Cass. civ. Sez. III, Sent., 07-08-2012, n. 14183

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Svolgimento del processo
p. 1. Con sentenza del luglio 1981 il Tribunale di Sondrio convalidava un sequestro conservativo immobiliare su un immobile di M. così è scritto nella sentenza, evidentemente per errore, atteso che si tratta di L.G. e dichiarava il medesimo ed altro soggetto tenuti a garantire solidalmente l’istante XXX, in qualità di fideiussori, per tutti i crediti presenti e futuri della stessa verso la debitrice principale s.a.s.
XXX XXX di XXX XXX e C. ammontanti a L. 869.456.042, oltre interessi bancari a 19,5% dall’1 luglio 1980, "salve successive modificazioni dei rapporti creditori in atto" e, quindi, condannava i detti "convenuti, in via solidale, al pagamento in favore della XXX della somma che risulta dovuta al momento della presente decisione, oltre interessi legali al 19,50%".
p.1.1. Con sentenza del 10 ottobre 2000 la Corte d’Appello di Milano confermava la sentenza del tribunale valtellinese e, per mancata impugnazione, si formava cosa giudicata il 22 gennaio 2001. Ne seguiva la conversione del sequestro in pignoramento ai sensi dell’art. 686 c.p.c. sull’immobile del L., nel mentre l’altro coobbligato transigeva la controversia. In data 7 aprile 2001 il L. proponeva opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c. dinanzi al Tribunale di Sondrio, adducendo che nel corso del tempo il suo debito era risultato estinto per effetto di pagamenti ricevuti dalla Banca dal debitore principale, dal confideiussore e da altri garanti. Contestava l’applicazione della misura degli interessi per anatocismo e chiedeva dichiararsi che nulla era dovuto più alla Banca procedente. La Banca si costituiva e chiedeva il rigetto dell’opposizione sull’assunto che non potevano opporsi fatti estintivi, modificativi e impeditivi del credito consacrato nel titolo anteriori alla formazione del giudicato su di esso.
p.1.2. Con sentenza del gennaio 2002 il Tribunale di Sondrio rigettava l’opposizione condividendo l’eccezione della Banca ed osservando, altresì, che l’inciso "salve successive modificazioni dei rapporti creditori in atto" era comunque privo di effettività, trattandosi di mera clausola di stile.
p.1,3. Sull’appello del L. la Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 30 gennaio 2004, riformava la sentenza di primo grado, opinando che la condanna pronunciata dal Tribunale fosse ineseguibile perchè generica in quanto non risultava determinato il quantum.
Dichiarava, in conseguenza, dopo avere rilevato che risultava superflua l’attività istruttoria richiesta dal L., la inesistenza del diritto della Banca di procedere ad esecuzione.
p.2. La Banca proponeva ricorso per cassazione e questa Corte lo accoglieva con sentenza n. 25640 del 2007.
La sentenza rilevava preliminarmente che "Col motivo di ricorso (violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia) la ricorrente ha dedotto che la Corte di merito ha errato nell’interpretare la sentenza passata in giudicato, distinguendo tra la statuizione riguardante l’accertamento del credito della Banca verso il debitore principale ad una certa data e quella concernente la condanna del fideiussore al pagamento della somma dovuta al momento della decisione, tenuto conto delle modificazioni a tale ultima data dei rapporti creditori, trattandosi di statuizioni tra loro così intimamente connesse che, in mancanza di un’espressa limitazione e/o riserva di quantificazione in separato giudizio, stante peraltro il divieto per il giudice, sancito dal principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, di limitare la pronuncia al solo accertamento dell’an di fronte ad una domanda di condanna specifica, la condanna del L. non poteva non riferirsi alla somma accertata e non poteva pertanto configurarsi come generica".
Riteneva, quindi, fondato sotto il profilo dell’incongruità della motivazione, così esprimendosi; "La sentenza che contiene una statuizione di condanna va interpretata nel senso della sua eseguibilità coattiva, piuttosto che in quello che non abbia tale efficacia. Pertanto, una sentenza che accerta l’entità del debito principale ad una data anteriore alla domanda e condanna il fideiussore al pagamento della somma che risulti dovuta dal debitore principale alla data della decisione senza determinarla, va interpretata nel senso che consenta al fideiussore di contrapporre al credito accertato non solo fatti estintivi posteriori al giudicato, ma anche fatti estintivi successivi alla data in cui il credito è stato accertato, in quanto abbiano diminuito l’ammontare del credito esistente alla data della decisione, spettando al fideiussore di farli valere mediante opposizione all’esecuzione. Il ricorso va dunque accolto in tali termini, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte d’appello di Milano".
p.3. Con sentenza del 27 ottobre 2009 la Corte d’Appello di Milano, dopo avere ritenuto ammissibili in relazione ai limiti del giudizio di rinvio le istanze istruttorie non ammesse nel precedente giudizio di appello, in quanto erano state ritenute assorbite dalla valutazione di insussistenza del titolo esecutivo, le disattendeva e, quindi, assumendo che non risultava fornita la prova da parte del L. che il debito per cui la Banca procedeva, siccome risultante in "iniziali" L. 869.456.042 (Euro 449.036,57) dalla sentenza del Tribunale di Sondrio del gennaio 2002, confermata dalla sentenza d’Appello del gennaio 2004, e maggiorato degli interessi al 10%, in luogo del tasso del 19.5% non era stato "estinto nè … ridotto con versamenti successivi al 16 gennaio 2001", rigettava l’appello del L. e confermava la detta sentenza del Tribunale di Sondrio.
p.4. Contro questa sentenza il L. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
p.5. La XXX ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
p.1. Con il primo motivo del ricorso si denuncia "Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per inosservanza del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato" (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nonchè "Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per la decisivo del giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) in ordine all’accertamento del debito oggetto di lite".
Vi si censura la sentenza impugnata perchè nell’individuare l’importo azionato dalla Banca in via esecutiva, invece di assumere il credito iniziale di L. 869.456.042 oltre interessi convenzionali al 19,5% dal 1 luglio 1980, avrebbe considerato il minor importo indicato dalla Banca in una lettera del 16 gennaio 2001 (già allegata al fascicolo del giudizio di opposizione del ricorrente), nel quale la Banca aveva riconosciuto "una serie di rilevanti pagamento (per complessive L. 1.486.706.135), ricevuti a decurtazione del debito iniziale ed aveva indicato quello che a suo avviso era il residuo debito del L. alla data del 15 gennaio 2001 per capitale e interessi", applicando quanto a questi ultimi il tasso del 10% anzichè quello riconosciutole al 19,5% dalla sentenza del Tribunale di Sondrio, costituente il titolo esecutivo.
In tal modo la Corte territoriale sarebbe giunta al rigetto dell’opposizione sulla base della "illogica ed erronea conclusione, esplicitata n. punto 4 della motivazione della sentenza, che il L. non aveva pertanto fornito la prova che il debito … era stato estinto nè che era stato ridotto con ulteriori versamenti successivi al 16 gennaio 2001". Poichè il debito era quello accertato dalla sentenza del Tribunale di Sondrio, se la sentenza impugnata l’avesse considerato, avrebbe dovuto, in ossequio alle domande del L., quantificare il debito detraendo da quello iniziale accertato al 13 agosto 1980 "tutti i pagamenti posteriori dei quali avesse ritenuto provata l’esistenza. Con l’effetto che quantomeno tutti i pagamenti di cui al conteggio allegato alla lettera della Banca del 16.1.2001 dovevano detrarsi dal debito iniziale, posto che la Corte li aveva ritenuti provati" e "ciò a prescindere dagli ulteriori pagamenti a decurtazione del debito altresì prospettati dal L.". Analogo errore sarebbe stato compiuto dalla Banca nel fare riferimento anzichè al tasso del 19,5% a quello autoridottosi dalla Banca al 10%. In tal modo Essa non avrebbe considerato il motivo di opposizione fondato sul carattere usurario del tasso del 19,5% del quale il L. aveva chiesto l’accertamento.
p. 1.1. Il motivo non è fondato.
Va premesso che nella specie l’esecuzione forzata è iniziata per effetto della conversione in pignoramento del sequestro all’atto del passaggio in giudicato della sentenza della Corte d’Appello di Milano, che confermò (in data 10 ottobre 2000) la sentenza di primo grado del Tribunale di Sondrio del luglio 1981 che, dunque, assunse, per quanto ha stabilito la sentenza di rinvio di questa Corte, il carattere di titolo esecutivo a far tempo dalla formazione della cosa giudicata, cioè 22 gennaio 2001, come si legge nella sentenza qui impugnata.
In conformità all’esegesi del titolo data da detta sentenza l’importo del credito per il quale, in forza della sopravvenienza dell’efficacia esecutiva in dipendenza della conversione del sequestro, si poteva procedere ad esecuzione era quello risultante dall’incidenza di eventuali pagamenti o altri fatti estintivi avventi dopo 13 agosto 1980 e fino alla data della formazione della cosa giudicata, salvo che essi non avessero determinato l’estinzione del credito. La contestazione del diritto de quo, in quanto proposta con l’opposizione all’esecuzione, a sua volta si doveva correlare al diritto così determinato, o meglio al suo ammontare eventualmente ridotto o estinto alla data di proposizione dell’opposizione, per effetto di ulteriori pagamenti o fatti estintivi intervenuti dopo la formazione della cosa giudicata, cioè fra il 22 gennaio 2001 e il 7 aprile 2011, data di proposizione del ricorso in opposizione.
Ne consegue che l’oggetto dell’accertamento dell’inesistenza totale o parziale del diritto di procedere all’esecuzione della Banca era il credito individuato nei suddetti termini. In sostanza l’opposizione si concretò nella deduzione che il credito della Banca non esisteva più o esisteva solo in parte, per effetto dei fatti estintivi verificatisi fino a quella data e dei quali si chiedeva l’accertamento.
Ora, la deduzione dell’omessa pronuncia postulava l’individuazione dei fatti costitutivi dell’opposizione relativi a pagamenti o fatti estintivi che risultavano allegati e dimostrati in giudizio e non di quelli che il ricorrente avrebbe voluto dimostrare con le prove che non gli sono state ammesse e che sono oggetto del secondo motivo. Si tratterebbe di quelli emergenti dalla lettera del 16 gennaio 2001 della Banca.
Ora, dalla lettura della sentenza impugnata (punto 4) non emerge affatto che la Corte meneghina abbia negato l’esistenza di quei fatti e, quindi, la loro incidenza nel senso di ridimensionare il diritto di procedere ad esecuzione forzata soltanto alla somma indicata in detta lettera come dovuta: è sufficiente rilevare che la sentenza afferma espressamente che "come conseguenza del rigetto delle istanze istruttorie tendenti a dimostrare, come s’è detto ed è pacifico, fatti estintivi ulteriori rispetto a quelli indicati e riconosciuti come avvenuti nella lettera, l’appellante …. non ha fornito la prova che il debito, per il quale la "Banca" ha promosso l’azione esecutiva – debito di iniziali L. 869.456.042 …. maggiorato degli interessi (calcolati al saggio del 10% annuo in luogo del riconosciuto 19,5%) – è stato estinto nè che è stato ridotto con ulteriori versamenti successivi al 16 gennaio 2001. Va a questo proposito, osservato che nel conteggio allegato alla lettera della "Banca" del 16gennaio 2001, sono dettagliatamente elencati i pagamenti effettuati a decurtazione del debito, e sono specificamente indicati il capitale iniziale e gli interessi maturati dal 13 agosto 1980, nonchè il residuo importo complessivamente dovuto".
Da questo passo motivazionale emerge i modo chiaro che la Corte territoriale non ha in alcun modo disconosciuto che il diritto di procedere all’esecuzione fosse insussistente per la somma eccedente quanto indicato dalla Banca come ancora dovuto con la lettera del 16 gennaio 2001.
Ne deriva che, quando successivamente, al punto 7 la Corte milanese ha scritto che "in conclusione cioè come conseguenza di quanto osservato al punto 4 in fine, dopo il passo riportato, circa la mancata prova di fatti estintivi ulteriori rispetto a quelli emergenti dalla citata lettera ed alla infondatezza della contestazione del tasso degli interessi del 10% applicato in luogo del 19.5% (punto 5), nonchè di quella sull’anatocismo (punto 6), l’appello va respinto e va confermata la sentenza del tribunale di Sondrio, sia pure con la sopra detta diversa motivazione", ancorchè non abbia detto, come sarebbe stato più opportuno, che il diritto di procedere all’esecuzione si intendeva esistente al momento della proposizione dell’esecuzione solo per l’importo indicato nella lettera del 16 gennaio 2001, il coordinamento del passo motivazionale con quanto prima argomentato evidenzia i modo certo che tale accertamento è contenuto nella sentenza e che, quindi, l’esecuzione era legittima solo per quell’importo.
Raggiunta tale conclusione e considerato che la sentenza impugnata dev’essere letta in questo senso e ciò anche dal giudice del processo esecutivo, rileva il Collegio che il ricorrente non ha dedotto che la Banca abbia assunto, nel resistere all’opposizione, un atteggiamento di deduzione dell’esistenza del suo diritto di procedere all’esecuzione alla data della opposizione stessa per somme maggiori di quelle indicate nella lettera e, pertanto, non risulta dimostrata una situazione per cui l’opposizione, rigettata da Tribunale per l’erronea valutazione di inesistenza del titolo esecutivo, dovesse essere parzialmente accolta, cioè riconosciuta fondata in dipendenza della pretesa della Banca di esercitare il diritto di procedere all’esecuzione per somme maggiori di quelle indicate nella lettera del 16 gennaio 2001.
Sarebbe stato onere del ricorrente dedurre, con opportuna indicazione delle difese e conclusioni della Banca, che essa avesse assunto quell’atteggiamento.
Il motivo è, dunque, rigettato, fermo restando che alla sentenza in parte qua dovrà essere data la lettura poco sopra indicata.
p.2. Con il secondo motivo si deduce "omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per la decisione del giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), in ordine all’ammissione e alla valutazione delle prove dedotte per l’accertamento del debito oggetto di lite".
Il motivo – dedotto ai sensi del n. 5, art. 360 c.p.c., ma, in realtà, iscrivibile all’ambito del n. 4, art. 360 c.p.c., atteso che si criticano decisioni sulle prove e le istanze istruttorie – si articola in tre distinte censure.
Con la prima si lamenta che la Corte d’Appello abbia omesso di pronunciasi sulla richiesta di interrogatorio formale articolata dal ricorrente, i cui capitoli, in ottemperanza al requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 sono trascritti nel ricorso.
La seconda censura si duole, invece, che sugli stessi capitoli non sia stata ammessa la prova testimoniale.
La terza censura è relativa all’omesso esame di un documento, prodotto con l’atto di riassunzione con il n. 4.
La quarta censura lamenta il mancato accoglimento dell’istanza di ordine di esibizione a carico della Banca, ai sensi dell’art. 210 c.p.c., della contabilità inerente la società XXX e i garanti.
La quinta si duole del mancato accoglimento dell’istanza di consulenza tecnica contabile.
p.2.1. Va rilevato che effettivamente la sentenza impugnata non si è pronunciata sulla richiesta di interrogatorio formale, mentre si è pronunciata su quella di prova testimoniale.
In proposito, si deve rilevare che il non avere il giudice di merito provveduto sull’istanza di ammissione dell’interrogatorio formale, in tanto può dare luogo ad un vizio della sentenza da lui pronunciata, in quanto l’omissione risulti decisiva, cioè potenzialmente incidente sulla decisione, il che significa che il mero fatto di non avere provveduto non può determinare di per sè la cassazione della sentenza, occorrendo, invece, che la prova per interrogatorio formale fosse ammissibile e rilevante (cioè che gli articoli di prova fossero relativi a fatti specifici, rilevanti e bisognosi di prova e, dunque, non pacifici o ammessi), perchè se non lo era, la mancanza di provvedimento del giudice sul punto risulta in concreto ininfluente, giacchè il giudice di merito, se avesse provveduto, avrebbe dovuto dichiarare la prova inammissibile.
Se si vuole questo criterio si può ora leggere implicitamente consacrato nell’art. 360-bis c.p.c., n. 2, interpretando il riferimento al non essere fondata la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo nel senso che il legislatore si sia inteso riferire al caso in cui, dedotta la violazione di una norma del procedimento, essa sussista e, tuttavia, per non essere stata incidente sulla decisione non abbia determinato la conseguenza di una ingiustizia del processo nel suo approdo finale, cioè nella decisione.
Da quanto osservato consegue che, essendo gli articoli di prova per interrogatorio formale identici a quelli della prova per testi e prevedendo l’art. 230 c.p.c., comma 1, che la deduzione dell’interrogatorio formale debba avvenire per articoli specifici in non diversa guisa di quanto lo debbano essere gli articoli di prova testimoniale ai sensi dell’art. 244 c.p.c., l’avere provveduto la Corte territoriale su taluni di questi ultimi con una valutazione di mancanza di specificità, se tale valutazione si mostrasse esatta, si concreterebbe in una evidente mancanza di decisività dell’omessa decisione sull’ammissibilità degli stessi articoli qual oggetto dell’interrogatorio formale.
Allo stesso modo eventuali valutazioni di taluni articoli di prova testimoniale nel senso della ininfluenza e, dunque, del difetto di rilevanza del fatto oggetto ai fini del decidere, oppure nel senso della non necessità della prova per essere relativi a fatti incontestati, nuovamente sarebbero idonee, se corrette, a rendere non decisiva l’omessa ammissione dell’interrogatorio formale sugli stessi articoli di prova.
Da tanto emerge che la prima censura dovrà seguire la sorte della seconda relativa alle valutazioni svolte dalla sentenza impugnata sugli articoli di prova testimoniale.
Erroneamente, pertanto, il ricorrente postula che i capitoli di prova a) ed e) rectius: g), atteso che il capitolo e) non è stato ammesso perchè riguardava fatto incontroverso avrebbero potuto essere ammessi nonostante la loro ritenuta genericità: l’assunto contrasta con l’art. 230 c.p.c., comma 1.
p.2.2. Venendo all’esame della censura concernente la prova testimoniale, il Collegio osserva quanto segue.
A) Il ricorrente, dopo avere rilevato che i capitoli (rectius:
articoli) a), b), c) e g) sono stati dichiarati inammissibili per genericità dei fatti che ne erano oggetto, sostiene che tale motivazione della Corte territoriale sarebbe "illogica ed erronea quantomeno per il capitolo b) e per il capitolo c)" e, dunque, non si duole della valutazione di genericità per gli articoli di prova a) e g).
B) Il ricorrente muove la critica alla valutazione sui capitoli b) e c) in punto di genericità e, quindi, di violazione dell’art. 244 c.p.c. (e, per l’interrogatorio formale, dell’art. 230 c.p.c., comma 1) esclusivamente con riferimento alla mancata indicazione delle date degli incassi dal debitore principale XXX, cui allude il capitolo b), e dell’incasso di effetti-tratte emessi sempre dal medesimo, cui allude il capitolo c), ma in tal modo non critica la motivazione della Corte d’Appello in modo completo, cioè anche là dove Essa ha precisato che "inoltre non sarebbe certa l’inerenza al debito in esame dei fatti": tale seconda affermazione, concretandosi sia in un’ulteriore profilo di genericità, sia e soprattutto in una implicita valutazione di difetto di rilevanza (perchè, pur in ipotesi provati i fatti capitolati, non si sarebbe potuto sapere se essi si riferivano alla vicenda di causa), è da sola sufficiente a giustificare l’esattezza della valutazione della Corte d’Appello, anche indipendentemente dalla correttezza dell’altra affermazione, che, dunque, non v’è nemmeno bisogno di controllare in base all’argomento svolto dal ricorrente, perchè, se anche esso fosse esatto, l’inammissibilità dei due articoli di prova sarebbe ampiamente giustificata dall’ulteriore affermazione della Corte territoriale.
C) Il ricorrente si duole della valutazione di inammissibilità dell’articolo di prova i), che aveva il seguente tenore: "Vero che la banca ha acquistata dal D.V.B. un immobile del valore di lire 243.500.000". La Corte d’Appello ha ritenuto ininfluente il fatto "in quanto la banca se ha acquistato l’immobile indicato ne ha dovuto pagare il prezzo". Il ricorrente sostiene che la valutazione di ininfluenza sarebbe stata errata, perchè: c1) la Corte territoriale non avrebbe letto con la necessaria attenzione l’atto introduttivo del giudizio di rinvio, nel quale egli, nel descrivere i pagamenti ricevuti dalla Banca a deconto del debito XXX da parte del co-garante D.V.B., aveva affermato e provato documentalmente, come emergeva dal decreto di trasferimento, di cui al doc. 7 del suo fascicolo dell’opposizione, che l’importo di cui al capitolo di prova, "lungi dal costituire il corrispettivo di una compravendita, rappresentava il valore dell’immobile trasferito alla banca nell’esecuzione immobiliare n. 146/86 della Pretura di Tirano, da ella promossa in danno del predetto D.V."; c2) l’articolo di prova era diretto a confermare detta circostanza, che era ammissibile e rilevante. Ora, questa argomentazione, in disparte il rilievo – del tutto assorbente – che non è possibile raccordare il capitolo di prova per come articolato a detta circostanza (atteso che la deduzione della prova testimoniale è dominata dall’iniziativa della parte, che nell’articolare la prova ha l’onere di individuare in modo chiaro il fatto che ne è oggetto e, pertanto, deve usare le espressioni linguistiche appropriate per individuarlo) e, quindi, leggerlo nei sensi indicati dal ricorrente, risulta anche, gradatamente, inammissibile, in quanto si fonda su una risultanza processuale, della quale non si fornisce in alcun modo l’indicazione specifica ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, omettendosi di indicare dove la parte dell’atto di riassunzione nella quale si era svolta la deduzione sarebbe da rintracciare nell’atto stesso, cosa che avrebbe richiesto la precisazione della pagina di esso e all’interno di essa delle righe cui il contenuto indirettamente riprodotto corrisponderebbe, non essendo esigibile che essa venga ricercata dalla Corte, con il rischio che non si corrisponda a quanto in mente del ricorrente. Inoltre, non si indica neppure se l’atto di riassunzione sia stato prodotto e dove e se si intenda fare riferimento alla sua esistenza nel fascicolo d’ufficio (come ha ammesso Cass. sez. un. n. 22726 del 2011).
d) Il ricorrente lamenta, poi, che siano stati detti ininfluenti i capitoli f) ed h) e critica la motivazione con cui la Corte milanese li ha considerati tali; ora, quella Corte ha detto influenti i capitoli osservando "che con il prospetto allegato alla lettera i data 16 gennaio 2001 (….) la banca da atto di altri versamenti, in c/capitale" e tale frase pur nella sua genericità non merita la critica rivolta dal ricorrente nel senso che "allora …. ogni altro pagamento non riconosciuto dalla banca rispetto a quelli indicati nel detto conteggio non poteva essere oggetto di prova?". Ciò, perchè la frase dev’essere intesa nel senso che si è voluto dire che, in presenza della indicazione di altri pagamenti in conto capitale in quella lettera, i fatti oggetto dei due articoli di prova, in quanto diretti a provare pagamenti senza spiegare come e perchè si trattasse di pagamenti diversi da quelli di cui alla lettera, non risultavano rilevanti. Sarebbe stato onere del ricorrente spiegare che si trattava di pagamenti diversi, specie tenuto conto che la somma dei pagamenti di cui ai due articoli di prova è ben inferiore a quella indicata nel prospetto di cui alla lettera (che è di L. 345.736.707).
p.2.3. Il ricorrente con la terza censura si duole, come s’è detto, dell’omessa considerazione di un documento, prodotto come numero 4 con l’atto di riassunzione: tale documento viene riprodotto nell’illustrazione del motivo e riguardo ad esso – rappresentato da una lettera dell’11 dicembre 2001 indirizzata dalla XXX al suo difensore Avvocato XXX – si assume che avrebbe evidenziatola prova di ulteriori incassi ricevuti dalla Banca rispetto a quelli portati nel conteggio 16.01.2001, e comunque di inesattezze (in favore della Banca) di tale ultimo conteggio". Dopo di che si svolgono delle considerazioni che dovrebbero dimostrare l’assunto e che si articolato con un confronto fra la lettera del 16 gennaio 2001, o meglio il conteggio ad essa allegato, e la lettera dell’11 dicembre 2001. La doglianza è inammissibile, perchè la sentenza impugnata non si occupa di quest’ultima lettera e parte ricorrente avrebbe dovuto dimostrare che le argomentazioni fattuali che svolge riguardo al confronto fa le lettere le aveva svolte nel giudizio di rinvio, chiarendo dove. Tali allegazioni non si possono svolgere soltanto in questo giudizio di legittimità, nel quale non è possibile che la parte che aveva prodotto un documento svolga allegazioni sul suo contenuto senza dimostrare di averle svolte nel giudizio di merito e che, pertanto, il giudice di merito le doveva considerare. Al riguardo, produrre un documento nel processo civile è attività che fa entrare nel processo il documento, ma compete alla parte – salvo il potere del giudice di desumere dal documento i fatti che rappresenta d’ufficio, se si tratta di fatti il cui potere di rilevazione non è riservato alla parte, come i fatti costitutivi della domanda o le eccezioni in senso stretto – allegare i fatti emergenti dal documento prodotto a sostegno della sua prospettazione.
Il principio di diritto che viene in rilievo è il seguente: "è inammissibile la denuncia in sede di legittimità dell’omesso esame da parte del giudice di merito di un documento, del quale la sentenza non si occupa, quando la parte non precisa che da esso, pur prodotto nel giudizio, aveva tratto argomenti, cioè allegato fatti a sostegno della sua prospettazione, e non individua dove li aveva svolti. In particolare, non si può imputare al giudice di merito di avere tratto elementi di valutazione da un documento senza considerare un altro documento, se non si precisa in che sede nel giudizio di merito si era argomentato da quest’ultimo quanto avrebbe dovuto comportare la diversa valutazione del documento considerato dalla sentenza impugnata Vi osta la natura del giudizio di cassazione, che impedisce di allegare in esso fatti emergenti dal documento che non si sono allegati nel giudizio di merito nonostante ch’esso sia stato prodotto".
p.2.4. La censura di mancato accoglimento dell’istanza di ordine alla Banca di esibizione della "contabilità" inerente la società XXX (debitore principale) e gli altri garanti, che è stata motivata dalla Corte milanese con il rilievo che non sarebbe stata indispensabile, in quanto i fatti estintivi o riduttivi del credito per cui si procedeva sarebbero stati dimostrabili tramite testimonianze o documenti, nonchè con il rilievo conseguente del carattere esplorativo dell’istanza, viene argomentata assumendosi che la Corte territoriale non avrebbe considerato: aa) che il L., quale fideiussore, non avrebbe avuto strumenti giuridici per conoscere autonomamente l’andamento del debito garantito e non sarebbe stato posto in grado di conoscere se esso era stato totalmente o parzialmente pagato dal debitore o da altri confideiussori nel silenzio del creditore e del debitore garantito;
bb) che la banca sin dall’inizio del rapporto aveva adottato il criterio comportamentale di negare al L. il diritto di conoscere la situazione contabile di quei soggetti e lo avrebbe fatto anche dopo la sentenza di rinvio, come emergerebbe da un documento 1 allegato al fascicolo della riassunzione; cc) che il L. aveva indicato nella citazione in riassunzione, alla pagina 13, numerosi pagamenti del debitore principale e dei garanti, i quali dovevano risultare dalla contabilità.
p.2.4.1. La censura non è fondata.
Va premesso che l’oggetto del giudizio, che è di opposizione all’esecuzione insorta per effetto della conversione del sequestro in pignoramento, era ristretto all’accertamento dell’esistenza o meno oppure dell’esistenza parziale del diritto di procedere ad esecuzione della Banca alla data dell’opposizione all’esecuzione e, dunque, la richiesta di ordine di esibizione avrebbe potuto riguardare solo la contabilità fino al 7 aprile 2001, data di proposizione del ricorso.
E’ stato, infatti, statuito che "Allorquando l’esecuzione inizi in forza di un titolo esecutivo giudiziale che, al momento di tale inizio abbia efficacia esecutiva e venga proposta opposizione all’esecuzione, la successiva sopravvenienza della sospensione della sua efficacia esecutiva da parte del giudice avanti al quale il titolo sia stato impugnato, non ha alcuna incidenza sull’oggetto del giudizio di opposizione, che concerne l’accertamento negativo della sussistenza del diritto di procedere all’esecuzione al momento in cui l’esecuzione è iniziata, ma assume rilievo come circostanza che può essere fatta constare al giudice dell’esecuzione nell’ambito del processo esecutivo perchè disponga direttamente la sospensione dell’esecuzione" (Cass. n. 18512 del 2007; n. 18999 del 2009). Il principio che l’accertamento del diritto di procedere all’esecuzione dev’esser svolto con riferimento al momento di intimazione del precetto se ci si opponga avverso di esso o con riferimento all’inizio dell’esecuzione, se ci si opponga contro l’esecuzione iniziata è di carattere generale.
Ciò chiarito, essendo i fatti estintivi determinati da comportamenti del debitore principale o di altri confideiussori di interesse comune ad essi ed al qui ricorrente, è del tutto privo di fondamento che egli non avesse strumenti per conoscerli. Tali strumenti sarebbero stati rappresentati da normali richieste di indicazione rivolte ai medesimi in funzione del giudizio di riassunzione. Se gli stessi avessero rifiutato di fornire indicazioni allora si sarebbe determinata una situazione che avrebbe potuto rendere legittima la richiesta di esibizione. Peraltro, lo stesso ricorrente ha articolato prove, ritenute a ragione inammissibili come s’è visto, su pretesi fatti estintivi risalenti a comportamenti del debitore principale e degli altri garanti e, dunque, il ricorrente doveva avere conoscenza di detti fatti. Comunque, non ha allegato di avere inutilmente esperito interrogazioni ai condebitori.
Tanto rende irrilevante considerare le argomentazioni sub bb) e cc), le quali, peraltro, sono dedotte senza rispettare l’art. 366 c.p.c., n. 6, posto che non si riproduce nè direttamente nè indirettamente il contenuto da ricercare nel documento 1 e nella citazione in riassunzione.
p.2.5. Anche la censura rivolta alla valutazione della Corte territoriale di rigettare l’istanza di consulenza tecnica perle sue finalità esplorative appare priva di fondamento sulla base di considerazioni simili a quelle svolte al punto precedente.
p.3. Il ricorso è, conclusivamente, rigettato.
p.4. Le spese del giudizio di cassazione possono essere compensate, atteso che la motivazione criticata con il primo motivo, per la sua segnalata ambiguità, poteva rendere scusabile l’infondato accesso al giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 27 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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