Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 04-02-2013) 17-07-2013, n. 30799

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Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 30 gennaio 2012 il Tribunale di Massa, in riforma della pronunzia di primo grado, assolveva V.F. dai reati di ingiuria e minaccia continuata commessi ai danni di G.B. a mezzo del telefono.

2. Avverso la sentenza ricorre il Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Genova, che, con unico motivo, deduce vizi motivazionali del provvedimento impugnato, rilevando come il Tribunale abbia contraddittoriamente ritenuto insufficienti ai fini dell’affermazione della responsabilità dell’imputato le dichiarazioni accusatorie della persona offesa, pur riconoscendone l’intrinseca attendibilità e nonostante le stesse avessero trovato riscontro in quelle concordanti della sorella e nelle risultanze dei tabulati telefonici acquisiti agli atti. Non di meno il ricorrente lamenta l’illogicità della motivazione della sentenza laddove il giudice ha ulteriormente giustificato la sua decisione ritenendo apoditticamente "impossibile" procedere all’identificazione della segretaria della querelante, individuata come potenziale teste "terza" dei fatti, rinunciando ad esercitare i propri poteri istruttori, pur riconoscendo l’indispensabilità dell’accertamento che ne avrebbe dovuto costituire l’oggetto, apoditticamente "impossibile" procedere all’identificazione della segretaria della querelante, individuata come potenziale teste "terza" dei fatti, rinunciando ad esercitare i propri poteri istruttori, pur riconoscendo l’indispensabilità dell’accertamento che ne avrebbe dovuto costituire l’oggetto.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato e deve essere accolto.

1.1 Il Tribunale ha dichiarato di volersi conformare al costante insegnamento di questa Corte, per cui le regole dettate dall’art. 192 c.p.p., comma 3 non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone e che, qualora la persona offesa si sia altresì costituita parte civile, può essere opportuno venga integrato dall’acquisizione di elementi di conferma (Sez. Un., n. 41461 del 19 luglio 2012, Bell’Arte ed altri, Rv. 253214), ma non ha dimostrato di aver saputo fare buon governo dei principi richiamati.

1.2 Infatti, la sentenza per un verso ritiene intrinsecamente attendibile la deposizione della persona offesa, ma per l’altro ne esclude l’idoneità a fondare in via esclusiva la prova di responsabilità, ritenendo che la propalante sia portatrice di uno specifico interesse all’accusa in forza delle pregresse vertenze economiche che la contrapponevano all’imputato e nel cui contesto è maturata la consumazione dei reati in contestazione. Ma in tal modo il giudice del merito, in contraddizione rispetto alle premesse in diritto cui ha affermato di volersi attenere, ha finito sostanzialmente per escludere a priori ed in maniera astratta che, nonostante il positivo esito sull’attendibilità del narrato, la testimonianza della persona offesa possa mai integrare la prova esclusiva della responsabilità dell’imputato qualora la stessa sia in rapporti conflittuali con quest’ultimo, senza dare conto, come invece necessario, delle ragioni per cui nel concreto le dichiarazioni della parte lesa non potevano essere assunte a presupposto della condanna, tenuto conto della natura dei rapporti di cui si è presunta la valenza "inquinante" e di quella dei reati commessi.

2. Una volta negata – si ribadisce senza che tale valutazione sia stata supportata da idonea motivazione – l’autonoma funzione probatoria delle dichiarazioni della persona offesa, il Tribunale ha poi escluso che tale carenza potesse essere "sopperita" dalle convergenti dichiarazioni della sorella della G. e dalle risultanze dei tabulati telefonici attestanti plurimi contatti tra quest’ultima ed un’utenza cellulare francese, nonchè un’altra residente in (OMISSIS), luogo in cui viveva all’epoca dei fatti l’imputato. Nel primo caso il giudice ha ritenuto tout court inattendibile la prova dichiarativa in virtù dei rapporti parentali che legano le due donne, nel secondo ha rilevato per un verso che la prova era incompleta – non essendosi accertato che le menzionate utenze fossero effettivamente in uso al V. – e per l’altro ne ha parimenti affermato l’inattendibilità in ragione del fatto che le comunicazioni telefoniche sarebbero avvenute per impulso della persona offesa e non dell’imputato.

2.1 Quanto alla testimonianza di G.F., la motivazione fornita dal Tribunale risulta apodittica nella misura in cui, ancora una volta, finisce per affermare in maniera del tutto astratta l’automatica inattendibilità di fonti dichiarative legate da rapporti di parentela con la parte lesa dal reato, senza dare conto degli specifici elementi che consentirebbero di far ritenere nel caso concreto l’influenza di tale rapporto sul contenuto della testimonianza, tanto più che questa, in quanto tale, non costituisce un mero riscontro esterno alle dichiarazioni della persona offesa, ma presenta l’autonoma vocazione a costituire la prova diretta ed esaustiva dei fatti in contestazione.

2.2 Con riguardo ai tabulati telefonici deve osservarsi che il mancato accertamento circa la titolarità delle utenze non è logicamente sufficiente ad escludere l’attitudine dei tabulati telefonici a costituire un mero riscontro alle dichiarazioni della persona offesa senza l’adeguata valutazione – invece omessa – del significato che il dato può avere nel contesto dei fatti denunciati e dell’intera prova acquisita. In altri termini – posto che la funzione attribuita ai suddetti tabulati non è quella di provare in maniera autonoma la consumazione del reato, bensì solo quello di confermare l’attendibilità della versione dei fatti fornita dalla persona offesa – per giungere alle conclusioni sostenute dal giudice di merito era necessario spiegare perchè la circostanza che una impresa contatti ripetutamele un’utenza estera del luogo in cui risiede l’imputato nei confronti del quale vanta pretese creditorie debba considerarsi neutra nel senso indicato. E ben più inadeguata risulta poi la motivazione della sentenza impugnata allorquando esclude i tabulati dall’orizzonte probatorio in forza del fatto che i contatti telefonici sarebbero stati sempre avvenuti su iniziativa della G.. L’argomento risulta contraddittorio, atteso che la stessa sentenza da atto di come proprio la persona offesa abbia deposto in tal senso evidenziando come minacce ed ingiurie siano seguite proprio al suo ripetuto tentativo di convincere l’imputato a pagare il suo debito, nonchè manifestamente illogico, in quanto non si comprende quale sarebbe stato l’interesse dell’imputato a contattare la persona offesa cui non voleva saldare quanto dovuto (tanto da averle rilasciato assegni privi di copertura) e non viceversa. Ma innanzi tutto tale esclusione è priva di qualsiasi sostegno argomentativo, atteso che il giudice dell’appello si limita ad escludere in maniera apodittica l’attitudine dei tabulati a comprovare che effettivamente la G. e il V. si siano sentiti per telefono, senza spiegare quale sarebbe in tal senso il valore logico della attribuibilità dell’iniziativa dei contatti alla prima piuttosto che al secondo.

3. Fondato è infine anche l’ultimo rilievo sollevato dal ricorrente.

Effettivamente la motivazione della sentenza impugnata risulta contraddittoria laddove afferma l’impossibilità di procedere ad una integrazione probatoria ritenuta dal giudice indispensabile in quanto la fonte dichiarativa che dovrebbe essere assunta non sarebbe identificata, pur ammettendo implicitamente che sarebbe agevolmente identificabile – ricorrendo allo stesso mezzo – ricordando che la stessa altri non sarebbe se non che la segretaria della persona offesa, la quale, pertanto, se opportunamente interrogata in proposito, potrebbe rivelarne per l’appunto l’identità favorendone così la citazione.

4. Conclusivamente la sentenza deve dunque essere annullata con rinvio al Tribunale di Massa per nuovo esame. In proposito va precisato che il giudice del rinvio rimane libero di valutare il compendio probatorio e di giungere anche alle medesime conclusioni assunte nella sentenza annullata, purchè attraverso una motivazione che tenga conto dei rilievi svolti da questa Corte. Non di meno lo stesso giudice del rinvio non deve ritenersi vincolato alla valutazione di indispensabilità dell’assunzione della testimonianza della segretaria della G., ma soltanto, laddove dovesse condividere tale valutazione e non provvedesse ad assumere la prova, a fornire una motivazione a sostegno della sua decisione diversa da quella censurata in questa sede.

P.Q.M.

Annulla l’impugnata sentenza con rinvio al Tribunale di Massa per nuovo esame.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2013.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2013

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