Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 01-02-2013) 14-02-2013, n. 7329

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 13/4/2012, il Tribunale di Cosenza, decidendo in sede di rinvio a seguito di annullamento della precedente sentenza, confermava la sentenza del Giudice di Pace di Cosenza che aveva dichiarato colpevole B.M.P. del reato di ingiuria ai danni di G.G., condannandola a pena di giustizia e al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita.

L’imputazione conseguiva ad una missiva che la B. aveva scritto all’avv. G. in risposta ad una richiesta di pagamento che il legale aveva inviato per l’opera prestata in una controversia davanti al T.A.R. e al Consiglio di Stato, contenente espressioni piuttosto forti. L’imputata, nel verbale di sommarie informazioni, aveva confermato di avere redatto la lettera subito dopo avere ricevuto la missiva del legale.

Il Tribunale confermava l’ordinanza del Giudice di Pace, che aveva dichiarato decaduta la difesa dalla prova testimoniale ai sensi del D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 29, comma 8, atteso che, all’udienza del 10/1/2007, il Giudice, constatato che la difesa non aveva citato i propri testimoni, l’aveva dichiarata decaduta dalla prova dopo avere respinto la richiesta di restituzione nel termine che la difesa aveva avanzato contestualmente; riteneva palesemente offensive le espressioni utilizzate nella lettera; valutava come inapplicabile il disposto dell’art. 599 c.p., atteso che lo stato d’ira dell’imputata non conseguiva affatto ad un atto arbitrario del legale, che si era limitato a chiedere di regolare le proprie competenze, senza che vi sia motivo di ritenere che le stesse fossero state calcolate in modo differente rispetto ad accordi pregressi; riteneva attendibile la dichiarazione della persona offesa e congruo il trattamento sanzionatorio deliberato dal Giudice di primo grado.

2. Ricorre per cassazione il difensore di B.M.P., deducendo distinti motivi.

In un primo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 29, comma 8: il Tribunale di Cosenza non aveva, infatti, accolto il motivo di appello concernente la decadenza dalla prova testimoniale pronunciata dal Giudice di Pace all’udienza del 10/1/2007 per mancata citazione dei testi ammessi.

In effetti, la norma del cit. D.Lgs., art. 29, comma 8, dispone la decadenza solo se la mancata citazione dei testi segue il provvedimento dei Giudice di ammissione della prova e di nuova autorizzazione alla citazione. Nel caso di specie, l’imputato non era stato ancora formalmente autorizzato alla citazione dei testi a seguito della ammissione della prova, per cui la sentenza era illegittima per violazione del diritto di difesa.

In un secondo motivo, collegato al primo, si deduce la mancata assunzione di prove decisive ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d) con riferimento alle prove difensive non ammesse dal Giudice di Pace nè dal Tribunale, sia quelle testimoniali che l’esame dell’imputata, illegittimamente dichiarata contumace.

I testi avrebbero potuto smentire la persona offesa quando aveva dichiarato che gli appuntamenti presso il suo studio si erano svolti senza la presenza di nessuno; l’imputata, nelle sommarie informazioni, aveva evidenziato lo stupore e la rabbia per la richiesta del versamento di Euro 7.500,00 avanzata dal suo legale dopo cinque anni. Il ricorrente segnala che, nel corso dell’esame della persona offesa, questi si era opposto personalmente alla domanda del difensore dell’imputata concernente la pattuizione del compenso per il procedimento davanti al T.A.R. e la domanda non era stata ammessa.

In un terzo motivo si denuncia l’inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 599 c.p., comma 2, e la mancanza di motivazione: l’esimente della provocazione doveva essere riconosciuta di fronte ad un comportamento arbitrario e illegittimo dell’avv. G.; nè l’esimente poteva essere esclusa per essersi la B. espressa non verbalmente, ma per lettera.

La motivazione della sentenza di appello, secondo cui dagli atti di causa non emergerebbe alcun elemento che possa integrare l’esimente invocata, non teneva in considerazione la vicenda sottostante alla convocazione per regolare le competenze del difensore.

Il ricorrente conclude per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, segnalando, in via gradata, che il reato è prescritto.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso è infondato.

La ricorrente menziona la sentenza di questa Corte secondo cui è illegittimo il provvedimento con cui il giudice di pace, alla prima udienza di comparizione, dichiari l’imputato, che non ha citato i testi indicati nella lista ritualmente depositata, decaduto dalla prova testimoniale, in quanto, alla luce della generale previsione di cui all’art. 468 c.p.p., commi 2 e 3, applicabili anche nel procedimento dinanzi al giudice di pace, il giudice può autorizzare, con apposito decreto in calce alla lista depositata, la citazione dei testi, ma detto provvedimento non pregiudica la decisione sull’ammissibilità della prova che segue alla cognizione dei fatti in sede di udienza dibattimentale nonchè alla valutazione di pertinenza e rilevanza della prova richiesta. Ne deriva che, a seguito di tale preventiva autorizzazione, la parte ha una mera facoltà di provvedere alla citazione dei testi e non un onere processuale dal cui inadempimento deve conseguire la sanzione processuale della decadenza, con l’ulteriore conseguenza che, se la parte non ha provveduto alla citazione dei testi, il giudice di pace autorizza nuovamente la citazione per un’udienza successiva e solo in tale udienza, in caso di colpevole omissione, può dichiarare la parte decaduta dalla prova (Sez. 5, n. 38669 del 28/04/2005 – dep. 21/10/2005, Carrassi, Rv. 232561); ma si tratta di citazione del tutto fuori luogo, atteso che, nel caso di specie, la pronuncia di decadenza dalla prova da parte del Giudice di Pace è intervenuta non alla prima udienza, ma ad una successiva.

Alla prima udienza il Giudice aveva ammesso le prove dedotte dalle parti – anche quelle dedotte dalla difesa dell’imputata – e aveva autorizzato la citazione dei testimoni per un’udienza successiva.

Non a caso il Giudice di Pace, prima di dichiarare decaduta la parte dalla prova all’udienza del 10/1/2007, aveva respinto l’istanza di restituzione nel termine, istanza che era ovviamente fondata sul mancato rispetto dell’onere di citazione dei testimoni indicati e ammessi. Il fatto che la mancata citazione potesse essere conseguenza della sostituzione del difensore, a seguito del decesso del precedente legale dell’imputata, costituisce una questione di opportunità, risolta dal Giudice di merito, e non riguarda, quindi, la esatta applicazione dell’art. 29 cit..

Il rigetto del primo motivo di ricorso determina il rigetto del secondo motivo (mancata assunzione di prova decisiva), atteso che, appunto, la parte era stata legittimamente dichiarata decaduta dalla prova.

Il terzo motivo è inammissibile, trattandosi di motivazione in fatto avente ad oggetto l’arbitrarietà della condotta della persona offesa e la sussistenza dell’ipotesi di cui all’art. 599 c.p., comma 2.

Il ricorso avrebbe dovuto, quindi, essere rigettato, atteso che esso non si manifesta manifestamente infondato e la questione di diritto formulata con il primo motivo presentava una qualche consistenza;

essendo decorso il termine massimo di prescrizione, non risultando sospensioni del dibattimento di rilevante durata, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio per intervenuta estinzione del reato per prescrizione, mentre devono essere ritenute ferme le statuizioni civili adottate, attesa la sussistenza del reato contestato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il reato di cui all’art. 594 c.p. per cui vi è stata condanna è estinto per prescrizione, ferme restando le statuizioni civili.

Così deciso in Roma, il 1 febbraio 2013.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2013

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