Cass. civ. Sez. III, Sent., 07-08-2012, n. 14188

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Svolgimento del processo
1.1. A.G., proprietario di un immobile in XXX, citò in giudizio dinanzi al giudice di pace di XXX C. F. – quale titolare della ditta "XXX", ubicata nell’immobile sottostante – per avere costei, installando un ingombrante faro di illuminazione munito di sostegni fissi alla parte inferiore della soletta del balcone dell’immobile di esso attore, cagionato l’indebolimento della struttura, con un danno preventivato in almeno Euro 1.500,00 e limitazione della veduta in appiombo da parte del medesimo attore, con ulteriore danno in Euro 1.000,00;
1.2. la C. eccepì preliminarmente l’incompetenza per materia del giudice di pace, la nullità della citazione ed il difetto di legittimazione attiva, comunque deducendo risalire l’installazione al 1968 e negando l’attitudine del manufatto a danneggiare il balcone, nonchè la sussistenza di un diritto alla veduta obliqua, tanto da invocare il rigetto della domanda attorea;
1.3. il giudice di pace adito declinò la propria competenza, ma in relazione al valore delle domande tra loro cumulate: e l’ A. propose appello per due motivi, l vale a dire contestando l’affermata incompetenza e riproponendo le domande di merito (di declaratoria di illegittimità del faro di illuminazione, con condanna di controparte alla sua rimozione, nonchè di condanna al risarcimento dei danni per reintonacatura e ritinteggiatura della parte inferiore della soletta, sostituzione della parte esterna della pavimentazione e limitazione del diritto alla veduta);
1.4. contestata dall’appellata C. la fondatezza dei motivi di appello e riproposte tutte le difese già svolte in primo grado, l’adito tribunale di Napoli – sez. dist. di XXX, con sentenza n. 90/10 dep. addì 8.3.10, per quel che qui ancora interessa: ha respinto le doglianze che riproponevano la tesi della competenza del giudice di pace adito, qualificando rettamente riproposte ex art. 346 cod. proc. civ. le eccezioni dell’appellata; esaminando il merito delle domande dell’ A., ha escluso la prova della pericolosità dell’installazione del manufatto e la legittimazione dell’appellante ad agire per la pubblica incolumità, ma soprattutto la sussistenza dei presupposti della negatoria servitutis, sia soggettivi che oggettivi e la carenza dei presupposti per il risarcimento, anche solo per la sostituzione dei marmi o gli altri interventi sulla struttura del balcone od alla sua soletta, da presumersi oltretutto questa comune ai proprietari dei due piani;
1.5. per la cassazione di tale sentenza ricorre, affidandosi a sette motivi, l’ A., ma l’intimata non deposita controricorso.
Motivi della decisione
2. Il ricorrente articola sette motivi e, in particolare:
2.1. con un primo, di "error in procedendo" per violazione o falsa applicazione degli artt. 342 e 343 cod. proc. civ., egli lamenta il mancato rilievo dell’inammissibilità della costituzione in appello della sua controparte, dovuta al mancato dispiegamento di un appello incidentale con motivi specifici, necessario – a detta del ricorrente – per riproporre l’eccezione di incompetenza per materia, disattesa dalla pronuncia che aveva pronunciato l’incompetenza, ma per valore;
2.2. con un secondo, anch’esso di "error in procedendo", ma stavolta per violazione e falsa applicazione dell’art. 345 cod. proc. civ., egli deduce l’inammissibilità, per novità, dell’eccezione di incompetenza per valore formulata dalla controparte nella comparsa di costituzione in appello, nonchè della produzione di un documento, da cui argomenta per l’inammissibilità della costituzione;
2.3. con un terzo – di "errores in iudicando et in procedendo", per violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 10 cod. proc. civ. e 812 e 813 cod. civ. – egli: insiste per la qualificazione della domanda come azione di risarcimento danni mediante reintegrazione, contestando quella di negatoria servitutis ritenuta dal giudice; nega la presupposta comunione del bene interessato; deduce l’omessa lettura di una clausola di contenimento delle domande entro il limite di competenza del giudice di pace adito; nega la qualificazione di bene mobile al faro infisso al balcone; ribadisce di chiedere la declaratoria di competenza dell’originariamente adito giudice di pace di XXX;
2.4. con un quarto, di vizio motivazionale, egli lamenta essere mancata qualunque motivazione sul carattere abusivo del faro installato;
2.5. con un quinto, di "error in procedendo", per violazione dell’art. 38 cod. proc. civ., egli rileva la tardività del rilievo dell’incompetenza da parte di entrambi i giudici dei gradi di merito;
2.6. con un sesto – di "error in procedendo" per violazione art. 183 cod. proc. civ. termini per note-istruttoria e violazione dell’art. 24 Cost. – egli lamenta che il giudice di appello avrebbe dovuto decidere nel merito del gravame (testuale: righe sesta e settima dalla fine della decima facciata del ricorso) e che malamente non ha consentito la formulazione di mezzi istruttori nel termine richiesto ai sensi dell’art. 183 cod. proc. civ.;
2.7. con un settimo, di "error in procedendo" per violazione dell’art. 91 cod. proc. civ., egli contesta la propria condanna alle spese, pronunciata dal giudice di appello, in violazione del principio di causalità e dell’altro, per la non rispettata necessità di una pronuncia anche da parte del giudice dichiaratosi incompetente.
3. Una volta riscontrato che l’intimata non deposita controricorso, deve premettersi che la parte convenuta, la quale veda respingere la domanda attorea, non è soccombente in senso tecnico e non ha l’onere di proporre appello incidentale, in difetto di interesse alla riforma, come pure deve osservarsi che tempestivamente era stata eccepita l’incompetenza. Quanto ai singoli motivi, si rileva che:
3.1. il primo motivo è infondato: qualunque eventuale vizio nella formulazione dei motivi di un appello incidentale non comporta affatto l’inammissibilità della costituzione della parte che lo propone, incidendo soltanto sulla ritualità del gravame che si intendeva dispiegare;
3.2. analogamente, non comporta l’inammissibilità della costituzione della parte in appello la circostanza che questa abbia dispiegato domande od eccezioni nuove o prodotto nuovi documenti, in quanto la novità, se riscontrata sussistente, travolge la ritualità della relativa attività processuale ed impedisce di prendere in considerazione le domande od eccezioni ed i documenti nuovi, ma non ha alcuna influenza sulla costituzione in sè considerata;
3.3. difetta poi l’interesse a dolersi della pronuncia sulla competenza, come resa dal giudice di appello (e resa oggetto, in parte, del terzo motivo e comunque del quinto):
3.3.1. è noto che, qualora il giudice di pace declini la sua competenza, il tribunale che decida sull’appello relativo sia al profilo di incompetenza che al merito della domanda provvede comunque su quest’ultimo; infatti, se la censura avverso la declinatoria di competenza fosse fondata (perchè il giudice di pace doveva ritenersi competente), il tribunale deciderebbe sul merito in dipendenza dell’effetto devolutivo dell’appello; al contrario, se fosse infondata (e quindi corretta fosse la declinatoria di competenza del giudice di pace), comunque il tribunale, non potendo rimettersi la causa al primo giudice, esaminerebbe del pari il merito delle domande (Cass. 22 settembre 2006, n. 20636; Cass. 5 giugno 2007, n. 13083;
Cass. 6 luglio 2010, n. 15853; sulla seconda parte, inoltre, v.
Cass., ord. 21 maggio 2010, n. 12455);
3.3.2. nel caso in esame, il tribunale ha con tutta evidenza, sia pure qualificando infondate le doglianze di entrambe le parti in ordine alla pronuncia di incompetenza del giudice di pace, deciso il merito delle domande formulate dall’ A. in primo grado, rigettandole;
3.3.3. nessun pratico effetto avrebbe quindi l’odierno ricorrente – così non avendo neppure alcun interesse ad impugnare le statuizioni sul punto – dal riesame delle questioni di competenza sulle domande originarie, visto che la disamina nel merito di quelle da parte del tribunale sarebbe da configurarsi come unica corretta conseguenza tanto nel caso di fondatezza che in quello di infondatezza della questione di incompetenza decisa tanto dal giudice di pace che dal medesimo tribunale in sede di appello;
3.3.4. e tanto a tacere del fatto che tempestivamente risulta eccepita l’incompetenza, investendo l’eccezione, come formulata, ritualmente il giudicante del potere di decidere sui presupposti giuridici della relativa questione;
3.4. il quarto motivo, sull’omissione di pronuncia sull’illegittimità dell’installazione e sull’esistenza delle dedotte conseguenze pregiudizievoli, nonchè per ogni altro profilo – diverso dalle doglianze sulla competenza – del terzo motivo, sono infondati:
la motivazione è, per quanto sobria, chiaramente espressa sia in ordine all’esclusione dell’illegittimità (pag. 7 della gravata sentenza, sesto periodo, quanto alla facoltà di uso della soletta del balcone, la quale, costituendo il prolungamento del solaio tra due piani dell’edificio, è da presumersi di comproprietà tra i due proprietari, evidentemente dei due piani da esso divisi), sia in ordine all’inidoneità del manufatto a comprimere la facoltà di veduta, sia in ordine alla carenza di prova dei danni per la sostituzione dei marmi e la rimessione in pristino (pag. 8 della gravata sentenza, con espressa valutazione di inverosimiglianza della tesi del nesso causale tra il faro ed i danni provati con fotografie); tali argomentazioni e valutazioni, quindi, non solo sono effettivamente esplicitate nella gravata sentenza, sicchè il lamentato vizio di carenza di motivazione non sussiste, ma non sono neppure affette da alcun evidente vizio logico o giuridico; inoltre, alla qualificazione di bene comune della soletta interessata non viene mossa alcuna rituale censura in questa sede;
3.5. il sesto motivo è inammissibile: a parte il fatto che l’istanza di concessione dei termini di cui all’art. 183 cod. proc. civ., nella stessa prospettazione del ricorrente (ultimo periodo della seconda facciata del ricorso), è stata formulata in via subordinata rispetto alla richiesta principale di pronuncia sulla sola declinatoria di competenza, va osservato che nel procedimento d’appello, stante l’esigenza di concentrare le attività assertive e probatorie negli atti introduttivi, il giudice, esaurite le attività preliminari di cui agli artt. 350 e 351 cod. proc. civ., ove non disponga atti istruttori e ritenga la causa matura per la decisione, già in prima udienza può compiere gli atti che preludono alla decisione, invitando le parti a precisare le conclusioni definitive, senza che, prima di passare alla fase di rimessione in decisione, vi sia spazio per la necessaria fissazione di un’udienza per la trattazione della causa e di un’altra per le deduzioni istruttorie (Cass. 8 gennaio 2007, n. 91) e quindi per la fissazione di termini a tal fine: e correttamente può essere quindi disposto l’immediato rinvio per conclusioni (Cass. 27 marzo 2009, n. 7556), non operando nel procedimento di appello la scansione temporale prevista dall’art. 183, commi 4 e 5 nel testo anteriore alla riforma del 2005, ovvero quinto e sesto nel testo successivo e, in particolare, non spettando alle parti i termini previsti per consentite modifiche di domande ed eccezioni o formulazione di istanze istruttorie;
3.5.3. a ben vedere, neppure prospetta, con l’odierno gravame, quali prove gli siano state malamente precluse (mentre tanto era suo onere:
non potendo limitarsi a dedurre tale violazione, ma dovendo specificare analiticamente quali prove sarebbero state dedotte: Cass. 9 aprile 2008, n. 9169 e Cass. 19 agosto 2011, n. 17436, benchè relative alla deduzione di tale nullità in grado di appello):
restando inammissibilmente generico il riferimento a prove testimoniali, senza l’indicazione delle relative circostanze; e prospettandosi come inammissibile l’istanza di consulenza tecnica, senza indicazione non tanto del suo oggetto, quanto dell’impossibilità di provare aliunde i fatti storici su cui avrebbe dovuto vertere;
3.6. in ordine, poi, ai profili di doglianza variamente dispiegati sul merito delle pretese, sussiste comunque un apprezzamento di fatto del materiale probatorio in atti sui pretesi fatti costitutivi del diritto al risarcimento (pag. 8 della gravata sentenza), sicchè sarebbe stata necessaria una specifica impugnazione di tale attività motivazionale, che non coinvolgesse una sollecitazione ad un riesame del merito della valutazione, del tutto preclusa in sede di legittimità, ma soltanto 1’evidenziazione di eventuali violazione di regole procedurali o la manifesta incongruità logica o giuridica delle argomentazioni del giudice di appello: infatti, il vizio non può consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova (giurisprudenza fermissima; per tutte:
Cass. 6 marzo 2008, n. 6064; Cass. sez. un., 21 dicembre 2009, n. 26825; Cass. 26 marzo 2010, n. 7394; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197); ed è pertanto inammissibile invocare una lettura delle risultanze probatorie difforme da quella operata dalla corte territoriale, essendo la valutazione di quelle – al pari della scelta di quelle, tra esse, ritenute più idonee a sorreggere la motivazione – un tipico apprezzamento di fatto, riservato in via esclusiva al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza peraltro essere tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva (Cass. 20 aprile 2012, n. 6260);
3.7. è infondato il settimo motivo: la condanna alle spese pronunciata nella gravata sentenza riguarda esclusivamente quel grado di giudizio, come si legge a chiare lettere nel dispositivo: e la soccombenza dell’appellante non solo in rito, ma anche nel merito, è conclamata dalla conclusione a lui sfavorevole della disamina delle tesi e delle pretese azionate nei confronti della controparte, così rendendo non conferente il richiamo al sussidiario principio della causalità nei sensi voluti dall’odierno ricorrente.
4. In definitiva, inammissibili od infondati tutti i motivi di ricorso (dovendo rigettarsi il primo, il secondo, in parte il terzo, il quarto, in parte il quinto ed il sesto, nonchè il settimo motivo;
e dovendo dichiararsi inammissibili in parte il terzo, il quinto ed il sesto), quest’ultimo va rigettato; ma non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, non avendo in questa sede svolto attività difensiva l’intimata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione terza civile della Corte suprema di cassazione, il 27 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2012

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