Cass. civ. Sez. III, Sent., 07-08-2012, n. 14185

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
p. 1. P.L., in proprio e quale erede di G. L. ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza del 10 novembre 2009, con la quale il Tribunale di Firenze ha rigettato l’opposizione ai sensi degli artt. 512 e 617 c.p.c., proposta da esso ricorrente e dalla G., sua moglie separata deceduta nel corso del giudizio, avverso un’ordinanza di assegnazione pronunciata dal Giudice dell’Esecuzione il 19 dicembre 2006 a favore della XXX quanto all’importo di Euro 215.423,52 in forza di un suo atto di intervento, spiegato sulla base di una fideiussione, nell’ambito di una procedura esecutiva immobiliare a suo tempo iniziata dalla stessa Banca nel febbraio del 1995.
p.2. Al ricorso ha resistito con controricorso, che nella sua intestazione si dice cumulato con un ricorso incidentale, la XXX.
Motivi della decisione
p.1. Con il primo motivo si denuncia "Illegittimità ed erroneità della sentenza impugnata; falsa applicazione delle norme di diritto – art. 360 numero 3 in riferimento agli artt. 499 e 563 c.p.c.".
Vi si lamenta innanzitutto, con una prima censura, che la sentenza impugnata avrebbe ritenuto infondata "l’eccezione di prescrizione del credito vantato dalla XXX e derivane da una fideiussione rilasciata dai condebitori garanti" e si asserisce che tale conclusione sarebbe illegittima e contra legem. In particolare, erroneamente il Tribunale avrebbe ritenuto che l’istanza di fallimento contro il debitore principale, cioè la s.r.l. XXX, di cui i P. e la G. erano garanti, fosse idonea ad interrompere la prescrizione del diritto, sorto nel 1994, mentre "la giurisprudenza tutta afferma il contrario".
Si sostiene poi che sempre erroneamente la sentenza avrebbe affermato "che anche l’intervento nel giudizio di esecuzione sia idoneo ad interrompere la prescrizione". A spiegazione dell’errore si dice che "infatti, se è vero che l’intervento nel giudizio di esecuzione sia equivalente alla domanda giudiziale e come tale idoneo ad interrompere la prescrizione, dimentica la sentenza che nella fattispecie sono diversi i profili che vengono in esame e dei quali si è bellamente dimenticata".
Si passa, quindi, ad enunciare una serie di considerazioni che non sono in alcun modo pertinenti alla dimostrazione dell’erroneo apprezzamento dell’eccezione di prescrizione, ma sono relative alla sussistenza in capo alla Banca del credito oggetto dell’intervento ed il motivo si conclude con l’inutile (stante l’abrogazione dell’art. 366-bis c.p.c.) enunciazione del seguente quesito di diritto: "dica la Corte di Cassazione che in caso di cessione di credito antecedente all’inizio dell’esecuzione immobiliare la legittimazione attiva a spiegare intervento per le somme ulteriormente dovute appartiene al solo cessionario essendone carente il cedente, che la mantiene invece per la parte relativa all’esercizio già in corso al momento della cessione".
p.1.1. Il motivo è inammissibile in entrambe le censure che prospetta per varie e gradate ragioni.
p.1.2. Una prima ragione di inammissibilità concerne la censura relativa alla prescrizione ed è rappresentata dalla mancanza di indicazione delle norme che si asseriscono violate, posto che nessuna di quelle indicate nell’intestazione del motivo concerne la prescrizione e considerato che non sono forniti elementi per desumere i referenti normativi di essa.
Una seconda ragione concerne la stessa censura quanto all’inidoneità come atto interruttivo della prescrizione dell’istanza di fallimento e dell’intervento: nessuna argomentazione giuridica si svolge per supportarla, sicchè viene in rilievo il principio di diritto secondo cui "Il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatoci della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla Corte regolatrice di adempiere il suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione" (Cass. n. 5353 del 2007).
La censura appare, nella specie, totalmente apodittica e generica e sotto tale ultimo aspetto impinge in inammissibilità anche alla stregua del seguente principio di diritto: "Il requisito di specificità e completezza del motivo di ricorso per cassazione è diretta espressione dei principi sulle nullità degli atti processuali e segnatamente di quello secondo cui un atto processuale è nullo, ancorchè la legge non lo preveda, allorquando manchi dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento del suo scopo (art. 156 c.p.c., comma 2). Tali principi, applicati ad un atto di esercizio dell’impugnazione a motivi tipizzati come il ricorso per cassazione e posti in relazione con la particolare struttura del giudizio di cassazione, nel quale la trattazione si esaurisce nella udienza di discussione e non è prevista alcuna attività di allegazione ulteriore (essendo le memorie, di cui all’art. 378 cod. proc. civ., finalizzate solo all’argomentazione sui motivi fatti valere e sulle difese della parte resistente), comportano che il motivo di ricorso per cassazione, ancorchè la legge non esiga espressamente la sua specificità (come invece per l’atto di appello), debba necessariamente essere specifico" (Cass. n. 4741 del 205, seguita da numerose conformi).
La censura in discorso appare, inoltre, ulteriormente inammissibile, per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, perchè si fonda su documenti e atti processuali – cioè la formulazione dell’eccezione di prescrizione, la fideiussione rilasciata dai coniugi e l’istanza di fallimento – dei quali non si fornisce l’indicazione specifica nei termini di cui alla giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. un. n. 22726 del 2011 per gli atti processuali, quanto alla formulazione dell’eccezione di prescrizione; Cass. sez. un. nn. 28547 del 208 e 7161 del 2010 per i documenti, quali sono gli altri due atti).
p.1.3. Riguardo alla censura relativa all’intervento della Cassa di Risparmio si rileva che essa, là dove si sostanzia nella deduzione che al momento dell’intervento la Banca non era titolare del credito per cui l’aveva spiegato, è inammissibile per inosservanza dell’art. 366 c.p.c., n. 6, in quanto si fonda sull’atto di intervento della Banca, su una non meglio identificata cessione del credito ad una società Perseo con riserva del "diritto di continuare le azioni recuperatorie del credito", di cui ad una "memoria 143/5/09, nonchè su altre deduzioni circa lo svolgimento della procedura esecutiva e su non meglio specificati documenti giustificativi depositati nel febbraio del 2005". Riguardo a tali atti non si fornisce l’indicazione specifica nei termini richiesti dalla ricordata giurisprudenza ed anzi le stesse allegazioni svolte, anche se si raccordano con le deduzioni contenute nella parte del ricorso dedicata allo svolgimento processuale, non risultano nemmeno comprensibili al fine di consentire lo scrutinio dei termini della censura, supponendo la conoscenza aliunde dello svolgimento della procedura esecutiva e anche del tenore dell’opposizione agli atti.
La censura è inammissibile anche perchè non spiega come e perchè sarebbero state violate le due norme evocate nell’intestazione del motivo, ma in realtà, svolge una contestazione sulla titolarità del credito in capo alla Banca.
La censura è, inoltre, (gradatamente, perchè si suppone il suo confronto con la sentenza impugnata) inammissibile anche perchè prospetta una questione che la sentenza impugnata non affronta e, dunque, la sua ammissibilità esigeva che si indicasse dove nel ricorso in opposizione o, ritualmente, nel corso del relativo giudizio, la questione con essa prospettata era stata svolta. Nel qual caso, non essendo stata esaminata dalla sentenza impugnata, la censura proponibile sarebbe stata quella di omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c..
p.2. Con il secondo motivo si denuncia "illegittimità della sentenza impugnata-Falsa ed erronea applicazione delle norme di diritto – Difetto di motivazione su prova decisiva della controversia costituita dalle due lettere provenienti da Cassa di Risparmio Firenze ed indirizzata agli esecutati – Art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 i relazione agli artt. 2712 e 2731 c.c., D.P.R. n. 513 del 1997, art. 5, comma 2 così come modificato dall’art. 10 comma 3 testo unico sui documenti informatici e telematici".
p.2.1. Il motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, atteso che imputa alla sentenza impugnata di avere escluso l’idoneità di due "lettere di tipo telematico" a dimostrare una remissione totale del debito, ma di tali documenti non fornisce l’indicazione specifica sempre nei termini di cui alla ricordata giurisprudenza, la quale evidenzia che la norma costituisce il precipitato normativo del principio di autosufficienza, affermato dalla giurisprudenza di questa Corte anteriormente alla sua introduzione (i termini di tale giurisprudenza, oltre a ribadire che è necessario che il ricorrente in cassazione riporti il contenuto del documento per la parte che supporta la sua deduzione e ciò o direttamente o almeno indirettamente, con l’indicazione della parte dell’atto cui corrisponde il contenuto riprodotto indirettamente, come ad esempio mediante individuazione delle pagine e dei righi, sono i seguenti: "In tema di ricorso per cassazione, l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, novellato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, oltre a richiedere l’indicazione degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto;
tale prescrizione va correlata all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per cui deve ritenersi, in particolare, soddisfatta: a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante la produzione del fascicolo, purchè nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile; b) qualora il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l’indicazione che il documento è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito di controparte, pur se cautelativamente si rivela opportuna la produzione del documento, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per il caso in cui la controparte non si costituisca in sede di legittimità o si costituisca senza produrre il fascicolo o lo produca senza documento; c) qualora si tratti di documento non prodotto nelle fasi di merito, relativo alla nullità della sentenza od all’ammissibilità del ricorso (art. 372 c.p.c.) oppure di documento attinente alla fondatezza del ricorso e formato dopo la fase di merito e comunque dopo l’esaurimento della possibilità di produrlo, mediante la produzione del documento, previa individuazione e indicazione della produzione stessa nell’ambito del ricorso." (Cass. sez. un. n. 7161 del 2010, citata).
p.3. Il terzo motivo fa valere "illegittimità della sentenza impugnata – Violazione e falsa applicazione di norme di diritto – Art. 360 c.p.c., n. 3 n relazione agli artt. 1956 e 1938 c.c., L. n. 194 del 1992, art. 10".
Anche tale motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, perchè prospetta una questione di nullità della fideiussione del 30 luglio 1992, assumendo che essa non avrebbe novato quella originaria del 1987, là dove avrebbe fissato il tetto in tre miliardi di vecchie lire, con la conseguenza che perdurava la nullità della fideiussione originaria sopravenuta in forza delle novità normative di cui agli artt. 1938 e 1956 c.c. e non rimediata dalla fissazione del predetto tetto, atteso che le obbligazioni gravanti sugli esecutati e discendenti dall’esposizione in conti correnti erano sorte dopo le modifiche a quelle norme introdotte dalla L. n. 154 del 1992.
Il motivo si fonda sul contenuto delle due fideiussioni, oltre che sull’atto che individuerebbe le obbligazioni dei conti correnti azionate, ma di tali atti non si fornisce nuovamente l’indicazione specifica.
p.4. Con il quarto motivo si prospetta "Illegittimità della sentenza impugnata – Violazione e falsa applicazione delle norme di diritto – Art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 183 c.p.c.".
Il motivo è nuovamente inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, in quanto si fonda su una irrituale utilizzazione di documenti e atti processuali, senza che si fornisca di essi l’indicazione specifica necessaria per consentire l’apprezzamento della pretesa irritualità (quanto agli atti processuali nei termini precisati da Cass. sez. un. n. n. 22726 del 2011). Si fa, infatti, riferimento a non meglio precisata documentazione, al suo deposito da parte della Banca con una non meglio precisata memoria, ad una contestazione di tardività sollevata con una memoria del ricorrente del 12 giugno 2009 senza riprodurre precisamente i termini di essa.
Inoltre, non si specifica la sede in cui venne concesso il termine per il deposito delle dette memorie, sì che non riesce possibile apprezzare il riferimento alla norma dell’art. 183 c.p.c., di cui si denuncia la violazione. In particolare, del tutto oscura è l’affermazione – seguita dall’asserto che non ne sarebbe stata elisa la "validità e fondatezza dell’eccezione" – che "le memorie con scadenza maggio e giugno 2009 erano state disposte ed autorizzate dal tribunale dopo la riassunzione de processo e prima della discussione finale fissata al 7 luglio 2009, udienza nella quale il Tribunale resosi conto dell’errore di voler definire il giudizio con l’emissione di sentenza mediante lettura del dispositivo, invitava le parti a concludere e concedeva i termini per il deposito di ulteriore memoria conclusionale e di replica".
In tal modo la Corte dovrebbe procedere ad un esame degli atti per ricercare in essi che cosa ipoteticamente corrisponda a quanto insufficientemente allegato, con inammissibile rilevazione del ricorrente in cassazione dall’onere di articolare il contenuto del motivo in modo da permetterne l’esame con riferimento agli atti in cui esso a suo avviso di rinviene.
Si deve, poi, aggiungere che nel motivo si lamenta anche che l’eccezione non sarebbe stata riscontrata dal Tribunale, il che evidenzia che allora il motivo è ulteriormente inammissibile, sia perchè occorreva dimostrare che l’eccezione era stata mantenuta fino alla fase decisoria e, quindi, lamentare un’omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c..
p.5. Il ricorso è, conclusivamente, dichiarato inammissibile, stante l’inammissibilità di tutti i suoi motivi.
p.6. Va rilevato che nella struttura del controricorso si dice proposto un ricorso incidentale, ma risulta di difficile individuazione la parte del controricorso in cui sarebbe articolato.
L’unico riferimento che parrebbe consentire di intravedere il misterioso ricorso incidentale si rinviene nell’ultima proposizione della pagina sei, dedicata all’illustrazione del secondo motivo, nella quale si chiede l’accoglimento del ricorso incidentale "sub secondo motivo".
Senonchè, in disparte che quanto si enuncia alla pagina sei, appunto nell’ambito del secondo motivo, non ha la sostanza di un ricorso incidentale, si dovrebbe rilevare la sua assoluta genericità, con conseguente applicabilità del principio di diritto di cui alla già citata Cass. n. 4741 del 2005.
Tanto impone di ritenere inammissibile il ricorso incidentale.
p.7. Il ricorso principale è rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione si possono compensare dato l’esito negativo sia del ricorso principale che di quello incidentale.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale. Dichiara inammissibile l’incidentale. Compensa le spese giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 27 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2012
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