Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 01-02-2013) 14-02-2013, n. 7330

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Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 31.3.2011 il Tribunale di Sassari, in composizione monocratica, condannava N.R., con le circostanze attenuanti generiche e la continuazione, alla pena di Euro 306 di ammenda ed al risarcimento del danno in favore delle parti civili, con la sospensione condizionale e la non menzione, in relazione al reato di cui agli artt. 81 cpv. e 659 c.p., accertato sino al (OMISSIS), per avere, quale titolare di un esercizio pubblico denominato Sporting Milano 26, arrecato disturbo a Z. M. e S. con la diffusione di musica.

Il tribunale premetteva che la prova della responsabilità dell’imputata veniva fondata essenzialmente sulle dichiarazioni delle persone offese, confortate dal testimone di p.g. intervenuto sul posto a seguito di segnalazione.

Precisava, quindi, che la fattispecie concreta doveva ricondursi alla disposizione di cui all’art. 659 c.p., comma 1, in ragione del turbamento del riposo e delle occupazioni delle persone offese arrecato dalla musica assordante proveniente dal locale la cui gestione non può considerarsi mestiere rumoroso in quanto la rumorosità dipende dalle modalità e scelte di gestione; pertanto, è sufficiente ai fini della configurabilità del reato che i rumori superino la normale tollerabilità. In ogni caso, anche a volere ritenere quella esercitata dall’imputata attività rumorosa, è pacifico, alla luce delle testimonianze, che l’attività è stata svolta senza l’adozione delle necessarie cautele.

2. Ha proposto ricorso per cassazione l’imputata, a mezzo del difensore di fiducia.

Con il primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio della motivazione in relazione all’art. 659 c.p., comma 1 e 2.

In specie, contesta la configurabilità della fattispecie di cui al comma primo della citata norma non potendosi dubitare del fatto che si tratti di attività svolta con carattere professionale e che non è stata accertata alcuna violazione di disposizioni di legge o di prescrizioni dell’autorità.

Contesta, altresì, la ritenuta continuazione, trattandosi di fattispecie disciplinata del capoverso della norma incriminatrice e di reato permanente.

Deduce, quindi, l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione.

Motivi della decisione

Ad avviso del Collegio, il motivo di ricorso relativo alla ritenuta sussistenza della continuazione non può ritenersi manifestamente infondato per palese inconsistenza delle censure, nè tale da valicare i limiti propri del giudizio di legittimità il cui accesso è subordinato all’osservanza del precetto dell’art. 606 c.p.p., commi 1 e 3, atteso che il tribunale ha affermato la sussistenza del "il vincolo della continuazione che unisce i reati contestati; le singole condotte che li costituiscono risultano protese alla realizzazione di un medesimo disegno criminoso", a fronte di una diversa contestazione.

Il ricorso, quindi, non è inidoneo ad instaurare il rapporto di impugnazione, condizione che preclude, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la possibilità di far valere una causa di non punibilità ovvero di rilevarla di ufficio.

Conseguentemente, tenuto conto della mancanza di sospensioni del corso della prescrizione, deve essere rilevata l’estinzione del reato contestato, ai sensi dell’art. 157 c.p., e ss., per intervenuta prescrizione.

La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullata senza rinvio, ai sensi dell’art. 620 c.p.p., lett. a), perchè il reato è estinto per prescrizione, ferme restando le statuizioni civili.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il reato è estinto per prescrizione, ferme restando le statuizioni civili.

Così deciso in Roma, il 1 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2013

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