Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 02-02-2013) 13-06-2013, n. 26009

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza pronunciata il 17.5.2012 il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Udine pronunciava sentenza di non doversi procedere nei confronti di D.M.A. imputato dei reati di cui agli artt. 110, 112, 582 e 583 c.p.; artt. 110, 112, 594 e 610 c.p., commessi in danno di H.D., costituitosi parte civile, per non aver commesso il fatto.

Avverso tale decisione, di cui chiede l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso la parte civile, articolando distinti motivi di impugnazione.

Con il primo motivo il ricorrente deduce il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all’art. 421 c.p.p., in quanto il giudice procedente, avendo dato atto nel corpo della motivazione "di una certa sciatteria investigativa" e che "le indagini sono state fortemente limitate", esprimendo "la sensazione…che si sarebbe dovuto e potuto fare molto di più alla luce degli elementi emersi", non poteva pronunciare una sentenza di proscioglimento, ma avrebbe dovuto esercitare i poteri di integrazione previsti dall’art. 421 bis c.p.p., ovvero dall’art. 422 c.p.p., che, a differenza di quanto affermato dal suddetto giudice, non sono circoscritti ad aspetti del tutto marginali, nè possono trovare ostacolo nel tempo trascorso dalla commissione dei reati.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente deduce i vizi di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione all’art. 425 c.p.p., in quanto il giudice per le indagini preliminari ha pronunciato sentenza di proscioglimento pur essendo dotato il materiale probatorio raccolto, consistente nelle dichiarazioni della persona offesa, nelle ammissioni dello stesso imputato in ordine alla telefonata eseguita al 118 per chiedere soccorso al termine dell’aggressione di cui rimase vittima la persona offesa e nella acclarata circostanza che colui il quale contattò telefonicamente il pronto intervento rifiutò di fornire le proprie generalità, per stessa ammissione del giudice procedente di un significato ambiguo e contradditorio, laddove a fronte di un materiale la cui valutazione si presta ad un esito aperto, occorreva ed occorre il necessario vaglio dibattimentale.

Con il terzo motivo di ricorso la parte civile deduce il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in quanto la motivazione della sentenza appare contraddittoria e manifestamente illogica nella parte in cui il giudice procedente, pur avendo manifestato un giudizio positivo sulla buona fede della persona offesa, sottolineando, altresì; come le dichiarazioni dello H. siano state riscontrate dallo stesso D.M., ritiene contraddittorie le dichiarazioni del suddetto H., evidenziando l’insufficienza della sua narrazione per non avere specificato le modalità con cui sarebbe stato assalito dal D.M., nonostante le reiterate affermazioni dello H. sulla partecipazione del D.M. all’aggressione nei suoi confronti ed il riconoscimento di quest’ultimo in fotografia operato dalla persona offesa.

Tanto premesso il ricorso proposto dalla parte civile va accolto.

Ed invero, nel pronunciare la sentenza di proscioglimento nei confronti del D.M., il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Udine ha oltrepassato i limiti entro i quali è consentita l’adozione di una pronuncia ai sensi dell’art. 425 c.p.p., come da tempo fissati dalla giurisprudenza di legittimità.

Il giudice dell’udienza preliminare, infatti, ha il potere di pronunziare la sentenza di non luogo a procedere non quando effettui un giudizio prognostico in esito al quale pervenga ad una valutazione di innocenza dell’imputato, ma in tutti quei casi nei quali, anche in presenza di elementi di prova insufficienti o contraddittori, non esista una prevedibile possibilità che il dibattimento possa invece pervenire ad una diversa soluzione, in quanto il criterio di valutazione al quale egli deve attenersi non è, per l’appunto, l’innocenza dell’imputato, ma l’inutilità del dibattimento.

Ne consegue che l’insufficienza o la contraddittorietà delle fonti di prova a carico dell’imputato ha sempre quale parametro la prognosi dell’inutilità del dibattimento, sicchè correttamente deve essere escluso il proscioglimento in tutti i casi in cui tali fonti di prova si prestino a soluzioni alternative e aperte (cfr., ex plurimis, Cass. sez. 4^, 10/01/2012, n. 8912, S.A. e altro; Cass., sez. 6^, 12/01/2012, n. 10849, B.V. e altro; Cass., sez. 4^, 17/05/2012, n. 34766, S.G.; Cass., sez. 6^, 17/07/2012, n. 33921, rv. 253127).

In altri termini solo una valutazione di assoluta inutilità del dibattimento può legittimare una sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p..

Orbene nel caso in esame, non può certo parlarsi di assoluta inutilità del dibattimento, che appare, viceversa, necessario allo scopo di verificare, nel contraddittorio delle parti, se gli elementi di prova raccolti a carico del D.M. siano dotati di consistenza tale o meno da fondare l’ipotesi accusatoria formulata a suo carico, laddove il giudizio formulato al riguardo dal giudice per le indagini preliminari si configura come una sostanziale ed inammissibile valutazione in ordine alla innocenza dell’imputato, con conseguente "esproprio" delle funzioni tipiche dell’approfondimento dibattimentale di fronte ad un materiale probatorio che rende possibile un esito diverso dall’assoluzione dell’imputato.

Ciò appare evidente ove si tenga conto, da un lato che la parte civile, nell’immediatezza dei fatti, aveva riferito al maresciallo M. di essere stato aggredito da "tre o quattro individui italiani provenienti da una rissa", aggiungendo che "la chiamata all’ambulanza fu effettuata da un soggetto che, così pare, faceva parte del gruppo degli aggressori", per poi riconoscere ad anni di distanza tale soggetto, in fotografia, nel D.M., indicandolo come uno di coloro che "ha partecipato attivamente al pestaggio nei suoi confronti", dall’altro che lo stesso giudice per le indagini preliminari ha evidenziato come il D.M., il quale ha riconosciuto di essere stato l’autore della telefonata al numero del pronto intervento con cui, senza declinare le proprie generalità, egli chiese l’invio di un’autombulanza per soccorrere lo H., con le sue dichiarazioni abbia riscontrato buona parte della narrazione della persona offesa, confermando, tra l’altro, l’aggressione "piuttosto violenta", da parte di "una pluralità di soggetti che parlavano italiano", dello H., da cui erano derivate le lesioni da quest’ultimo patite (cfr. pp. 3; 4 e 6 dell’impugnata sentenza).

Infatti, come è stato ribadito anche di recente dalla Suprema Corte nella sua più autorevole espressione, le dichiarazioni della persona offesa possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, evidenziando, altresì, come, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, possa essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi (cfr.

Cass., sez. un., 19/07/2012, n. 41461, B. e altro, rv. 253214).

Il giudice per le indagini preliminari di Udine ha fatto di tali principi un’applicazione intrinsecamente contraddittoria, rilevando delle incongruenze nella narrazione dei fatti fornita dalla persona offesa, consistenti nel carattere meramente ipotetico delle dichiarazioni accusatorie originariamente rese al maresciallo M., poi trasformatesi in certezza, pur senza indicare specificamente secondo quali modalità il D.M. avesse partecipato all’aggressione, senza tenere in adeguato conto che l’immediata accusa rivolta dallo H. nei confronti della persona che aveva avvisato telefonicamente il pronto intervento; il riconoscimento fotografico operato nei confronti del D.M., indicato dalla persona offesa come uno di coloro che lo avevano colpito; l’accertata presenza sul luogo dell’aggressione dell’imputato, in uno con l’ammissione da parte di quest’ultimo di avere effettivamente chiesto l’intervento di un’ambulanza telefonicamente senza declinare le proprie generalità per evitare di essere identificato, sono tutti elementi che, considerati nel loro complesso, lasciano aperta una soluzione diversa dall’assoluzione del D.M., giustificando la necessità di un approfondimento dibattimentale.

Il mancato rispetto delle regole di giudizio ex art. 425 c.p.p., impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al tribunale di Udine per nuovo esame.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame al tribunale di Udine.

Così deciso in Roma, il 8 febbraio 2013.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2013

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