazione giuridica del fatto, così come prospettata nell’accordo delle parti e recepita dal giudice, in quanto la qualificazione giuridica del fatto è materia sottratta alla disponibilità di parte e l’errore su di essa costituisce errore di diritto rilevante ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., lett. b).

(Sez. U, n. 5 del 19/01/2000 – dep. 28/04/2000, P.G. in proc. Neri, Rv. 215825).

Il difensore dell’imputato richiama la giurisprudenza in tema di limiti della valutazione di questa Corte, che afferma che la possibilità di ricorrere per cassazione, deducendo l’erronea qualificazione del fatto contenuta in sentenza, deve essere limitata ai casi di errore manifesto, ossia ai casi in cui sussiste l’eventualità che l’accordo sulla pena si trasformi in accordo sui reati, mentre deve essere esclusa tutte le volte in cui la diversa qualificazione presenti margini di opinabilità (Sez. 4, n. 10692 del 11/03/2010 – dep. 18/03/2010, PG in proc. Hernandez, Rv. 246394): ma a tale limite fa eccezione proprio il caso che ricorre nel caso di specie, quello della diversa – e più lieve – qualificazione giuridica del fatto contenuta nell’accordo intervenuto tra le parti, caso in cui il pericolo che l’accordo intervenga sui reati e non sulla pena si fa concreto, tenuto conto che il P.M. aveva inizialmente ipotizzato la responsabilità per un reato più grave.

Si è affermato, quindi, che in tema di sentenza di patteggiamento, qualora, in sede di accordo delle parti, si sia proceduto alla qualificazione giuridica del fatto in termini più lievi rispetto all’imputazione originariamente contestata, anche eliminando uno dei reati o le circostanze aggravanti, il giudice ha l’obbligo di esporne, sia pure sinteticamente, le ragioni, in quanto l’omissione di detto obbligo impedisce il doveroso controllo sulla legittimità del patto. (Sez. 6, n. 46430 del 13/10/2009 – dep. 02/12/2009, P.G. in proc. Cassano e altri, Rv. 245443; Sez. 5, n. 12611 del 02/03/2006 – dep. 10/04/2006, P.G. in proc. Caldararu ed altro, Rv. 234545; Sez. 6, n. 32004 del 10/04/2003 – dep. 29/07/2003, P.G. in proc. Valetta, Rv. 228405).

La sentenza impugnata non risponde a questo specifico obbligo di motivazione: la considerazione secondo cui, nel volontario investimento della persona offesa che viaggiava in bicicletta da parte dell’imputato che procedeva con la sua autovettura, sia "evidente" l’animus laedendi anzichè l’animus nocendi, non corrisponde affatto ad una motivazione, perchè il Giudice deve giustificare questa "evidenza"; la motivazione aggiuntiva che la difesa dell’imputato propone nella memoria non appare, del resto, risolutiva. Il Procuratore generale, d’altro canto, sottolinea un dato processuale certamente significativo: quello dell’applicazione senza alcuna contestazione della misura cautelare per il reato di tentato omicidio.

Tenuto conto della gravità della condotta, quindi, il Giudice è chiamato ad una motivazione congrua e non apparente.

Quanto, poi, alla motivazione in ordine alla concessione delle attenuanti generiche, il giudice, richiamando esclusivamente lo stato di incensuratezza dell’imputato, viola il disposto dell’art. 62 bis cod. pen., comma 3, secondo cui "in ogni caso, l’assenza di precedenti condanne per altri reati a carico del condannato non può essere, per ciò sola, posta a fondamento delle circostanze di cui al comma 1": la norma, quindi, impone una motivazione più ampia che affianchi al dato dell’incensuratezza circostanze diverse.

La sentenza impugnata deve, quindi, essere annullata con rinvio limitatamente alla qualificazione giuridica del fatto e alle attenuanti generiche.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla qualificazione del fatto e alle attenuanti generiche e rinvia per nuovo giudizio al riguardo al G.I.P. del Tribunale di Taranto.

Così deciso in Roma, il 1 febbraio 2013.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2013

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